Qualcosa di nuovo sul fronte occidentale
“Avevamo diciott’anni, e cominciavamo ad amare il mondo, l’esistenza: ci hanno costretti a spararle contro.”
Niente di nuovo sul fronte occidentale – Erich Maria Remarque
Giorgia Meloni in visita alla base aerea di Šiauliai, in Lituania, ha portato i suoi saluti e ringraziamenti al contingente militare italiano impegnato nella missione Nato Baltic Air Policing, a salvaguardia dello spazio aereo delle Repubbliche Baltiche. I selfie della Presidente del Consiglio e il discorso “dio, patria e famiglia” pronunciato in quest’occasione dicono molto del ruolo che Giorgia Meloni intende far ricoprire all’Italietta nello scenario globale. I suoi auguri di Natale ai militari recitavano così: “in Italia la gran parte delle persone è impegnata a organizzare il pranzo di Natale o a comprare regali e si preparano a riabbracciare le proprie famiglie. Voi non lo farete, so che vi pesa, ma forse vi peserebbe di più sapere che non state facendo il vostro lavoro per garantire sicurezza e serenità alle vostre famiglie. E nei confronti di milioni di famiglie che non vi conoscono e forse neanche se ne rendono conto”.
Guido Crosetto, Ministro della Difesa che prima della nomina è bene ricordare fosse presidente della Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza (AIAD), ha illustrato qualche giorno fa il decimo pacchetto di armi per garantire il sostegno italiano all’Ucraina per tutto il 2025, con un unico voto al Parlamento, prevedendo per i singoli invii solo passaggi secretati al Copasir. Durante l’incontro dei Ministri degli Esteri dei Paesi Nato della settimana scorsa, si è parlato di raggiungere il 2,5% di budget per la Difesa e, entro il 2030, un obiettivo del 3%. Per l’Italia significa trovare 20 miliardi di euro in più subito e altri 10 miliardi entro il 2030, per una spesa aggiuntiva per armi ed esercito di 30 miliardi di euro, per un totale di 60 miliardi l’anno, il doppio rispetto ad oggi. La richiesta degli USA è pressante, quindi occorre soddisfare gli alleati oltre oceano, il che viene rappresentato plasticamente dalla gara interna al Parlamento tra chi sia più atlantista tra Meloni e PD.
L’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la Politica Estera Kaja Kallas rincara la dose sottolineando che le capitali occidentali dovrebbero smettere di proporre colloqui di pace al presidente ucraino ma assicurare che le promesse di garanzia di sicurezza a Kiev non siano vuote. Si costituisce così il quadro adeguato per non tradire le aspettative espresse dal Segretario dell’Alleanza Atlantica Mark Rutte in occasione dell’incontro con Zelensky in cui è stato ribadito l’impegno dei Paesi Nato, tradotto: se gli USA vanno verso il disimpegno la sicurezza e le armi all’Ucraina deve garantirle l’Europa. Dal canto suo Zelensky, in un’intervista rilasciata a Le Parisien si è lasciato andare a sospiri di stanchezza, esplicitando l’incapacità militare dell’Ucraina di riprendere territori in Donbass e in Crimea ma, al tempo stesso, l’intransigenza a lasciarli in mano russa. La condizione per cui ciò dovrebbe avvenire è l’impegno diplomatico occidentale in una eventuale negoziazione. Un passaggio utile quindi a ricevere ulteriori aiuti sotto il ricatto americano, puntando sulla “benevolenza” e del sacrificio europeo del mettersi a disposizione per sostenere una parte in una guerra che, evidentemente, non ha alcuna possibilità di vincere.
Il riconoscimento del cedimento ucraino, come viene sottolineato dal generale Fabio Mini – che non è proprio il primo dei pacifisti – su un articolo apparso sul FQ, doveva essere evidente già da tempo, diciamo dall’inizio della guerra, e “sarebbe bastato quello ad evitare all’Ucraina mezzo milione di soldati eliminati e 10 milioni di cittadini scappati all’estero. La media di 14 mila soldati e 280 mila cittadini perduti, al mese, per anni. Ed è questo dato nudo e crudo che oggi dovrebbe far ragionare chi sta decidendo la continuazione a oltranza della guerra. Ma in quei giorni Zelensky e chi lo appoggiava dandogli armi e idee fantasiose e disastrose, ma comunque criminali, non volevano ragionare.” Dopo aver sacrificato mezzo milione di giovani ora ci si attrezza per non concedere una resa anche sul piano politico e questo passaggio potrebbe significare l’apertura di uno scenario ancora più ampio di guerra, più su larga scala e con maggior coinvolgimento. Anche perché è chiaro come, fino ad ora, la Russia non abbia messo in campo tutta la sua forza e tutte le sue possibilità nei termini di mezzi e di uomini, presupposto palese anche per chi non ha studiato tattica e strategia militare… Questo implica che uno scenario in cui non sarà più disposta a “compromessi” potrebbe finire. In questo periodo di transizione si potrebbe quindi scegliere di strutturare le condizioni di una guerra Nato che porterebbe gli alleati a un impegno tutt’altro che secondario.
Non capire che questo scenario è quello su cui si giocano le sorti del nostro futuro è miope. Pensare che la minaccia bellica, a partire dalla diffusa presenza di basi Nato su territorio italiano, alle aperture al nucleare da parte del nostro governo, dalla generale normalizzazione di un discorso che impone armamento e intruppamento della società, non sia reale è poco lungimirante. La materialità della guerra si percepisce da anni ormai sugli aumenti delle bollette del gas, sui tagli alla sanità, sui programmi scolastici, sulla crisi del settore produttivo che dalla Germania si allargherà alle regioni italiane che ancora mantengono in piedi un tessuto imprenditoriale, sulla messa a disposizione dei territori per fare dell’Italia un hub energetico: immaginare uno scenario in cui fare la nostra parte significherà anche altro non è un film distopico, per questo è necessario ora e laddove siamo collocati, ampliare e costruire un movimento sociale a partire dalle basi materiali della guerra e dei suoi effetti su tutti i territori, con tutte le forze disponibili.
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