Ab integro nascitur ordo: il regno della tecnica e l’università neoliberale del rettore Ubertini
Il rapporto fra tecnico e politico è fortemente problematico e informa problemi di vecchia data. In un breve intervento, pubblicato nel dicembre del 1929 e meno conosciuto di altri scritti, quanto altrettanto prezioso, Carl Schmitt affronta la questione e fornisce alcuni strumenti concettuali utili a inquadrare il problema e ipotizzare una sintesi. L’estratto è intitolato “L’epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni” e, tra le sue pagine, si tenta di ricostruire la storia della modernità europea tramite la progressiva successione di centri di riferimento neutrali e spoliticizzanti, ovvero di terreni comuni in grado di neutralizzare i conflitti interni al continente e di garantire un ordo comune alle nascenti realtà nazionali; terreni in cui lo scontro politico, lo scontro fra un amico e un nemico, sarebbe stato regolato dall’adesione ad orizzonti valoriali condivisi. L’unico ambito attorno al quale è possibile, agli albori del Novecento, trovare un nuovo terreno «assolutamente e definitivamente neutrale» è quello della tecnica. La fede nella «cupa religione del tecnicismo» è l’unico collante in grado di tenere assieme un continente lacerato dalle pulsioni nichilistiche dell’era industriale.
È chiaro che tale potenziale neutralizzante è solo presunto: «Il processo di progressiva neutralizzazione dei diversi ambiti della vita culturale è giunto al suo termine poiché è arrivato alla tecnica. La tecnica non è più terreno neutrale nella linea di quel processo di neutralizzazione e ogni politica della potenza può servirsene»; il carattere mistificante di una tecnica di volta in volta asservita agli scopi di chi detiene il potere politico è presto svelato. D’altronde tale tesi sarebbe stata confermata solo qualche anno più tardi quando, con lo scoppio della seconda guerra mondiale, il mondo avrebbe conosciuto l’esempio del più necrogeno uso politico della tecnica, ovvero i campi di sterminio associati all’immensa potenza di fuoco della Germania nazista, provocato dall’incontro fra lo Stato autoritario hitleriano e la teoria keynesiana della pianificazione economica.
L’ambito tecnico e quello politico sono antitetici e continuano ad esserlo a quasi un secolo dalla riflessione schmittiana. Il politico in quanto scontro prospettico fra un amico e un nemico cessa, o pretende di cessare, dove inizia a dispiegarsi il potenziale tecnico. Non si tratta, qui, di denunciare le storture dell’eccessiva fiducia nella ratio occidentale o di mettere in evidenza l’altra faccia della medaglia del prix du progrès: la posta in gioco è ben più alta e conduce immediatamente alla riflessione sui confini del politico e sulla sua legittimità nell’epoca della “fine della storia”. Si tratta, qui, di determinare se, e in che misura, sia possibile riattivare un conflitto politico reale, con tutto ciò che ne consegue: nuove determinazioni spaziali, la ridefinizione dei rapporti di inimicizia e, soprattutto, forme di riconoscimento di tipo nuovo, che non si limitino a squalificare il conflitto come “atto criminale”.
Questi i tratti qualificanti dello scontro sulla Biblioteca di via Zamboni 36, questo è ciò che si cela dietro alla questione dei tornelli e non è un caso che, dopo settimane di silenzio, il Rettore Ubertini si esprima pubblicamente per la prima volta invocando la potenza pacificatrice della tecnica, che i tornelli veicolerebbero con loro. È un antico vezzo liberale quello di ricercare orizzonti di senso artificiali volti ad esaurire preventivamente i conflitti, l’atteggiamento del nuovo Rettore dell’Università di Bologna si inserisce in tale scia: il continuo richiamo alla “comunità Unibo”, alla pacificazione interna e al senso di responsabilità dei membri dell’Ateneo tradiscono la volontà di costruire uno spazio liscio e ripulito della sua decennale, se non secolare, storia conflittuale. Le ragioni sono molteplici, ma muovono principalmente dalla necessità di adeguarsi ai rankings accademici internazionali e ai tempi e ai ritmi del mercato della conoscenza.
Si può ipotizzare che siano queste alcune delle ragioni che hanno condotto nel giro di pochi giorni alla nota escalation, culminata con l’ingresso, inedito nella storia dell’Università di Bologna, dei reparti celere all’interno della Biblioteca al fine di sgomberarla. È sempre Schmitt a ricordarci, nel suo “Il concetto di ‘politico’”, quanto «la polizia non [sia] qualcosa di apolitico» e che ruolo essa abbia, al contrario, nella gestione della, latente, guerra civile interna agli Stati in cui, per definizione, «l’avversario non si chiama più nemico, ma perciò egli viene posto, come violatore e disturbatore della pace hors-la-loi e hors l’humanité», ovvero fuori da qualsiasi forma di riconoscimento politico. Polizia e tecnica si collocano agli antipodi rispetto al “politico” in quanto tale e sono retti da un rapporto inversamente proporzionale: i primi possono prevalere a scapito del secondo e viceversa. Qualsiasi punto di incontro fra i supporters dell’ordine e della pace assoluti, forti della loro impalcatura tecnico-poliziesca, e i soggetti portatori di istanze in grado di perturbare quest’ultimo si rivela impossibile.
Le chiacchiere di Ubertini sul dialogo e sulla pacificazione sono, di conseguenza, prive di senso e il rampante Rettore dovrebbe forse riflettere ulteriormente sul peso delle parole e dei gesti che egli utilizza nell’approcciare i conflitti che insorgono tra le mura del suo Ateneo. Le assemblee oceaniche, gli innumerevoli cortei partecipati da migliaia di studenti, gli scontri e le barricate di Piazza Verdi dovrebbero far suonare il campanello d’allarme di un Rettore che, evidentemente, aveva fatto male i conti.
A nessuno è dato sapere come andrà a finire, quello che è chiaro è che non soltanto qualcosa si è rotto all’interno della rigida macchina dell’esamificio Unibo, ma che sul piatto, stavolta, la posta è molto alta e informa immediatamente non solo i conflitti a venire, ma la possibilità stessa della loro affermazione. Non si tratta solo di capire chi vincerà la battaglia campale del 36, ma se, nel corso della guerra, la componente studentesca, in particolare, e quella giovanile, in generale, riusciranno a ridefinirsi in quanto soggetti di tipo nuovo: oltre la retorica del potere, oltre le mistificazioni dell’appello a un ordo tecnocratico che inizia a scricchiolare.
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1 – Tratto da: http://www.radiocittadelcapo.it/archives/ubertini-prova-a-smorzare-la-protesta-tornelli-senza-valore-politico-parliamo-della-zona-universitaria-180210/, 21 febbraio 2017.
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