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Gli sport da combattimento e Bolsonaro

Ieri si è votato in Brasile per il secondo turno delle presidenziali. Un secondo turno che ha sancito la vittoria di Lula da Silva, riuscito a sconfiggere il candidato dell’estrema destra brasiliana Bolsonaro.

Di Filippo Petrocelli da Sport Popolare

Al di là delle analisi politiche – delle simpatie o delle ostilità compagne alle nostre latitudini verso il Partido dos Trabalhadores – un punto di vista interessante sulla questione è sicuramente quello offerto dagli endorsement ricevuti in campagna elettorale dall’ex presidente Bolsonaro da parte di atleti di diverse discipline, in un paese in cui gli sportivi sono idoli di massa ed esiste un settore economico molto fiorente legato all’attività fisica.

Questo aiuta a ragionare sulle dinamiche della propaganda, sulla costruzione del consenso e sul cosiddetto sport washing. Dinamiche molto presenti nell’attuale contingenza politico-sociale e che nelle elezioni brasiliane hanno avuto un ruolo rilevante. 

In molti si sono domandati, per esempio, come mai calciatori come Neymar, Kaka, Cafù, Ronaldinho, Felipe Melo abbiano espresso senza inibizioni il proprio sostegno a un candidato come Bolsonaro – ritenuto da molti impresentabile per le sue posizioni politiche – al punto da alienarsi la simpatia di parecchi tifosi. In particolare forti polemiche ha scatenato il video di TikTok di Neymar, proprio alla vigila della prima tornata elettorale a inizio ottobre, soprattutto perché il giocatore del PSG proviene da un background fatto di povertà estrema e privazioni, e il presidente uscente non sembra proprio un paladino delle classi popolari. Anche Romario, storico campione del mondo del 1994, è un bolsonarista della prima ora ed è stato rieletto al primo turno e ora è di nuovo senatore. 

Al di là delle scelte personali, insomma, sembra esserci qualcosa di più complesso: qualcosa che ha a che fare con il ruolo sociale degli sportivi e con il loro peso all’interno del paese. Spostano molti voti e sono quindi prede ambite da esporre. Questo Bolsonaro lo ha capito molto bene – già dalla sua prima candidatura – e continua a riprodurre il meccanismo di ricerca del consenso attraverso l’utilizzo del profilo pubblico di sportivi di successo.

Ma il calcio, di sicuro lo sport più popolare, non è stata l’unica disciplina a spendersi la rielezione del presidente uscente. Particolarmente interessante è quanto accaduto intorno al mondo degli sport da combattimento.

Già nel 2018, anno dell’elezione di Bolsonaro, importanti atleti di Mixed Martial Arts (MMA) e Brazilian Jiu-Jitsu (BJJ) avevano fatto registrare un appoggio massiccio al candidato dell’estrema destra. 

Anche questa volta è stato lo stesso e alcuni atleti hanno addirittura partecipato direttamente alla competizione elettorale in liste collegate o espressione diretta dell’ex presidente. Su tutti Wanderlei Silva, ex campione del Pride e mostro sacro delle MMA, candidato nello stato del Paraná, che più volte è sceso in prima persona a sostenere la causa della rielezione di Bolsonaro, sia con un lavoro martellante sui social sia con diverse iniziative in piazza. Wanderlei Silva non è un semplice atleta ma uno dei pionieri di questo sport, con un seguito enorme conquistato grazie al suo stile aggressivo e spettacolare.

Centrale per Bolsonaro è stato anche l’appoggio di importanti membri della famiglia Gracie, i fondatori del BJJ, che hanno intessuto con il presidente uscente rapporti molti stretti, anche grazie a una serie di fondazioni che sono divenute partner di iniziative pubbliche nel campo dello sport e del volontariato. Sia Renzo, sia Royca, sia Royler, sia Reyson Gracie non hanno lesinato apprezzamenti al lavoro dell’ex capitano dell’esercito divenuto presidente e più volte hanno sottolineato che il Brasile senza Bolsonaro è perso.

Sui social, di recente, è diventata virale una foto scattata fra settembre e ottobre in cui nomi vecchi e nuovi delle MMA si sono fatti ritrarre insieme a Bolsonaro in quella che sembra un’investitura: c’erano Jose Aldo, Fabricio Werdum, Maurizio Shogun Rua, Antônio Rodrigo Nogueira, Cyborg Abreu e Buchecha. Molti ex campioni del mondo UFC, ma soprattutto personaggi che hanno un seguito enorme e che sono molto influenti all’interno della comunità marzialista brasiliana.

Oltre loro non hanno mai nascosto la loro fede bolsonarista Marcello Brigadero, Anderson Silva, Paulo Costa, Rafael dos Anjos, Bigfoot Silva, Thiago Tavares, Andre Galvao, Fabio Maldonado, Jacare Souza, il campione dei mosca UFC Deiveson Figueiredo e Patrício Pitbull Freire che ha portato la sua cintura di campione Bellator in omaggio a Bolsonaro.

Quello che colpisce non è tanto il massiccio sostegno da parte di una comunità, quanto l’assenza, almeno nei suoi vertici apicali, di voci contrastanti. Qualche silenzio c’è stato, ma nessuno – e questo è indicativo – degli atleti più in vista si è espresso a sostegno di Lula.

Una possibile spiegazione di questo schiacciamento sul bolsonarismo potrebbe essere di tipo «culturalista»: il mondo marziale brasiliano è fortemente intriso di un sentimento classista ed elitista ereditato dalla cultura giapponese che flirta con l’apparato militare, che non vanta proprio una tradizione «liberale», e che con il mondo degli sport da combattimento ha un legame viscerale. 

Di sicuro un ruolo centrale è giocato anche dalle chiese evangeliche cui molti degli atleti citati aderiscono. Infatti la galassia evangelico-pentecostale è stata una delle fondamenta del potere di Bolsonaro. Ma in realtà, molto più brutalmente, i combattenti di MMA e BJJ in Brasile sono oggi persone molto ricche e privilegiate che difendono i lori averi e che sono pronte a sostenere la parte politica che più tutela e cura i propri interessi. Alla fine, insomma, sembra più una questione di struttura che di sovrastruttura.

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