Pornizzazione dello stupro: anche la violenza è merce
Probabilmente non è stata un’estate con più stupri delle altre. I giornali ne hanno solo parlato di più, e ne hanno parlato male. Dal doppio stupro di gruppo avvenuto a Rimini, allo stupro di due ragazze da parte dei due carabinieri a Firenze, all’arresto del carabiniere rivelatosi uno stupratore seriale di 16 donne. No, gli stupri non sono finiti, non è importante contare di quanto siano aumentati o diminuiti. La statistica non può essere un criterio col quale misurare quanto sia grave la violenza degli uomini sulle donne. Stuprano tutti: bianchi, immigrati, carabinieri, padri, sconosciuti, conoscenti e vicini di casa. Stuprano gli uomini. Certo più si pensa che il rapporto di potere sia forte, più gli uomini si sentono di poter stuprare e se addosso si ha una divisa il senso di impunità aumenta.
Se le violenze sessuali hanno fatto notizia è per l’uso strumentale che se ne è fatto, di come lo stupro è stato rappresentato e narrato sui giornali.
Per prima cosa, è vero, le notizie vengono strumentalizzate, I carabinieri stupratori sono mele marce e invece gli immigrati sono tutti potenziali stupratori. Tutti i titoli dei giornali, in cerca di attenuanti, si sono premurati di riportare la “confessione” di uno dei due militari: “era consenziente” avrebbe detto. Non solo è servita un’ammissione da parte dell’uomo per confermare la denuncia della giovane americana, la parola della donna non basta mai, ma pure questa confessione è servita in fondo a provare a scagionare il carabiniere. È un’ammissione di innocenza perché la vittima era consenziente… come dire che si non si pensava che la vittima fosse ubriaca. Un’infamia non dissimile da quella del famoso mediatore culturale espressosi sui fatti di Rimini: “all’inizio fa male, ma poi piace e si gode come in un normale rapporto sessuale”. Se queste fossero giustificazioni torneremmo a dire che lo stupro è una cosa opinabile perché lo stupratore non si è reso conto… La parola non basta. Cosa serve per provare la violenza? Un video nel telefono di una delle due ragazze mostrava un uomo in divisa e le urla ‘’bastard!’’. Doveva urlare più forte?
Lo stupro diventa una cosa di cui i quotidiani parlano morbosamente, nei particolari. Ci fanno sembrare che ne debba uscire all’infinito un nuovo episodio, una seconda o terza parte ad effetto come se fosse una serie TV. Tutti aspettano, per sapere da internet se uno stupratore è colpevole solo un po’ o molto, se la vittima è vittima a metà perché ha invitato a casa sua l’uomo che l’ha violentata. Per saperlo serve conoscere, per giudicare serve il dettaglio.
Ogni giorno esce qualche nuovo particolare, senza pudore: cosa ha detto la vittima, quanto ha urlato, di cosa ha avuto paura, in quanti l’hanno solo toccata o in quanti hanno avuto un rapporto completo, in quanti lo hanno fatto contemporaneamente o a turno.
La cronaca delle violenze sessuali diventa materiale pornografico di cui tutti possono usufruire. La ricerca di questi dettagli è ossessionante.
Questo genere di pornografia contiene in sé l’idea che dello stupro di una donna o di qualunque persona possano usufruirne e goderne tutti, non solo lo stupratore. Ne possono godere gli utenti facebook, chi compra i giornali, ne possono godere i politici che ricondividono questi titoli come Matteo Salvini o che vogliono giustificare uno stupro come il sindaco Nardella. Porta click.
Quello della circolazione di notizie sugli stupri è un dialogo da uomo a uomo anche questo spesso spinto dal piacere di godere senza permesso, facendo violenza – non usiamo mezzi termini nel dirlo-, un dialogo che parte da chi si premura di conoscere tutti i dettagli della questione direttamente dalle vittime come gli inquirenti di turno e da questi arriva a chi sceglie i dettagli più eccitanti per un pubblico che viene abituato a provare indirettamente piacere dell’intimità violata della vittima. Perché in fondo il meccanismo è lo stesso: c’è una produzione di un pubblico che consuma la merce della violenza sulla donna ed è un pubblico di uomini che viene abituato a incuriosirsi, a voler sapere, a provare piacere a sapere, a godere. Le persone stuprate ancora una volta non sono tenute in considerazione.
La violenza dello stupro non è solo l’atto che si consuma in quel momento, è tutto questo, una catena di usufruitori dell’episodio. La sua mercificazione. Di chi subisce violenza cosa resta se non il consumo del fatto che fosse lì? E tutti ora sanno come, poi la si può pure gettare via.
Le donne hanno conquistato lottando che non fosse più una vergogna parlare di stupro. Ma ancora una volta chi gode di tutto questo è il maschile, ancora una volta chi racconta è il maschile , a conoscere le informazioni e a diffonderle sui social è il maschile. Anche in questo c’è un rapporto di subordinazione delle donne. Riappropriarci di tutto questo sarà uno dei nostri obbiettivi.
È necessario un altro modo di raccontare le violenze, un modo che non ci renda spettatrici e spettatori di un film porno, un modo che dia forza alle vittime e non che le affossi, un modo che le preservi e permetta loro di lottare contro il giudizio di chi guarda. Non è compassione che serve e non siamo la vostra merce.
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