Diventare tempesta, smascherare i responsabili
Un mese fa si è svolta a Napoli l’assemblea nazionale di Non Una Di Meno che sin da subito ha messo l’accento sulla volontà di rompere gli argini e da marea diventare rivolta.
In apertura della due giorni si è parlato di Tolhildan, parola curda che significa vendetta nel senso di “costruire il mondo per il quale le compagne e i compagni rivoluzionari hanno lottato fino all’ultimo giorno”. Grande attenzione infatti, è stata portata alla guerra in corso in Siria del Nord e dell’Est, per mezzo della quale la Turchia sta perpetrando un attacco sui corpi, sul territorio e sulle possibilità di costruire un sistema sociale differente, sotto il tacito accordo di tutta la comunità internazionale. L’assemblea ha attraversato numerose questioni, dalle pratiche, agli obiettivi, dall’immaginario, alle relazioni tra le soggettività e le altre realtà di lotta, nella piena consapevolezza che la fase attuale sia in totale continuità con quella precedente. È in questo senso che è stata ribadita la più totale autonomia del movimento con realtà istituzionali, come partiti e sindacati, sottolineandone la responsabilità nel riprodurre un sistema patriarcale e capitalista da ribaltare completamente. Particolare attenzione è stata data alle pratiche, in modo specifico alla pratica dello sciopero e alla volontà di relazionarsi con Friday For Future in una prospettiva di lavoro che faccia dello sciopero un processo che non si limiti alla giornata dell’8 marzo, evidenziando come possibile punto di congiuntura con il movimento ecologista lo sciopero dai consumi e di cosa questo significhi. La prospettiva più a breve termine ha riguardato l’organizzazione del corteo del 23 novembre, giornata di lotta a livello internazionale contro la violenza patriarcale.
In un momento in cui la recrudescenza dei femminicidi, l’aumentare della crisi, lo scarico dei costi e del lavoro riproduttivo su soggetti riconosciuti come quelli che hanno l’obbligo sociale di sobbarcarsi il lavoro di cura, è stata unanimemente condivisa la necessità di “rompere gli argini e diventare tempesta”, riconoscendo l’esigenza di porsi in attacco date le attuali condizioni di oppressione che trovano legittimità e sponda da parte dei canali istituzionali. In questo senso, l’assemblea di Napoli ha costruito un punto di vista in avvicinamento al corteo di questo sabato che spinge all’individuazione di obiettivi, emblematici nella riproduzione della violenza nei confronti dei corpi e delle identità delle donne e dei soggetti LGBTQIA+ di tutto il mondo. La violenza patriarcale e isituzionale ha molte facce e occorre smascherarle tutte : violenza è ciò che accade nei tribunali, luoghi in cui la giustizia non è mai tale, in cui le donne sono sottoposte a un duplice livello di umiliazione e messa a rischio dei propri corpi. È ciò che si riproduce e si legittima attraverso i media mainstream, attraverso articoli di giornale che ripropongono narrazioni tossiche, che legittimano femminicidi trasformandoli in delitti passionali ad opera di giganti buoni che si sentono traditi e che vengono colti da raptus improvvisi. È ciò che succede quando le donne sono obbligate a interfacciarsi con gli enti sociali di questo Paese, quando per ottenere le briciole di un sistema di welfare ridotto in pezzi ci si rivolge agli assistenti sociali, subendo il ricatto e la colpevolizzazione di non essere delle buone madri. È ciò che accade ai confini dell’Italia e in mare aperto, è ciò che si subisce nell’accesso alla salute, ai consultori, negli ospedali. È per tutti questi motivi che il 23 novembre si scenderà nelle strade a Roma con l’obiettivo di rendere visibili i responsabili e di annunciare l’indisponibilità ad essere l’ingranaggio di un meccanismo che per funzionare spreme tutti quei soggetti che assolvono funzioni fondamentali per la riproduzione della società. Andando verso un orizzonte in cui il dominio di genere, classe e razza si possa ribaltare a partire dalla costruzione di condizioni materiali nuove, lottando.
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