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A conclusione di “Valsusa, l’università delle lotte Vol.II”

La settimana si è snodata tra dibattiti su giovani, formazione, sulle trasformazioni dell’università e della composizione che la attraversa, sulla questione del reddito e della possibilità di ricomposizione che apre. Abbiamo posto il problema di come conoscenze, dati e saperi vengano riprodotti all’interno del modello di sviluppo capitalistico ad altissima velocità trasformando profondamente la società in termini di composizione e soggettivi, ipotizzando come muoversi in termini conflittuali ed antagonisti dentro questa accelerazione, anche rompendo la temporalità capitalistica. Ci siamo confrontati sulle potenzialità delle diverse esperienze che, a cavallo dei contesti universitari, sono state capaci di essere momenti di intercettazione di istanze, laboratori di sperimentazione: di inchiesta, di riappropriazione e di conflitto. Insieme a dei testimoni diretti ci siamo confrontati sul movimento turco scoppiato a Piazza Taksim e sui movimenti in Brasile, come sono stati capaci di generalizzazione nella contestazione alla politica dei rispettivi governi.

Parallelamente diverse iniziative di lotta sono state partecipate da quanti si trovavano al campeggio: dal pranzo davanti ai cancelli della centrale di Chiomonte, alle passeggiate in Clarea e alle battiture. Non si può certo escludere da questa narrazione quanto successo il venerdì sera. All’interno dell’iniziativa di lotta programmata è avvenuto l’arresto di due compagni, Paolo e Forgi, che si sono spesi con costanza nell’organizzazione del campeggio e nella partecipazione alle iniziative del movimento No Tav. Da tutti i partecipanti è stata espressa solidarietà e vicininanza contro questi atti di criminalizzazione e repressione di movimento NoTav.

Ancora una volta per tutt* noi la Val di Susa da esempio di un movimento maturo e compatto, un movimento che non lascia nessuno indietro, ma che difende senza dubbi e ripensamenti i propri figli e le proprie figlie. Proprio per questo “Valsusa, l’università delle lotte” è anche occasione per comprendere, non in maniera ideologica ma con intelligenza e domanda, come questa valle ribelle resiste da anni alla grande opera inutile e continua a rafforzarsi. La scelta di far vivere qui questo campeggio non è, quindi, stata semplicemente simbolica o solidaristica, ma testimonia della necessità e della voglia di diffondere movimenti, lotte e conflitti in tutto il paese a partire dalle nostre vite di giovani, tra università e incerti lavori.

La fase che abbiamo davanti ci pone, dentro un’Italia in cui la crisi sta dispiegando i suoi effetti sul tessuto sociale, alcune domande fondamentali. Come costruire una risposta che sia all’altezza all’attacco violento della controparte? Anche nel mondo della formazione e in quello giovanile dobbiamo prendere atto della trasformazione sostanziale di alcuni dispositivi di organizzazione sociale, controllo e disciplinamento che, in tendenza, diventano sempre meno funzionali al progetto capitalistico per il nostro paese. L’università post-Riforma Gelmini, la riorganizzazione degli spazi edei tempi urbani di produzione e riproduzione sociale dentro la crisi ci impongono la necessità di mettere a verifica vecchi strumenti e ipotesi di lavoro: lì dove ormai feticcio provare a costruirne altre, lì dove ancora utili provare a ricontestualizzarle ed aggiornarle. Anche se attraversiamo un momento di mancanza di movimenti appare evidente che dentro la composizione sociale giovanile esistano forme di comportamenti incompatibili con l’esistente, spesso contraddittori, ma reali e parallelamente ci sia una certa disponibilità al conflitto sociale e alla mobilitazione. Rimane però netta la necessità di comprendere come organizzare e indirizzare queste incompatibilità, come riuscire a generalizzare bisogni e desideri nei termini della rottura e della pratica destituente e costituente di nuove forme dell’organizzazione sociale.

Nel guardare al presente, verificando i passi fatti, certamente è importante rendersi conto di alcune sottovalutazioni avvenute nei cicli precedenti. Dove un’istanza come quella meritocratica, viscida e contraddittoria, a ben guardare nasconde anche la possibilità di un’istanza di classe. Provare a sperimentare ed assumere strumenti che tentino di essere indicazione in questa direzione è una scommessa da cui non ci si può sottrarre. Soprattutto in questa fase di non-movimento, per provare a costruire le condizioni per nuovi cicli di lotta, diventa sempre più importante ricentrare il nodo sul costruire, potenziare soggettività all’interno della composizione di classe. Agire forzature che siano riproducibili e comprensibili dentro il senso comune, riappropriarsi di spazi attraverso la costruzione di identità larghe attraversabili da consistenti parti di composizione giovanile, immaginare e praticare parole d’ordine generalizzanti e ricompositive sono alcuni degli aspetti che bisogna mettere nelle agende delle ipotesi di lavoro. Alcune parole d’ordine in questo senso si sono già definite a partire da una critica all’università. All’oggi attestarsi sulla difesa del pubblico non solo è arretrato, ma è anche fuori dalle istanze dei molti che abbandonano l’università o che l’attraversano in termini sempre più strumentali per evitare di doversi tuffare immediatamente alla ricerca di un lavoro oppure nella speranza che quel pacchetto di competenze dequalificate fornite possa servire ad una minima ascensione sociale (possibilità sempre più minoritaria). Oggi diventa fondamentale praticare una critica a tuttotondo del dispositivo universitario inserendosi nelle contraddizioni della nuova fase e provando a disarticolarlo completamente. Iniziare e praticare percorsi che mettano in discussione il “chi decide” all’interno delle mura degli atenei, costruire rapporti di forza, forme di contropotere che cerchino di rovesciare il segno del sistema universitario, può essere un punto di partenza.

D’altrocanto certamente assume sempre più importanza un’altra parola d’ordine e cioè quella della riconquista di reddito. Anche qui le ricette che vorrebbero articolare una possibilità di richiederlo non tengono conto dei rapporti di forza e della necessità di utilizzare questo volano come potenziante per il movimento e non come tappo delle lotte. In questo senso oggi la riappropriazione del reddito come base di lavoro per provare a costruire forme di vertenzialità deve essere praticata e reinventata su molti piani, da quelli più bassi del costo dei libri fino a quelli più alti magari delle tasse universitarie e dell’affitto della casa. Un altro piano che collima con quello del reddito, ma assume anche altri aspetti, è quello della socialità. Dove l’espropriazione delle capacità, delle ricchezze e delle relazioni sociali da parte capitalista diventa talvolta violenta, provare a proporre e rilanciare momenti di riaggregazione dentro e fuori dalle mura dell’università che siano agiti nei termini dell’incompatibilità e del conflitto, che provino ad essere costituenti di nuove forme di riproduzione sociale è un aspetto daconsiderarsi al pari degli altri. Costruire ed agitare una socialità conflittuale, imprimere accelerazioni sul terreno del reddito, sperimentare, costruire e territorializzare nuove forme organizzative del soggetto giovanile ai margini dell’università è la direzione che proviamo a verificare a partire dalla scommessa del conflitto e del metodo antagonista.

Certo non si può dimenticare, nel leggere il contesto in cui si muovono le soggettività universitarie, la larga fetta di composizione giovanile che fuoriesce in maniera individuale dall’azienda di formazione. Questa parte di composizione nelle poche esplosioni conflittuali alte che ci sono state nel nostro paese ha giocato un ruolo importante e dimostrato una larga disponibilità alla lotta. Cercare di ipotizzare campi di intervento che provino ad intercettare questa composizione, che la organizzino sui nodi del reddito e della socialità può essere produttivo nel segnare una continuità dell’azione di questo soggetto.

Guardando all’autunno su tutti questi piani progettuali di certo non si può che pensare che il governo di pacificazione messo in piedi da Letta sia una delle controparti da colpire per rompere la dimensione di governabilità che questo governo fantoccio delle larghe intese rappresenta.

Costruire le condizioni per una messa in discussione reale degli assetti di potere attuali rimane il nodo e alcune sono state le date individuate in cui provare ad agire livelli di agitazione nazionale che provano a rispondere a questa affermazione. Partendo dall’Hubmeeting di Barcellona dal 13 al 15 settembre, con la possibilità di attraversare la data del primo corteo nazionale degli studenti medi del 4 ottobre e costruendo una giornata di agitazione universitaria in concomitanza della giornata di mobilitazione transnazionale del 15 ottobre. Date utili per proiettarci verso la data nazionale del 19 ottobre a Roma, dove sarà importante per giovani e studenti giocare un ruolo che non sia solo concentrato su quella data, ma che provi a riportare sui territori le istanze di riappropriazione, provare a sostanziare queste indicazioni e agire la scommessa di un altro passaggio di rafforzamento della lotta contro l’austerity.

Collettivi universitari, studenti e studentesse che hanno partecipato a “Valsusa, l’università delle lotte”

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