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«Moiano gli affamatori! Viva il pane!»

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Cit. Manzoni, I Promessi Sposi, Capitolo XII

Da Catania a Napoli, da Bari a Palermo, il Meridione assume sempre più i connotati di una polveriera pronta ad esplodere: si moltiplicano i tentativi di esproprio nei supermercati, si diffondono con velocità incoraggiante forme embrionali di organizzazione in tal senso, addirittura un tir carico di alimenti viene assaltato in Puglia.

La sensazione è che i titoli dei giornali più o meno progressisti della società civile, che notano preoccupati come la paura inizi a divenire rabbia, per una volta esprimano un’opinione conforme alla realtà; e quest’impressione viene solamente rafforzata dalla ricomparsa sulle testate nazionali del babau della mafia. Di fronte all’eccedenza sociale e politica del Mezzogiorno, del resto, basta tirare fuori dal cilindro la parolina magica e appiattire la narrazione e l’analisi trasportandole nel dietro le quinte di una fiction da prima serata: la mafiosità si configura come uno specchietto per allodole che da un lato criminalizza la rabbia di chi ieri non arrivava alla fine del mese, figuriamoci oggi alla fine della quarantena, dall’altro invoca una volta di più a stringersi a coorte in difesa dello Stato. Senza lanciarci in lunghe considerazioni sull’argomento, risulta subito evidente come il mondo di vertice della criminalità organizzata e gli episodi dei supermercati vivano di traiettorie a dir poco estranee: questi fatti, unitamente ad un’intensificazione generale dei comportamenti di illegalità diffusa, testimoniano che la “bolla pronta ad esplodere” sia in realtà un conflitto già deflagrato.

Lo Stato si asserraglia in difesa, agitando spauracchi concettuali e narrativi e, soprattutto, rinforzando i suoi dispositivi fisici di controllo: che le forze dell’ordine presidino i supermercati, che i manganelli facciano capolino nelle corsie di ospedale, che la polizia postale rintracci gli “sciacalli della rabbia sociale” che dal web gettano benzina sul fuoco. La realtà parla una lingua ben diversa e racconta delle ampie fasce di popolazione nel Meridione che risultano escluse dai meccanismi di tutela dello Stato, dai sistemi di welfare al mare magnum del lavoro nero e grigio: l’emergenza Covid-19 ha disvelato e indicato con forza tutte le crepe che adesso possono farsi voragine. Gli aiuti economici tanto millantati non arrivano, la cassa integrazione ad oggi è una promessa non suffragata dalla realtà, l’estensione del reddito di cittadinanza, o l’erogazione di un reddito di quarantena, risulta un miraggio: l’illusione di uno stato di diritto in grado di tutelare e regolamentare si sgretola con la stessa velocità con cui si saturano i reparti di terapia intensiva. Tenendo a mente la necessità di una prova ulteriore, due dati possono essere notati con facilità: ad oggi, la paura sociale non si dà la configurazione della “guerra fra poveri”, ma verticalizza spontaneamente la rabbia verso l’alto. Le invocazioni al governo scarseggiano, così come l’espressione massificata di un dissenso da convertire in forza elettorale d’opposizione; si erge il supermercato come luogo privilegiato di conflitto, come obiettivo strategico per la risoluzione, materiale e materialistica, dei propri bisogni.

Nell’ultimo decennio, l’atteggiamento che leggeva ipermercati e centri commerciali come non-luoghi è andato evolvendosi, fino ad ipotizzare che questi ultimi siano forse gli unici, veri luoghi della contemporaneità occidentale; e questo a maggior ragione in un momento in cui le lunghe code per le spesa sono l’unico momento di contatto umano nell’isolamento della quarantena. Gli episodi più lampanti degli espropri, le pratiche di solidarietà come il “carrello sospeso” e anche, più semplicemente, le chiacchierate nelle corsie rappresentano aspetti interconnessi di un’unica tendenza: la diffusione e il progressivo rafforzamento di una sorta di comunità embrionale, che prova spontaneamente ad organizzarsi per soddisfare i suoi bisogni, dalla materialità dei pacchi di pasta alla necessità di uno sguardo amico. Una possibile forza, certamente in divenire, che però fa già spavento: se la paura è un dispositivo di controllo eccezionale e a basso costo, è interessante notare come gli spettri che animano la narrazione della controparte tornino ad essere inseriti in un campo ben preciso e familiare. Confindustria demonizza lo sciopero, Conte tenta l’equilibrio tra il fantasma del blocco economico e le necessità sanitarie, le informative dei servizi espongono il rischio di rivolte e sommosse nel Mezzogiorno: nel deflagrare dei conflitti e all’ombra dei timori del nemico, la fine della produzione, della merce, della pacificazione.

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