¡Il debito non si paga, la lotta non si delega!
Tutti questi segnali ci dicono che siamo alle porte di una nuova grande trasformazione che potrebbe durare anni e in cui si giocherà una partita fondamentale per determinare i nuovi equilibri di potere e ricchezza tra le classi. Uno scontro che non si giocherà solo alle nostre latitudini di provincia ma su uno scenario mondiale. L’avvitamento della crisi sta determinando una guerra senza esclusione di colpi tra vecchie e nuove potenze e nel campo occidentale gli Alleati di ieri fanno a gara su quale banca nazionale scaricare i costi. Al fondo della catena, i vari governi nazionali (con particolare distinzione de nostro) si impegnano in una sola direzione: taglio drastico della spesa pubblica e ristrutturazione pesante dei rapporti di lavoro.
Questa volta, per davvero, “nulla sarà più come prima!”
Se la situazione generale è così grave e strutturale, a casa nostra si pensa ancora alle vecchie ricette.
Partiamo da una constatazione tanto banale quanto indicativa: la Cgil è stata costretta ad indire uno sciopero che non aveva nessuna intenzione di convocare. Dopo un anno di isolamento programmatico della Fiom e la subalternità totale al sindacalismo giallo di Cisl-Uil per accreditarsi presso Confindustria, la Camusso prende finalmente atto che con la manovra si vuole la cancellazione definitiva non solo dell’articolo 18 ma di ogni rappresentanza formale che non sia alla Bonanni. Un bel cul-de-sac che la Cgil tutta si è scavata da sola, illusa di poter contare – nel momento del bisogno – sulla sponda politica di un Partito Democratico che non vedeva l’ora di smarcarsi da una parentela ritenuta comunque troppo compromettente.
L’apice di questa dismissione è stata la lettera promossa da Esposito (e prontamente firmata dall’ex-sindaco Chiamparino) con cui una fetta importante del Partito Democratico ha chiesto alla Cgil di rinunciare allo sciopero generale perché i tempi non sarebbero propizi e lederebbe intoccabili “interessi generali”. Si riedita insomma una politica dei sacrifici senza però alcuna contropartita per i sacrificati.
Non è un caso che questa proposta indecente giunga proprio dalla nostra città né che il primo estensore sia quel poliziotto mancato che ha voluto la militarizzazione della Val Susa. Su questo territorio e sull’intera contesa intorno al Tav si gioca una partita importante sul modello di sviluppo e sulle politiche economiche e fiscali che il ceto politico nostrano (senza alcuna distinzione tra Destra e Sinistra) intende riservare a tutto il paese.
La sentita presenza del movimento NoTav in questa giornata di mobilitazione è un segnale importante e prezioso che non dovrebbe essere sottovalutato. La gente della valle non scende oggi in piazza per mera solidarietà o appartenenza a quei pezzi di lavoro salariato che la Cgil dice di voler ancora rappresentare e difendere. I NoTav attraversano e riempono di contenuto questa giornata perché sanno benissimo che a manovra e i tagli a pioggia sono l’altra faccia del modello-Tav. Conoscono fin troppo bene – alla lettera- il significato dell’espressione “essere sulla stessa barca”.
Per questo la giornata di oggi deve essere intesa come una possibilità d’inizio e non come un punto d’arrivo, né tanto meno come scadenza spartiacque tra un prima e un dopo che troppi vorrebbero senza soluzione di continuità. Sull’approccio difensivo e inadeguato con cui la cgil si affaccia a questa giornata, non crediamo valga la pena spendere ulteriori fatiche. Più interessante ragionare sulla contingenza ben orchestrata che li ha obbligati fuori tempo massimo a convocare uno sciopero generale d’urgenza. L’invito è quello di assumere lo scollamento tra la Sinistra e la sua base storica come occasione unica per ripensare radicalmente la politica e il conflitto tra Capitale e Lavoro. Da anni la Cgil è investita di aspettative politiche da parte dei suoi tesserati affinché ricopra il vuoto la sciato dai partiti della sinistra. Le traiettorie degli ultimi anni mostrano chiaramente come quella scelta la cgil non voglia farla. Né è in grado di portarla avanti la sola Fiom, che giustamente cerca nei movimenti quella sponda politica che i partiti della sinistra non sono più intenzionati a fornirgli (neanche a parole). Ora, la barricata su cui si concentrerà lo scontro nei tempi a venire è quello sul debito che i capitalisti intendono esigere da chi sta in basso. Partiti di opposizione e sindacati tradizionali non possono pronunciare la parolina magica semplicemente perché a questo meccanismo sono legati a doppia mandata.
Il diritto all’insolvenza, il rifiuto di pagare il debito saranno dunque il programma minimo su cui attestare un largo fronte sociale contro la nuova grande espropriazione. Ma se la convergenza è chiara (cosa non del tutto scontata, almeno per ora) molto meno evidenti sono i passi necessari ad attuarla. Si tratta, niente meno, di trovare la chiave giusta con cui abbozzare una prima ricomposizione sociale contro i manovratori della crisi. Ancora una volta, non ci sono ricette pronte ma solo la necessità di scavare dentro i processi e facilitare quelli che permettono un effettivo potenziamento di chi deve resistere ai nuovi tornado della finanza e delle politiche statali che la sorreggono.
Da sempre nella nostra pratica politica (e nella riflessione con cui cerchiamo di accompagnarla) diamo molto peso all’anti-istituzionalità, da noi intesa non come irrigidimento di principio ma come prassi quotidiana, condotta politica necessaria per non essere risucchiati dagli apparati di cattura con cui la politica ufficiale addomestica e normalizza i più genuini sussulti di ribellione che ciclicamente emergono nel corpo sociale. Siamo spesso stati tacciati per questo di estremismo e eccessiva velleità. Eppure i tempi sembrano però darci ragione se è vero che gli indignados spagnoli partono da un’equivalente opposizione a Socialisti e Popolari e le piazze greche s’impegnano in una battaglia sociale senza sconti contro il Partito Social-democratico.
Il problema è oggi quello di coniugare lotta e riproduzione sociale contro-, l’essere radicali senza essere minoritari. I processi innescatisi in questi ultimi mesi (dal notav a quello che osserviamo partecipi fuori confine) ci dicono che la scommessa merita di essere giocata, con buona pace di quanti nel nostro paese s’illudono ancora di costruire improbabili alternative in seno alle istituzioni, a mezzo di una rappresentanza più volte data per spacciata ma sempre ripescata dal cilindro.
Da queste considerazioni proviamo a partire per questo autunno che ci auguriamo lungo e denso di battaglie, disponibili a sporcarci le mani con quanti , in città e altrove, – da questa parte della barricata – saranno disposti a battersi. Senza pregiudizi né sconti per nessuno.
#ribelli al debito
Network Antagonista Torinese
Comitato di lotta popolare NoTav
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