Critica della ragion negra
L’Europa non è più il centro di gravità, assoluto, del mondo. Questo è il dato o quantomeno l’enunciato rifondativo del tempo presente. E, valutandone tutte le implicazioni, non siamo che all’inizio[i]. Benché a questa rivelazione non si possa che plaudire – che si abbia ragione di stupirsene o meno – una cosa è certa: quest’arretramento apre nuovi orizzonti e comporta al contempo insidie per il pensiero critico, ed è in parte ciò che questo testo si propone di problematizzare.
Per cogliere tutta la portata dei rischi e delle possibilità, non è solo necessario ricordare che, percorrendone da un capo all’altro la sua storia, il pensiero europeo abbia elaborato la questione dell’identità non tanto in termini di una appartenenza mutuale (co-appartenenza), quanto nelle modalità di relazione tra identici, di affermazione del sé e della manifestazione del suo essere o come se fosse allo specchio. Importa piuttosto comprendere che, come discendenza diretta di questa logica di finzione e autocontemplazione, le nozioni di Negro e di razza costituiscono un unicum, indissolubile nell’immaginario europeo[ii]. Definizioni primarie, pesanti, scomode e logore, espressioni di crudezza ventrale e repulsione, la loro comparsa nel discorso moderno su “l’uomo” (quindi, su “umanesimo” e “umanità”) è stata se non contemporanea quanto meno contestuale, costituendo congiuntamente, dall’inizio del XVIII secolo, il grumo di senso – sottaciuto, spesso negato – da cui muove[iii] il progetto moderno di conoscenza e di governo. L’uno e l’altro rappresentano due figure gemellate del delirio che la modernità ha la responsabilità di aver prodotto.
A cosa si deve questo delirio e quali ne sono le manifestazioni più elementari? In primo luogo, il fatto che il Negro è quello che vediamo quando non vediamo niente, quando non capiamo niente e soprattutto quando non siamo disposti a comprendere niente. In secondo luogo che nessuno – né coloro che coniarono l’attributo, né coloro che ne vennero investiti – desiderava essere un Negro o in pratica essere trattato come tale. Quanto al resto, come precisa Deleuze «[…] ci sarà sempre un Negro, un ebreo, un cinese, un Gran Mogol, un ariano nel delirio», poiché ciò che alimenta il delirio sono le razze[iv]. Riconducendo il corpo e il sé vivente a un concetto di apparenza, di pelle e di colore, concedendo alla pelle e al colore lo statuto di una finzione su base biologica, il mondo euro-americano in particolare ha fatto del Negro e della razza due aspetti della stessa figura, quella della insania codificata[v]. Operando al contempo come categorie originarie e fantasmagoriche, razza e Negrosono stati nel corso dei secoli causa di devastazioni materiali senza precedenti[vi].
Tre momenti marcano questo vertiginoso assemblaggio. Il primo è l’asservimento totale, nella lunga fase della Tratta Atlantica (tra il XV e il XIX secolo): il Negro diviene merce, uomo-oggetto, uomo-valuta[vii]. Imprigionato nelle segrete del suo aspetto, appartiene ad altri, che lo avverseranno e per i quali non ha nome né lingua. La sua vita e il suo lavoro sono di coloro con cui condivide coattamente l’esistenza ma nei confronti dei quali è interdetta ogni relazione di equivalenza. Il secondo corrisponde all’accesso alla scrittura nel corso della seconda metà del XVIII secolo, quando i Negri, soggetti ritratti abitualmente da altri, passano dunque ad articolare un linguaggio proprio rivendicando al contempo lo status di soggetto di diritto nel mondo[viii]. Innervando numerosi episodi di rivolta degli schiavi e non da ultime l’indipendenza di Haiti nel 1804, la lotta per l’abolizione della tratta, la decolonizzazione dell’Africa e la battaglia per i diritti civili negli Stati Uniti, questa soggettivazione raggiunge il culmine nell’erosione del regime di apartheid nel tardo Novecento. Il terzo, infine – all’inizio di questo secolo – si da con la globalizzazione dai mercati, l’egemonia del capitale finanziario e la privatizzazione del mondo sotto l’egida del neoliberismo. Uniformando le relazioni sociali al modello di mercato e facendo dei rapporti economici l’unico standard relazionale, il neoliberismo favorisce l’emergere di un nuovo argomento[ix]. Anzi, di qualcosa di più: di un modello di sincretismo tra capitalismo e un certo animismo che, in passato affatto solidali, adesso convergono ad unum. Da questa fusione potenziale ne consegue una serie di fattori determinanti per la nostra futura comprensione di razza e razzismo. In primo luogo, i rischi sistemici a cui nel primo capitalismo erano esposti solo i Negri oppressi diverranno – se non una norma – sorte comune dei popoli subalterni. La tendenza all’universalizzazione della condizione Negraè accompagnata da una serie di inedite pratiche imperiali, che attingono tuttavia tanto dalla logica schiavista di depredazione quanto dalla logica coloniale di occupazione ed estrazione, incluse le guerre di razzia delle epoche precedenti[x].
D’altra parte, depredazione, estrazione e guerre di razzia si accompagnano alla ri-balcanizzazione del mondo e all’intensificazione di pratiche di zonizzazione, a partire dalla militarizzazione delle frontiere, dal frazionamento dei territori, dalla loro partizione e dalla creazione all’interno di Stati esistenti di spazi più o meno autonomi, talvolta sottratte ad ogni forma di sovranità nazionale, che operano attraverso la legge informale di una moltitudine di autorità frammentate e forze armate private, o sotto la tutela di organizzazioni internazionali, con il pretesto o la ragione dei motivi umanitari o con l’ingerenza di potenze straniere[xi]. Grazie a queste pratiche di zonizzazione, un “imperialismo della de-regolamentazione” costruisce e riproduce su scala mondiale condizioni di ‘eccezione’ e si nutre di anarchia. Un’opportunità di contratti per la ricostruzione con la scusa della lotta all’incertezza e al disordine, con cui le imprese estere, grandi poteri e classi dirigenti locali si approprieranno della ricchezza e dei giacimenti dei paesi subalterni. Massicci trasferimenti di ricchezza legati ad interessi privati, espropriazione progressiva di quella parte di risorse che le passate lotte avevano sottratto al capitale, il pagamento indefinito di tranche di debito: questa volta la violenza del capitale sferza la stessa Europa, da cui emerge una nuova classe di donne e uomini strutturalmente indebitati[xii]. Tuttavia più qualificante della potenziale fusione di capitalismo ed animismo è la possibilità, distinta, di trasformare gli esseri umani in cose animate, dati numerici e codici. Per la prima volta nella storia dell’uomo, Negrosi fa attributo e non apposizione, non si riferisce più solo alla condizione di persone di origine africana nel capitalismo delle origini (privazioni di ordine vario, espropriazione di ogni potere di autodeterminazione e – soprattutto – di futuro e tempo come matrice del possibile) . Questa nuova declinazione, la sua istituzionalizzazione come nuova norma di esistenza e la sua generalizzazione all’intero pianeta è quello che chiamiamo il divenire Negro del mondo.
Ma una volta riconosciuta una centralità (ancorché negata) alle due figure di Negro e razza nel discorso euro-americano su “l’uomo”, dobbiamo pensare che il declassamento dell’Europa e la sua retrocessione al rango di ‘provincia dell’Impero’ abbia sancito l’estinzione del razzismo? O se ne deve intendere che nel divenire fungibile l’umanità, il razzismo si ricomporrà negli interstizi di un nuovo linguaggio – aggregato, molecolare, esploso – sulla ‘specie’? Ponendola in questi termini, è bene non perdere di vista che né il Negro né la razza sono stati mai stereotipati. Al contrario, da sempre sono parte di un mai compiuto concatenamento. D’altra parte la loro fondamentale significazione è sempre stata esistenziale. Nel nome Negro in particolare è confluito, nel corso del tempo, una straordinaria energia portatrice di istinti inferiori, caos generativo e altri segni inquietante di redenzione del mondo e del vivente nel giorno della trasfigurazione. La ragione di questo risiede nel fatto che, oltre a designare una realtà multipla, anomala, particellare – frammenti di frammenti sempre nuovi – questo nome ha sancito una serie di esperienze storiche lacerate, la realtà di una vita vuota; l’ossessione per milioni di persone intrappolate nella rete della dominazione di razza, di veder funzionare come dal di fuori il proprio corpo e la propria mente; di essere stati trasformati in spettatori di qualcosa che era, e al contempo non era, la propria esistenza[xiii].
Non è tutto. Prodotto di un meccanismo sociale e tecnico inscindibile dal capitalismo, dalla sua nascita e diffusione planetaria, questo nome, il Negro è stato inventato per designare esclusione, abbrutimento e degradazione. Un limite sempre evocato e odiato. Esposto a vergogna e profondamente violentato, il Negro è nell’ordine della modernità l’unico di tutti gli esseri umani la cui carne è stata fatta cosa e il cui spirito merce – la cripta vivente del capitale. Tuttavia in uno spettacolare ribaltamento – questa è la sua manifesta dualità – è diventato il simbolo di un desiderio cosciente di vita, una forza che scorre – fluida e plastica – continuamente impegnata in un atto fondativo, in condizioni di vite simultanee segnate da storie e tempi diversi. La sua capacità magica e allucinatoria si è infinitamente potenziata. Nel Negro alcuni si sono addirittura affrettati a riconoscere il limo della terra, il fluire della vita attraverso la quale il sogno di un’umanità riconciliata con la natura – e la totalità dell’esistente – potrebbe trovare nuovo volto, voce, movimento[xiv].
Il crepuscolo europeo si annuncia incalzante nonostante il mondo euro-americano non sia ancora riuscito a sapere cosa volesse sapere – o volesse farne – del Negro. Chi di noi può però dubitare che sia finalmente il momento di partire da se stessi per gettare le basi e fondare qualcosa di assolutamente nuovo, mentre l’Europa è smarrita, paralizzata dal disagio di non sapere dove e con chi stare nel mondo?[xv] Per fare questo dovremmo dimenticare il Negro o, al contrario, mettere a valore la sua potenza mimetica, il carattere fluido e inafferrabile, strano soggetto seriale e plastico, sempre mascherato, saldamente attestato su entrambi i lati dello specchio, lungo un margine che non cessa di percorrere? D’altra parte se nel bel mezzo di questa tormenta il Negro debba davvero sopravvivere a quelli che lo inventarono, se per una di queste inversioni di senso attraverso cui in segreto guarda alla storia, tutta l’umanità subalterna dovesse farsi Negra, quali sarebbero i rischi del divenire Negro del mondo in una prospettiva di libertà e parità universale di cui il significante Negro è stato l’emblema lungo tutta la modernità?
Queste sono alcune delle domande che il mio lavoro si pone e che, senza la pretesa di farsi storia delle idee né esercizio di sociologia storica, si serve tuttavia della storia per proporre uno stile di riflessione critica sul mondo presente. Privilegiando un tracciato storico a un registro medio – a metà tra il sole e la luna, il giorno e la notte – poniamo una sola, ferma, questione: come pensare la differenza e la vita, il simile ed il dissimile, l’eccedenza ed il comune? La questione è riassunta nell’esperienza del Negro, che sa efficacemente occupare nella coscienza contemporanea il ruolo di un limite sfuggente, uno specchio basculante. Ancora, sarebbe opportuno chiedersi perché questo specchio basculante non la smette di girare su se stesso? Cos’è che impedisce il raggiungimento di una posizione di equilibrio? Cosa spiega la riattivazione infinita di scissioni ogni volta più sterili?
(*) Estratto dall’introduzione a Critique de la raison Nègre, che sarà pubblicato il prossimo 3 ottobre in Francia per La Découverte. Traduzione di Manuela Costa.
[i] Dipesh Chakrabarty, Provincializzare L’europa, Meltemi, Roma 2004; Jean Comaroff & John L. Comanoff, Theory from the South Or, How Euro-America is Evolving Toward Africa, Londra, Paradigm Publishers, 2012, in particolare la introduzione; Kuan-Hsing Chen, Asia as Method, Toward Deimperializazion, Durham, Duke University Press, 2010.
[ii] Si veda François Bernier, «Nouvelle division de la terre, par différentes espèces ou races d’hommes qui l’habitent», Journal des Savans, 24 aprile 1684, pp.133-141; Sue Peabody & Tyler Stovall, The Color of Liberty. Histories of Race in Franc, Durham, Duke University Press, 2003, pp. 11-27.
[iii] Nelson William Max, «Making Men: Enlightenment Ideas of Racial Engineering», American Historical Review 115, n. 2, 2010, pp. 1364-1394; James Delbourgo, «The Newtonian Slave Boy: Racial Enlightenment in the Atlantic World», Atlantic Studies 9, n. 2, 2012, pp. 185-207; Nicholas Hudson, «From Nation to Race: The Origins of Racial Classification in Eighteenth Century Thought», Eighteenth-Century Studies 29, n. 3, 1996, pp.247-264.
[iv] Gilles Deleuze, Due regimi di folli e altri scritti 1975-1995, Einaudi, Torino 2010.
[v] Miriam Eliav-Feldon, Benjamin Isaac & Joseph Ziegler, The Origins of Racism in the West, Cambridge, Cambridge University Press, 2009.
[vi] Frantz Fanon, Pelle nera maschere bianche, Marco Tropea, Milano, 1996; Bloke Modisane, Blame Me on History. Jeppestown, S.A. [1963], Ad Donker, 1986.
[vii] Ian Baucom, Specters of the Atlantic. Finance capital, Slavery, and the Philosophy of History. Durham, Duke University Press, 2005.
[viii] Dorothy Porter, Early Negro Writing 1760-1837, Baltimora, Black Classic Press, 1995.
Riguardo alle Antille, in particolare. cfr. Patrick Chamoiseau & Raphael Confiant, Lettres créoles, tracées antillaises et continentales, 1635-1975, Parigi, Hatier, 1991. Nel mondo africano di idioma inglese, questo ingresso avviene, come in Haiti, durante il sec. XIX ed ha luogo più tardi nel mondo francofono. Al riguardo leggi Alain Ricard, Naissance du roman africain: Felix Chouchouro (1900-1968), Parigi, Présence Africaine, 1987.
[ix] Si veda Pierre Dardot e Christian Laval, La nouvelle raison du monde. Essai sur la société néolibérale, Paris, La Découverte, 2009.
[x] Si veda Françoise Vergès, L’homme prédateur. Ce que nous enseig ne k’esclavage sur notre temps, Parigi, Albin Michel, 2011.
[xi] Alain Badiou, «La Grèce, les nouvelles pratiques impériales et la reinvention de la politique», Lignes, ottobre 2012, pp. 39-47. Si veda inoltre Achille Mbembe, «Necropolitics», Public Culture… e Naomi Klein, Shock economy, Rizzoli, Milano 2004; Adi Ophir, Michal Givoni, Sari Hanafi (a cura di), The Power of Inclusive Exclusion. Anatomy of Israeli Rule in the Occupied Palestinian Territories, New York, Zone Books, 2009.
[xii] Maurizio Lazzarato, La fabbrica dell’uomo indebitato, DeriveApprodi, Roma 2012.
[xiii] Didier Anzieu, Le Moi-peau, Parigi, Dunod, 1995, p. 31.
[xiv] SI veda in particolare la poesia di Aimé Césaire. Sul tema della terra: Édouard Glissant.
[xv] Achille Mbembe, Sortir de la grande nuit. Essai sur l’Afrique décolonisée, Parigi, La Découverte, 2010.
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