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Dal 15 ottobre dobbiamo #ripartire

Cosa è stato il 15 ottobre? Innanzitutto l’espressione di un’eccedenza radicale, massiva e trasversale. Da questa angolatura ritroviamo molto di quel 14 dicembre 2010, di quel proletariato giovanile, di quella generazione precaria e irrappresentabile, per quanto permangano delle sostanziali differenze. Mentre il 14 l’obiettivo comune era ben chiaro seppur articolato nelle differenze della composizione di movimento (la sfiducia dal basso al governo Berlusconi, alla classe politica che invece si ‘salvava’ con uno dei tanti Scilipoti), il 15 è stato piuttosto annebbiato, perso tra le manovre di alcune soggettività nostrane che lo hanno proiettato come vetrina mediatica per il proprio ‘soggetto’ e altre che lo hanno agito come semplice sfilatina con un occhio alle prossime elezioni. Dentro questo livello di realtà però si è data una scollatura tra soggettività militanti e composizione del corteo, dove la generazione precaria con gli occhi pieni delle immagini dei riots londinesi, dell’occupywallstreet, delle acampadas spagnole, della primavere araba, etc, immaginava e sperava di trovarsi dentro una giornata di lotta, di conflitto, anche diversificato e vario, ma pur sempre di conflitto. Chi deve, si assuma questa responsabilità: non aver capito ciò, o peggio, averlo rimosso, non è stato un errore da poco. Dobbiamo lavorare per un allargamento del consenso intorno al nodo del conflitto? Certo che si, le lotte assumono potenza politica quando sono massificate e non ridotte all’avanguardismo, qui però serve intelligenza non tecnocrazia.

Dalle brutture spontaneistiche e ghettizzate, dalla violenza delle cariche poliziesche, è scoppiata poi una rabbia potentissima, capace di esprimere delle pratiche avanzate di resistenza, di riconquista, di rivolta. Questo è il dato che ci interessa, questo è ciò che riteniamo importante, politico! Una scossa dalla quale ripartire, per indagarla, nell’interesse dei movimenti. Assimilare quel che è successo in piazza San Giovanni con l’animale mitologico del black bloc è una forzatura ideologica agita dai media, da scardinare in toto. In quella piazza a mettere i loro corpi in gioco di fronte ai caroselli della polizia c’era una generazione di irrappresentati ed irrappresentabili, stufi di piegarsi al corso degli avvenimenti, con addosso la rabbia di una vita senza prospettive, bollata – da altri, dai piani alti – come sacrificabile. Verrebbe ancora da dire, pensando all’ultimo ciclo di lotte studentesche, al boato di piazza del Popolo, all’esplosione di piazza San Giovanni: le piazze scavalcano ancora ‘a sinistra’ le componenti organizzate, rimane al palo l’auto-rappresentazione, va in scena il reale.

Adesso si pongono una serie di domande da considerare, una serie di nodi aperti che non si possono lasciare per strada. Sulla composizione, sulle soggettività, ma anche – se vogliamo – sul declinare collettivamente le questioni abusate ma non maturate sul consenso, sulla democrazia, sulla direzione di un movimento, quello degli indignati, che esiste – interessatamente – solamente per il Partito de La Repubblica. Il 15 ottobre rimane una giornata da problematizzare, da rileggere e considerare su più livelli e punti di vista, interni ma anche esterni al movimento; sicuramente è stata e deve essere una palestra di ragionamento collettivo, dalla quale dobbiamo ripartire.

Collettivo Universitario Autonomo – Torino

facendo movimento per il movimento

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