9 marche che si possono boicottare per fare male a Israele
Ma questo che significherebbe concretamente per quanto riguarda supermercati e carrelli della spesa? La campagna BDS riguarda tutti I prodotti israeliani: è una tattica ampia che mira a fare pressione su questo stato perché cambi. Ma che presta un’attenzione particolare alle aziende che sono effettivamente coinvolte nelle politiche di occupazione, e che ne traggono considerevoli profitti. Probabilmente queste organizzazioni dovranno presto fare i conti con il boicottaggio, e non sono sempre le aziende che ci si potrebbe aspettare.
1. Sodastream
Grazie alle recenti avventure in politica internazionale di Scarlett Johansson, molti di noi sono ora a conoscenza del ruolo di Sodastream nel perpetuare l’occupazione della Cisgiordania. Le macchinette per la produzione di bevande gassate sono prodotte a Ma’ale Adumim, una delle molte colonie illegali incuneate in territorio palestinese che si appropriano delle sue risorse e rendono impossibile la sviluppo di un’economia palestinese indipendente. “L’esercito israeliano ha espulso con la forza 200 famiglie palestinesi dalle loro case per fare spazio alla costruzione di Maale Adumim”, fa sapere Rafeef Ziadah, un portavoce del Comitato Nazionale BDS. “Recentemente ha annunciato un piano per espellere altri 2300 palestinesi per fare posto alla crescita della colonia”.
2. Arance Jaffa
Ditte come Carmel Agrexco e Mehadrin, che esportano la famosa marca di arance Jaffa, traggono grossi profitti dalla coltivazione delle terre palestinesi. Molta della frutta e della verdura di quest’azienda, compresi avodado, patate dolci e melagrane, crescono e sono poi imballate nella valle del Giordano, in Gisgiordania, dove il 94% della terra è sotto il controllo diretto di Israele. Oltre a violare il diritto internazionale, le coltivazioni commerciali in quest’area privano i palestinesi di terra agricola fertile e limitano l’accesso all’acqua, che la popolazione locale è spesso costretta ad acquistare da serbatoi a prezzi estremamente gonfiati.
3. Ahava
Ahava significa amore in ebraico, ma nasconde una storia poco romantica. La fabbrica principale, e il suo lussuoso centro per i visitatori, si trova a Mitzpe Shalem, una colonia nella Cisgiordania occupata che possiede anche il 37% del marchio. Questa posizione offre ad Ahava un accesso privilegiato ai minerali e ai fanghi del Mar Morto, che sono gli ingredienti principali di maschere per il viso, lozioni esfolianti e creme idratanti. La vendita di questi prodotti miracolosi rende all’azienda circa 150 milioni di dollari all’anno, mentre ai palestinesi continua ad essere impedito l’accesso alle risorse del Mar Morto.
4. Vino delle alture del Golan
Stando al sito web di questa azienda vinicola, la posizione dei loro vigneti di primordine è la migliore in Israele. Peccato però che si tratti delle alture del Golan, territorio occupato strappato alla Siria nella guerra del 1967. Fu allora che la maggior parte dei 140.000 siriani che vivevano nel Golan furono allontanati senza permettere loro di ritornare, mentre oggi in quest’area vivono circa 20.000 coloni israeliani. Nonostante l’azienda vinicola Golan Heights Winery sia uno dei maggiori esportatori di Israele, non si tratta certo dell’unica azienda produttrice delle colonie. Le aziende Carmel, Tshibi e Barkan possiedono tutte vigneti nelle alture del Golan, mentre le aziende Teperberg 1870 e Binyamina operano in Cisgiordania.
5. Victoria’s Secret
Victoria’s Secret è stata presa di mira dalla campagna BDS per il luogo in cui si approvvigiona dei tessuti. La più grande marca di biancheria intima americana si procura i tessuti presso la Delta Galil Industries, un’azienda con un magazzino nella zona industriale di Barkan, una colonia israeliana in Cisgiordania. L’azienda ha inoltre aperto dei punti vendita a Ma’aleh Adumim e Pisgat Ze’ev, entrambi nei territori occupati. Colonie di questo tipo ditruggono la contiguità di un futuro stato Palestinese e sono generalmente considerate il maggior ostacolo al successo del processo di pace. Victoria’s Secret non è però l’unica azienda che compra i propri materiali da industrie che si trovano nelle colonie: Delta Galil rifornisce anche aziende come Walmart, Calvin Klein, Nike e Columbia, tra le altre.
6. Humus Sabra
L’appropriazione del cibo è una grossa questione in Medio Oriente, in cui l’adozione di falafel e humus come cibo nazionale israeliano è oggetto di disputa con i palestinesi. Tuttavia Sabra è presa di mira dal movimento BDS per altri motivi: il maggior produttore americano di humus è di proprietà del Gruppo Strauss, un’azienda israeliana che ha forti legami con l’esercito israeliano. La società ha infatti “adottato” la Brigata Golani, una “unità di elite” dell’Esercito Israeliano che ha una cattiva reputazione, che “va dalle rivolte contro i comandanti ai maltrattamenti e violenze conto i palestinesi”, secondo quanto riferisce Haaretz. I soldati della Brigata Golani erano in prima linea durante l’Operazione Piombo Fuso, l’aggressione a Gaza in cui furono uccisi circa 1400 palestinesi. A quanto pare la Strauss forniva i pranzi, proclamando sul prioprio sito web di fornire “prodotti alimentari” per le missioni e “confezioni individuali per ciascun soldato”. Dopo che gruppi appartenenti al movimento BDS americano hanno preso di mira Sabra nel 2010, la Strauss ha tolto queste parole dalle pagine riguardanti la responsabilità sociale d’impresa, ma non si è pronunciata riguarda alla richieste di togliere l’appoggio ai soldati delle forze armate israeliane.
7. Datteri Medjool
Questi datteri dolcissimi sono tra i principali alimenti palestinesi, e vengono tradizionalmente mangiati per interrompere il digiuno del Ramadan. Oggi però più di metà del raccolto di datteri medjool è prodotta da Israele, spesso nelle colonie situate in terra palestinese e specialmente nella valle del Giordano. Qui sono state registrate pratiche di lavoro illegale di notevoli proporzioni: nel 2008 si scoprì che 7000 bambini palestinesi lavoravano nelle aziene agricole produttrici di datteri nelle colonie. Inoltre, spesso si nasconde il fatto che i datteri provengono dalle colonie apponendo l’etichetta “prodotto in Israele”. Hadiklaim, uno dei maggiori produttori nelle colonie, commercializza i propri prodotti con i marchi Jordan River, Jordan River Bio-Tops e King Solomon.
8. Acqua Eden Springs
Molta dell’acqua in bottiglia Eden Springs, commercializzata in università, enti locali e altre istituzioni, proviene dalle sorgenti di Salukia nelle alture del Golan.L’occupazione del Golan da parte di Israele è stata condannata dall’ONU, e, come ci ricorda l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, il diritto internazionale concede alle forze occupanti un uso limitato delle risorse idriche in territorio occupato. Nonostante ciò, i coloni nel Golan possono usare l’acqua fino a 17 volte a testa più di quanto possano fare gli altri abitanti dell’area, uno stato di cose in cui lo sfruttamento commerciale delle sorgenti non aiuta.
9. Hewlett Packard
Lo slogan di Hewlett Packard “se fai qualcosa, fa in modo che sia importante” è stato prevedibilmente coniato a Silicon Valley. Per i palestinesi, tuttavia, alcune delle cose di HP sono più importanti di altre. L’azienda possiede EDS Israel, che fornisce il sistema di computer del Ministero della Difesa israeliano e produce attrezzatura di alta tecnologia come il Basel System, un sistema biometrico di permessi che controlla il movimento dei lavoratori palestinesi attraversi i checkpoint a Gaza e in Cisgiordania. L’attrezzatura HP è usata dal sistema carcerario e dall’esercito israeliano, e l’azienda ha anche investito nello sviluppo tecnologico degli insediamenti illegali, prendendo parte al progetto Smart City ad Ariel.
Da BDS Italia
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