Cara Rossanda, quello che cerchi c’è già.
Rossana Rossanda l’ha capito da un pezzo, e ieri lo ha ripetuto in una breve intervista pubblicata da il fatto quotidiano quando Wanda Marra gli chiede: “C’era una soluzione che non fosse la guerra?”, la fondatrice de IlManifesto risponde: ”Certo che c’era. Si trattava di dare, prima di tutto dalle sinistre europee, solidarietà alle forze che esprimono i bisogni sociali e di democrazia politica nei paesi arabi, che l’Europa sembra ignorare del tutto. E si trattava di cogliere, da parte della società civile e politica, le domande di aiuto con denaro e mezzi e forse anche con la partecipazione di qualcosa di simile a quelle che erano state le brigate internazionali. Non degli eserciti.”. Finalmente! C’è qualcuno che con materialistica e partigiana chiarezza si libera dalla trappola logica del diritto internazionale, e senza impugnare le sentenze della corte dell’Aia o commentare un fiume di risoluzioni Onu, impugna la polemica rivolgendosi a sinistra, sia riformista (che non c’è!) che radicale (che langue, salvo coraggiose eccezioni!) per proporre un punto di vista “differente” e critico, utile, mentre lo sciacallo euroamericano allunga gli artigli sulle rivoluzioni arabe, a prendere una posizione intransigente e forte. Ci si schiera e si prende la parte degli insorti, quelli del 17 febbraio e delle tante altre giornate della collera, senza se e senza ma, proprio come ha suggerito Sandro Mezzadra, rompendo l’ideologia della Guerra Umanitaria e la tensione polare che produce: il bene, le forze occidentali legittimate dal loro stesso caotico e supposto neutrale diritto internazionale, e il male, in questo caso, il tiranno pazzo e omicida di Tripoli. Ce l’hanno messa tutta dal 17 febbraio in poi a fare del movimento libico l’innesco di una guerra civile. Da una parte Gheddafi con le sue truppe mercenarie è stato capace in due giorni di superare la somma di fucilazioni di piazza che Ben Ali e Mubarak avevano raggiunto in due mesi di repressione senza neanche cedere di un passo da quella posizione di potere autocratico che tiene da 40 anni, e dall’altra il mainstream, le diplomazie e le cancellerie occidentali a fare di tutto per non dare altro sbocco se non quello dell’intervento armato. E d’altronde cosa altro dovrebbero fare, e perchè stupirsi? E’ il loro mondo che funziona così! La guerra umanitaria l’ha voluta Gheddafi e la stanno facendo i suoi vecchi alleati occidentali, mentre al popolo insorgente libico fin da subito è stata strappata la dignità di essere un movimento di liberazione dalla crisi e dal regime, di tentare di divenire rivoluzionario. Quei giovani e giovanissimi proletari che il 17 febbraio urlavano come i propri coetanei tunisini, egiziani, bahreiniti, yemeniti “il popolo vuole la caduta del regime” sono stati stuprati politicamente dalle armi dei mercenari del rais e dalla narrazione occidentale che ne hanno fatto attori di una guerra civile che non c’era ma che tutti propiziavano.
Gli si sono rovesciati addosso distinguo di ogni sorta: alcuni mettevano in guardia dall’assetto tribale e clanistico della Libia, in una allusione orientalistica ad un mondo misterioso e pericoloso popolato da beduini avvolti in turbanti, altri analisti ci spiegavano che l’acqua è bagnata dicendoci che “la Libia non è l’Egitto, e l’Egitto non è la Tunisia” e poi con l’arguzia della signora Fletcher il trionfo della dietrologia nelle prove di legami tra un generico movimento libico e i servizi segreti di tutto l’occidente, scambiando magari l’ex ministro degli interni del regime scappato a Bengasi per i ragazzi che a Misurata buttavano giu la statua del libro verde. Tutti a darsi un gran da fare per espropriare il movimento del 17 febbraio di quella cosa preziosa che nell’arco di pochissimi giorni aveva saputo conquistarsi con coraggio: la dignità. In questo modo non si costruiva e non si costruisce la soluzione contrapposta alla guerra, ma al contrario si accetta il suo schema, e si accetta il loro mondo. Rompere questo schema è il primo esercizio da fare in queste ore in cui l’aviazione occidentale bombarda Tripoli per prendere posizione come forza reazionaria armata nel bel mezzo del cominciamento della primavera araba. La continuità da costruire è tra il no alle bombe dei volenterosi (come prefigurazione del presidio reazionario occidentale) e il no a Gheddafi pazzo carnefice e rais assassino (come vecchio regime oppressore che va buttato giu), in linea retta con il riconoscimento nei ragazzi del 17 febbraio come parte del nostro mondo, quello contro la crisi e i regimi anche della fortezza europa o di qualsiasi altro angolo della terra dove la povertà, figlia e madre della crisi, viene imposta con carcere, tortura e bastone. Su questo piano è efficace la provocazione della Rossanda perché denuncia come i movimenti arabi stiano mettendo a nudo i limiti e le contraddizioni che a sinistra stanno facendo esitare da mesi nell’iniziativa di sostegno, mobilitazione politica e culturale a favore di chi nel vecchio continente è stato visto per decenni solo come “povero migrante” o “pericoloso islamista”, e che oggi mentre prende il coraggio a due mani e si solleva contro eserciti, tiranni e corone secolari deve esser fatto oggetto di radiografie maliziose e supponenti. Quando ci si spinge a parlare di “brigate internazionali” credo che lo si fa per misurare quanto invece la società civile e le organizzazioni sociali della sinistra radicale e antagonista non si siano ancora riprese dallo chock post-BenAli… altro che Sarkozy, Obama, Merkel e Berlusconi in panne, le cannonate e i litigi diplomatici ci parlano che da quelle parti non sono per niente scioccati, ma anzi fanno il proprio lavoro con scientifica precisione e accuratezza, come Israele, che all’indomani di una manifestazione a Gaza in cui decine di migliaia di palestinesi hanno celebrato la giornata per una riconciliazione futura, sta bombardando da ore civili e bambini senza pietà, come solo l’armata sionista sa fare. Loro costruiscono il loro mondo infame così. E il nostro? Il nostro, in queste giornate di guerra, deve prendere la posizione intransigente di Rachel Corrie che no si è spostata di un millimetro quando il buldozer israeliano avanzava per demolire una casa di palestinesi. Così non dobbiamo spostarci di un millimetro nel prendere posizione al fianco delle rivoluzioni arabe e contro le guerre imperialiste.
Cara Rossanda le brigate internazionali ci sono già: da almeno qualche anno in ogni angolo del pianeta si grida al rais di turno “vai via” in ogni lingua del mondo, ma forse, è vero, hai ragione, è tempo di gridare più forte, non per farci sentire, ma per coprire e sovrastare con lo slogan di lotta di una generazione intera il fracasso delle bombe euroamericane e delle fucilate delle milizie dei regimi.
Mario Tunisiano
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