Stop Infowar: fuori la guerra dall’università!
Benché il titolo della conferenza “Protezione Cibernetica delle Infrastrutture Nazionali” non sembri nulla di pericoloso l’intero ciclo di queste conferenze mira a rafforzare e propagandare il sodalizio tra l’università pubblica e applicazioni belliche. Il tema trattato, l’information warfare, è infatti l’ultima frontiera della guerra tecnologica, ovvero delle applicazioni informatiche e tecniche utilizzate nel conflitto globale, sia che esso riguardi un nemico esterno, come una nazione estera, o interno, come l’opinione pubblica o eventuali dissidenze.
La guerra dell’informazione è articolata in vari punti applicativi: raccolta di informazioni tattiche, propaganda e disinformazione (allo scopo di manipolare sia il nemico sia il pubblico), guerra psicologica, economica e il cyberwarfare.
Proprio queste tematiche sono state al centro degli incontri precedenti, tra cui quello in aula magna”La Sapienza” dello scorso 8 Novembre: nel convegno a porte chiuse sono stati presentati i più avanzati strumenti tecnologici in materia di distruzione delle infrastrutture critiche di un paese (sistemi di distribuzione idrica ed energetica, telecomunicazioni, ecc.) attraverso attacchi cibernetici.
Lo scenario descritto è molto simile a quello che abbiamo davanti ai nostri occhi nell’attuale scenario di guerra in Siria e nel precedente conflitto in Libia.
Attraverso il sito del convegno (www.infowar.it) i partecipanti ci comunicano che un cyber-attacco massicciamente destabilizzante (una sorta di “11 settembre 2001 cibernetico”), portato avanti anche tramite azioni più subdole di manipolazione ed “eterodirezione” della sua opinione pubblica e leadership politica, produce una situazione di diffusa e intensa incertezza che indebolisce le capacità dello Stato aggredito di contrastare l’escalation di una eventuale crisi.
L’incontro è finalizzato a rafforzare la “sinergia” tra ricerca tecnologica pubblica e privata. L’accordo, già firmato dal “Magnifico rettore Frati”, punta non solo a garantire una costante entrata di fondi privati nell’ambito della ricerca, direzionandola secondo le esigenze di mercato ed in particolare verso quelle militari, ma, soprattutto, a garantire una formazione adeguata ai nuovi lavoratori della guerra.
A tal scopo è stato fondato a “La Sapienza” un apposito centro di ricerca, il CIIS (Cyber Intelligence and Information Security), collaborazione tra vari dipartimenti e facoltà, in particolare ingegneria e informatica. Un centro di ricerca, come dichiara in un’intervista uno dei dirigenti Finmeccanica, “finalizzato a produrre tecnici in costruzione di armi cibernetiche”.
Questo è il regalo lasciatoci da una serie di riforme universitarie che hanno determinato l’ingente entrata dei privati sia come finanziatori, sia come partner operativi di ricerca.
Nel caso specifico le aziende che partecipano a quest’”avventura scientifica” sono Finmeccanica, il primo produttore di armi in Italia e la Maglan, società israeliana di difesa ed informazione, leader nel settore della cyber-guerra: controllo dei droni, coordinamento di operazioni offensive, raccolta di informazioni tattiche ecc.
La Maglan è ideatore e principale finanziatore dell’intera operazione: questa azienda stanzia circa un milione di euro l’anno per favorire collaborazioni con enti di ricerca pubblici internazionali, da affiancare ai suoi laboratori nei dintorni di Tel Aviv.
Su questa collaborazione Shai Blitzblau, il fondatore della Maglan nel 1998, ha dichiarato:
“Lo sviluppo rapido della cyberguerra pone delle sfide di difesa e di intelligence che esigono delle reazioni rapide nello spazio cibernetico. C’è un bisogno costante di trovare e sviluppare tecnologie di punta innovative, tattiche di difesa, d’attacco e di raccolta di risorse cibernetiche. La ricerca Universitaria è per ora disconnessa dalla cyberguerra operativa. Noi speriamo che quest’iniziativa possa mettere in piedi un programma di ricerca pratico che fornirà una piattaforma flessibile per la promozione della ricerca e sviluppo nel campo della cyberguerra, in particolare di provenienza di altri ambienti rispetto a quello universitario classico. Più allargheremo la nostra riserva di conoscenze tecnologiche sulla base di strumenti di ricerca attuali,. Più saremo in grado di offrire armi molto innovative per la difesa del cyber spazio.”
Da una rapida consultazione del materiale che questi stessi figuri rendono disponibile attraverso il loro sito, diventa lampante come la ricerca per scopi dichiaratamente bellici sia fondamentale per l’attuazione del nuovo conflitto globale; è inoltre spaventoso prendere coscienza delle nuove frontiere della guerra tecnologica e dei “problemi” che essa si pone: Legittima difesa preventiva, armi ad energia diretta, accomunazione di concetti come militari-miliziani-civili-insorgenti in previsione di conflitti asimmettrici (il confronto militare tra un esercito “ordinario” e operazioni di guerriglia attuate da popolazioni insorgenti e resistenze popolari)
L’università, collaborando con la Maglan, contribuisce attivamente allo sviluppo di strumenti volti al massacro di migliaia di esseri umani, al controllo sociale, addomesticamento e distruzione del dissenso.
Se la collaborazione con un’azienda bellica israeliana non fosse sufficiente a testimoniare l’impianto guerrafondaio e repressivo dell’intera operazione, per avere un’idea dell’ideologia che permea questi centri di ricerca, si può fare visita al sito del CSSII, il corrispettivo fiorentino del CIIS di Roma. Sul suddetto sito, infatti, è possibile ammirare i link che inneggiano alla liberazione di Girone e La Torre, i due Marò responsabili dell’uccisione di due pescatori indiani.
La lista delle aziende private che sostengono l’iniziativa è purtroppo lunga e agghiacciante:un altro partecipante è la ELT, azienda che produce i software per guidare aerei militari.
E’ scandaloso veder organizzare, per di più all’interno di un’università, la sfilata delle più potenti aziende militari che si fanno pubblicità e arruolano cervelli per i lori sporchi interessi, il tutto patrocinato dal Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero degli Affari Esteri, Ministero della Difesa, Ministero dell’Interno, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministro per la Pubblica, Amministrazione e l’Innovazione, Polizia di Stato e con niente meno che l’adesione del Presidente della Repubblica.
Ci teniamo a ribadire che i loro scopi, travestiti (male) da intenti vaghi e generici di “difesa delle infrastrutture nazionali”, mirano a migliorare l’arsenale tecnologico-militare per estendere il dominio sui territori, il controllo sociale e il profitto.
Non è un caso che la sede di questa conferenza dopo Unicredit e Confidustria, sia già dallo scorso anno l’università la Sapienza: infatti il percorso di privatizzazione e militarizzazione dell’università, unito alla svalutazione dei lavoratori della ricerca, resi sempre più ricattabili e soggetti al controllo esterno dei privati, sta portando velocemente al monopolio della ricerca da parte di aziende come Finmeccanica.
Inoltre c’è il problema, enorme, della mancata presa di coscienza e posizione da parte di studenti e lavoratori della ricerca. Troppo spesso si sente dire che la scienza è neutra e che è un mero strumento, il cui utilizzo non riguarda il ricercatore. Il problema, purtroppo, non è solo sociale o politico. Lavorare per Finmeccanica in un università significa, nella realtà, partecipare a progetti di sterminio, dominio e controllo, chiudendo entrambi gli occhi per racimolare un magrissimo stipendio spesso guadagnato in condizioni di lavoro miserevoli. É ovvio che la ricattabilità e la svalutazione di questi lavoratori dà una grossa spinta a coloro che non si fanno scrupoli a lavorare per la guerra rispetto a chi vorrebbe poter fare altro. Chi crede in un ruolo diverso della ricerca, al servizio della conoscenza, dell’utilità e del benessere collettivo deve misurarsi con questa situazione che non fa che peggiorare di anno in anno. Ma senza prendere posizione, senza far sentire almeno la propria voce, non cambierà alcunché Lo viviamo, ogni giorno, come studenti e ricercatori precari.
Ci fa incazzare non poco vedere sua altezza il monarca mafioso Luigi Frati, imbellettato per l’occasione, dare il benvenuto e calarsi le braghe verso l’industria della guerra offrendo in sacrificio centinaia di ricercatori precari, incoscienti quanto ignavi, utilizzati come supporto tecnico del braccio armato.
Alla luce di tutto questo in primo luogo è per noi importante rendere noti a tutti questi progetti già in atto, di cui fanno parte anche iniziative di facciata come questa conferenza. Non è la prima e non sarà l’ultima. Vogliamo inoltre stimolare un dibattito e una presa di coscienza “interna” all’università, da parte di studenti, ricercatori e professori. Questi problemi non sono secondari e troviamo urgente un confronto che risulti, alla fine, in una presa di posizione, che per noi è già chiara: non c’è spazio, e non deve avere spazio la ricerca bellica, tanto meno in un università.
Ma scoperchiare il “vaso di Pandora” dell’industria tecno-militare in collaborazione con l’università e la ricerca evidentemente non basta, occorre organizzarsi per impedire che queste iniziative abbiano luogo.
Finché non troverà un opposizione, questa gente continuerà nella più totale tranquillità.
No alla ricerca di guerra!
Fuori la guerra dall’università!
STOP INFOWAR
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