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Concentrazione di carta straccia e testate blasonate all’ammasso digitale…

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… sulle cui ceneri creare nuove App onnicomprensive e dirigiste nelle indicazioni di scelte di campo globale e capaci di generare reti di notizie mediatizzate da reti di supporti capillari? Forse non è importante che generino profitti direttamente, quanto che spostino consenso e permettano al finanzkapitalismus di riprendersi praterie di followers migrati verso quotidiani rotocalchi di becera destra popolare.

In quest’epoca in cui il vecchio liberalismo capitalista (fedelissimo dell’atlantismo) è rimasto schiacciato dal populismo sovranista (attratto da sirene orientaliste) assistiamo a scelte di occupazione di interi settori dell’informazione mainstream da parte di potenti tycoon finanziari: poche concentrazioni in mano a oligarchi che creano opinione attraverso i loro satrapi travestiti da direttori, come Maurizio “Mossad” Molinari, che da posizioni di destra repubblicana è approdato al vertice del laico liberal-socialista “la Repubblica”. Il gruppo Exor che già possedeva “The Economist”, in mano alla famiglia Agnelli, vi ha collocato Molinari, premiando anche Massimo Giannini e Mattia Feltri (figlio dell’imbarazzante razzista e sessista Vittorio), figure emblematiche per il loro servilismo, che rappresentano bene l’idea di giornalismo cara a questi capitalisti.
Ma l’acquisto dai figli di De Benedetti dell’intero pacchetto Gedi (che comprende anche “l’Espresso”, “Limes”, “La Stampa”, “Il Secolo XIX”.. Radio CApital e Radio Deejay) è la vetrina superficiale dell’operazione generale perpetrata dal pargolo degli Agnelli, la punta dell’iceberg di quanto viene cucinato per controllare e pilotare l’opinione pubblica, forse per prepararsi a soffocare nelle menti gli istinti a rivoltarsi che potranno sorgere con la miseria derivante dagli strascichi dell’epidemia. Infatti si inserisce in un panorama già fosco, ben descritto da Giovanni Castellano, che vede Urbano Cairo rendere marcatamente populista il “Corsera”, da sempre elemento di punta del Gruppo Rizzoli; ma come dimenticare l’impero Mediaset a completamento del mercato cartaceo… Ecco proprio questo stona: perché simili accorti frequentatori delle borse di tutto il mondo vengono trascinati a investire denaro fresco (quello derivante dalla fusione con Psa-Peugeot-Citroen) in aziende decotte, in testate che perdono lettori paganti ogni settimana? Di qui siamo partiti per arrivare a chiederci – come già Guglielmo Ragozzino – come pensano di drenare denaro con la versione digitale dei giornali, a chi chiedere di seguire sproloqui di pennivendoli da tastiera nel ben più grande flusso di informazione più o meno credibile, più o meno affidabile che però ha il pregio agli occhi dei lettori di essere più vicina a ciò che interessa loro, essendo scritti da loro simili frequentatori del web… e a sua volta trova camuffati personaggi del giornalismo mainstream, come Luca Sofri del “Post”, per portare come esempio un’altra tradizione di famiglia, come quelle dei Feltri, degli Elkann, oppure grosse concentrazioni finanziarie come Ciaopeople (di Luca Lani e Fernando Diana), editore di “Fanpage”, primo media per digital audience, tallonato da Citynews nella graduatoria fornita da “Primaonline“.

Si tratta di dubbi e questioni stimolati dall’osservazione molto preoccupata sul mondo giornalistico – che corrisponde ed è specchio delle pulsioni dei potenti alla ricerca di rappresentanza linguistico-politica – e di questi spostamenti di capitali, che abbiamo cercato di comprendere attraverso l’analisi disincantata di Maurizio Torrealta (che ha la fortuna e il pregio di essere pensionata, quindi in grado di proporre uno sguardo dall’esterno da parte di un esperto, direttore della scuola di Giornalismo Lelio Basso), che procede in un flusso di ragionamento che comprende il giornale “Repubblica” nella sua storia e nel suo senso attuale confrontato con un sistema più “militare” come quello cinese; l’importanza che può avere il modello di produzione americano e l’evoluzione dei giornali digitali che non è più copia dello stereotipo cartaceo, svincolatisi da quelle pastoie; le scelte di certe figure erette a direttore possono trovare ragione in una preparazione ad attacchi a culture considerate antagoniste a quella occidentale; fino all’intuizione di un modello di sviluppo di ciò che si trova rappresentato da una testata giornalistica svuotata del suo contenuto e ridotta al ruolo di una app, un mezzo rapido che racchiude uno strumento informativo, una organizzazione politica una montagna di notizie, culture, collocazioni sociopolitiche, accesso regolato… l’evoluzione del giornale, che embrionalmente si può intravedere nello strumento distopico messo in mano a giornalisti preparati proprio a diffondere questo tipo di prodotto onnicomprensivo.

Spartizione assurda di testate di un giornalismo finito?

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Puntualmente quelle scelte di campo probabilmente sollecitate dal riallineamento atlantista si sono verificate nell’impostazione strutturale della copia di “Repubblica” del giorno successivo a questo intervento con un attacco alla Russia e uno alla Cina, che fa il paio con l’intervento di Giampiero Massolo – ambasciatore, presidente di Fincantieri e del’Ispi – sull’Huffingtonpost, senza più Lucia Annunziata, che richiede lo schieramento dell’Italia a fianco degli Usa per ottenere una tarocca inchiesta sulla Cina, così simile all’antrace di Powell… forse è proprio questo il senso del controllo di tutte le testate mainstrema da parte dell’oligarchia finanzkapitalista proiettato verso una sorta di neocolonialismo.

Da Radio Blackout

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pubblicato il in Culturedi redazioneTag correlati:

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