«Tirare un sasso a un poliziotto, spaccare una banca, andare a trovare i miei amici… non c’è niente di più politico di questo»
Li incontriamo in una delle ultime occupazioni sopravvissute a Parigi. Youseph (18 anni), Vincent (17) e Lucie (16), fanno tutti parte del MILI, il Mouvement Inter-Luttes Indépendant. Balzato agli onori della cronaca in queste settimane di mobilitazione contro la riforma del codice del lavoro, il MILI si è fatto notare per la determinazione con cui si è messo alla testa dei cortei riuscendo a mobilitare migliaia di giovani studenti che sono stati il vero e proprio traino di questo movimento a fronte delle timidissime reazioni sindacali contro questa nuova “flessibilizzazione” del mercato del lavoro che arriva ancora una volta “da sinistra”.
Una soggettività politica giovanissima, proveniente essenzialmente dai licei del quadrante Nord-Est della capitale, è emersa in qualche settimana attraverso lo scontro con la polizia e il più generale rifiuto delle ingiunzioni al sacrificio provenienti dal mondo degli adulti. La Loi Travail ne è diventata il simbolo che non annuncia nient’altro che l’approfondimento della vita misera e meschina che i nostri governanti ci assicurano essere inevitabile.
Dal vissuto e dall’analisi dei nostri interlocutori ci sembrano emergere dei primi elementi minoritari ma massificati di disaffezione e di rifiuto verso un modello di sviluppo opprimente, povero in affetti e incapace di mantenere promesse percepite come sempre meno allettanti. Assistiamo, insomma, anche in Francia a un elemento che ci sembra peculiare della fase che attraversiamo, ossia la ricomposizione di segmenti di classe a dei livelli molto alti della contraddizione capitalistica, speculari alla profondità della disaffezione verso la politica dei palazzi e al disincanto quanto a una possibile uscita dalla crisi nel quadro sistemico esistente. Ovunque, la rivoluzione non è mai sembrata una necessità così evidente. Oltralpe però questa ricomposizione ci sembra darsi in maniera meno subalterna rispetto alla politica “classica”, per riprendere una delle espressioni dei nostri interlocutori, e rispetto alla disgustosa etica della fatica profondamente interiorizzata dalle giovani generazioni del nostro paese.
Nell’intervista oscilliamo tra voglia di diserzione e consapevolezza della necessità di non abbandonare la distruzione del vecchio mondo ma con una risoluzione che sembra chiara in un segmento significativo delle giovani generazioni della capitale francese, in questo tanto diverse da noi: non è più tempo di aspettare che le cose cambino.
Emerge nell’intervista cosa potrebbe voler dire un soggetto giovanile veramente contemporaneo, tanto nelle sue forme organizzative che nel modo di riprendere la piazza e nei suoi contenuti. Suggestioni interessanti, da guardare con occhio attento a coglierne le sfumature e, cum grano salis, le indicazioni per i tanti che come noi stanno apprezzando la sottile brezza di possibilità che ci arriva da Oltralpe…
Cos’è il MILI? Come e quando nasce?
Vincent: per prima cosa è un gruppo di giovani: liceali, studenti, giovani lavoratori…ma soprattutto studenti medi. Poi siamo anche un gruppo di amici che ha iniziato a incontrarsi durante l’affaire Khatchik e Leonarda, il caso di due studentiche furono espulsi perché sans papiers1. Poco a poco si è messa in piedi una mobilitazione, un’assemblea permanente di studenti medi, il Mouvement Inter-Lycéen Indipendent, come ci chiamavamo allora che eravamo solo studenti medi.
Youseph: All’inizio il MILI era una cosa di 200 persone, tutta gente che partecipava alle assemblee generali. Poi la cosa si è un po’ destrutturata. Alcuni sono partiti, sono rimasti i più determinati. Ne è venuta fuori una nuova generazione. Di gente che si conosce, amici di amici, un passaparola continuo.
Vincent: Il fine è quello di trovarci tra amici per parlare e occuparci di diverse cose, che sia antifascismo, la lotta contro la violenza poliziesca, diciamo contro il capitalismo. Non vogliamo essere una grande istituzione ma un gruppo di amici. Permettere agli studenti di ritrovarsi. Da parte nostra non abbiamo mai voluto dirigere un movimento, piuttosto ci interessa creare le condizioni perché si crei un movimento e che questo ci oltrepassi. Credo sia questo che faccia più piacere a noi del MILI, vedere gente che non hai mai visto essere più motivata di te nel fare cose da pazzi. Insomma non vogliamo dirigere ma mobilitare i giovani.
Lucie: Soprattutto quelli che non sono interessati a finire nei sindacati in fondo d’accordo con il Partito Socialista e il quadro istituzionale, nonostante i mascheramenti con cui si presentano. Veramente, quello che ci interessa è uscire dal quadro dei partiti politici, da come loro gestiscono le cose.
Vincent: Non siamo come i classici tipi da assemblea, che hanno già tutta una vita impostata in direzione di una carriera politica, cosa che in generale è mal vista dagli altri studenti. Siamo liceali come gli altri, che fanno serate, usciamo… si tratta in fondo più che altro di riportare la politica nella vita quotidiana.
Come si diventa del MILI?
V: Ci interessa essere raggiungibili anche se non cerchiamo di reclutare. Di solito ci contattano tramite la nostra pagina facebook: ci fanno un giro, vedono che gli interessa, chiedono come possono entrare in contatto, gli diciamo di venire alle riunioni, di uscire con noi. E così via, usciamo, si diventa amici, le cose vanno poi avanti da sole… arrivano amici che portano altri amici.
Come vi siete rapportati alla mobilitazione contro la Loi El Khomri? Potete descriverci i passaggi fondamentali?
Y: Da subito abbiamo notato che la cosa diversa di questo movimento è che non sono stati i sindacati che hanno cominciato la mobilitazione ma è cominciata su internet. C’erano stati dei video su youtube e già giravano grafiche per criticare la legge. E abbiamo notato che non erano solo le reti militanti che facevano circolare queste cose ma dei liceali che già cominciavano a mobilitarsi con l’hashtag #OnVautMieuxQueCa. Non che fosse una cosa pazzesca ma c’era già questo più una petizione su una piattaforma dedicata con più di un milione di firmatari.
V: Il 9 marzo è stato il primo giorno di mobilitazione che abbiamo convocato. Ci siamo detti che se volevamo creare un vero “movimento sociale” bisognava uscire dal quadro sindacale e riuscire ad imporre una nostra data. I sindacati studenteschi avevano chiamato solo un corteo il pomeriggio Invece noi abbiamo fatto un appello per chiamare i blocchi nei licei. Abbiamo fatto circolare l’appello tra i nostri amici, abbiamo fatto delle catene di SMS. E abbiamo visto che la cosa prendeva. Quindi il 9 marzo abbiamo fatto il nostro primo corteo che partiva alle 11 da Nation. Era veramente la primissima manifestazione, il movimento non era ancora cominciato c’erano un bel pò di liceali, ma neanche una cosa enorme. Forse mille. Pioveva era una roba terribile [risa] ti alzi alle 6 per bloccare il tuo liceo poi sei stanco e hai voglia di tornare a casa ad asciugarti!
I poliziotti erano piuttosto discreti quasi non c’erano. Comincia il corteo e ci saranno state tre o quattro banche che vengono sfasciate, qualche uovo riempito di vernice che parte sulle banche, qualche tag ma niente di che.
La data successiva è quella del 17 marzo quando c’era un corteo chiamato il pomeriggio dai sindacati. Ci siamo accodati a questa data però abbiamo deciso di chiamare un corteo anche la mattina, sempre alle 11 a Nation. Nel frattempo il primo corteo sui social ha girato bene, le altre iniziative contro la Loi Travail come la petizione continuano a salire molto. C’è un video per chiamare a nuovi blocchi in cui si vedono le banche con le vetrine rotte e penso veramente che questo ha giocato un ruolo determinante. Per la prima manifestazione c’era ancora l’idea diffusa “le manifestazioni sono una roba da bianchi che si divertono ma non servono a nulla”. Invece vediamo che dal secondo corteo, e poi la cosa aumenta ancora in seguito, ci sono tante persone dai quartieri, gente che non ha l’abitudine di fare delle manifestazioni che viene perché vede che possono prendere una forma che è diversa da quella dello scendere in strada, dire “non siamo contenti!” e dopo te ne torni a casa, che può essere anche qualcosa di più attivo. Il 17 marzo quindi c’era molta più gente passiamo da mille ad almeno cinquemila persone, dati della polizia quindi credo molti di più.
Y: In sostanza – ed è la prima volta che vedevamo una cosa del genere – abbiamo visto i liceali che spontaneamente hanno iniziato a coprirsi il viso. Compagni di classe, di secondo liceo, che iniziano a tirare fuori dagli zaini materiale e attaccano delle banche.
V: Gente che vedevamo tutti i giorni a lezione! Chi se lo aspettava?! Immaginati centinaia di liceali che a cui già di base non piace la polizia, – i giovani in generale non amano la polizia – con in più l’eccitazione del momento: hanno visto cosa è successo al primo corteo e si dicono “ora il nostro turno, anche noi abbiamo voglia di fare così, anche noi non ci lasceremo fare”. Quindi la cosa è completamente spontanea. Io è la sola volta che ho vissuto una cosa del genere, la gente che spontaneamente vede i poliziotti, svuota un cantiere e lancia loro di tutto. I celerini hanno avuto paura, quasi correvano all’indietro. Ci sono state diverse cariche, lacrimogeni. Comunque eravamo tantissimi è stato sicuramente il corteo più grosso. In seguito i poliziotti della BAC2 sono entrati nel corteo per prendere gente, l’hanno tirata fuori, l’hanno pestata e l’hanno buttata nei furgoni.
Y: La data dopo è il 24. Non ci siamo potuti vedere a Nation perché il corteo del pomeriggio partiva da Montparnasse. Quindi il concentramento è a Place d’italie. Pioveva ma comunque c’era gente
V: Saranno stati almeno cinque anni che gli sbirri non si vivevano una situazione come quella del 17, con gente che il corteo manco era partito e spontaneamente inizia a caricarli. Quindi il 24 erano caldi. Io stesso sono stato a due dita dall’essere massacrato. I celerini erano super-violenti.
L: Per giovedì 24 è anche il mattino dove al liceo Bergson ci sono state altre violenze della polizia. I liceali non avevano fatto niente, non c’era stato nessun tipo di violenza credo il direttore si era preso un uovo in testa ma niente di più. I poliziotti erano lì dalle 6 di mattino a “controllare” cioè a insultare la gente. Perché questo non lo dice nessuno ma è ciò che fanno: insultano e provocano.
V: Devi capire che insulti venuti dai poliziotti come “negro di merda, arabo di merda” in manifestazione la gente della mia classe se li sono sentiti dire tutti senza eccezione. Bergson è considerato il peggior liceo di Parigi, è in sostanza il solo liceo “caldo” che c’è a Parigi dentro le mura. Dalle 6 di mattina i CRS vengono in tenuta anti-sommossa per quattro cassonetti messi davanti al liceo. Con i caschi, gli scudi, i fucili coi proiettili di gomma. Poco a poco ai liceali la cosa non piace, l’atmosfera si tende…
L: A Bergson un certo punto si sono detti “carichiamo”, sceglievano qualcuno e lo massacravano. C’è un ragazzo che è stato filmato che si prendeva un pugno fortissimo mentre si stava rialzando. E questo non hanno potuto nasconderlo perché è stato filmato ma c’è tanta gente che è stato picchiata per strada e non lo sa nessuno
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V: Quindi direttamente c’è stato un appello per il giorno dopo che circolava, per bloccare i licei e trovarsi davanti a Bergson. Alle 10 siamo già duemila davanti alla scuola.
Y: Alle 8 c’era una riunione dentro l’istituto con il sotto-prefetto, dei rappresentanti dei licei, della direzione. Per calmare le cose, dire “ci occuperemo del ragazzo”. Come se si trattasse di un episodio eccezionale!
Alle 10 i sindacati studenteschi hanno proposto di restare in sit-in davanti al liceo per parlare coi media dell’episodio oppure di entrare nel liceo per discutere col sotto-prefetto perché ci spieghi come fare un buon blocco, come fare in modo che le prossime mobilitazioni vadano meglio. In quel momento non c’era lezione, le avevano sospese, e i liceali non avevano né voglia di parlare coi media né di discutere col sotto-prefetto quindi è partito un corteo spontaneo.
Nessuno sapeva troppo dove andare, qualcuno ha detto “Toh! C’è un commissariato poco lontano”…
V: Che è il commissariato del X arrondissement dove tra l’altro c’è un ragazzo che è morto mentre in stato di fermo l’anno scorso, strangolato. Siamo arrivati a questo commissariato che è in una stradina quindi immaginati a duemila in questa stradina eravamo tanti. Direttamente si è visto che non se lo aspettavano, ci sono cinque o sei poliziotti che sono usciti con dei piccoli scudi con gli spray giusto per provocare. Si sono presi qualche lancio di oggetti, dei liceali hanno bloccato con delle griglie l’entrata della strada.
Dopo diversi giri siamo ripassati davanti a Bergson e lì vicino c’è un altro commissariato che era proprio quello da cui vengono i poliziotti che ci avevano menato il giorno prima e dove c’erano ancora i nostri amici in stato di fermo. Arrivati lì non c’è stato nessun poliziotto che è uscito durante un quarto d’ora, c’è stata gente che ha preso delle sbarre di ferro giganti da un cantiere e ha inizato a spaccare i vetri del commissariato. Ci saranno state cinquecento persone che hanno attaccato il commissariato e gli altri millecinquecento che restavano e dicevano “che figata!”. I media hanno annunciato poi che il commissariato sarebbe rimasto chiuso per tre giorni interi talmente è stato scassato che manco poteva funzionare. Tutti i vetri rotti.
A un certo punto qualcuno ha gridato “Franprix!” [supermercato] e cinquecento persone si sono messe a correre. Vedevi che da dentro provano a chiudere la saracinesca e vedevi i liceali che la tenevano su urlando “È gratis!”
Y: Pure quella è stata una cosa spontanea. La maggior parte delle cose che sono state prese sono state regalate ai migranti accampati a Stalingrad…
V: In modalità redistribuzione, gli è stato dato loro tutto quanto, le bibite, i dolci erano super-contenti.
L: Un ennesimo episodio che non è stata raccontato nei media…
C: Sì tutti hanno detto che non era vero. Libération3 ha sottinteso che eravamo dei mitomani che l’avevamo detto per giustificarci. Invece questo gesto i liceali lo hanno fatto e non è che fossero obbligati a farlo!
V: In seguito arriviamo allo sciopero generale del 31 marzo. In sostanza quel giorno i sindacati studenteschi non c’erano proprio, e quindi non c’era nessuno a dire ai liceali “state indietro fate attenzione, davanti ci sono i black-bloc”. La polizia ha provato a spezzare il nostro corteo in due ma siamo riusciti ad avanzare bene, era un solo bello spezzone organizzato. A Gare de Lyon esce l’idea di andare ad occuparla, la metà del corteo corre dentro ma già c’erano i CRS dentro la stazione quindi siamo usciti
L: Sul ponte tra gare de Lyon e gare d’Austerlitz i poliziotti bloccavano e hanno cominciato a tirare granate di disaccerchiamento, proiettili di gomma, lacrimogeni ci sono stati parecchi feriti… . Comunque siamo rimasti uniti, determinati e siamo riusciti a farli ritirare. È stato un momento incredibile perché anche se ne abbiamo prese tante lì sul momento alla fine i CRS sono dovuti indietreggiare
V: C’è questo video che è girato molto in cui si vedono i manifestanti che si caricano “ahou, ahou!” e vanno al contatto. Per me è stata forse la più grande vittoria che abbiamo avuto fin’ora. E calcola che erano tutti liceali, gente che potrebbe essere in classe mia, che incrocio per strada con cui gioco a calcetto che ha deciso da sola di fare tutto questo.
L: Poi c’è stato il 5 aprile che è stato un corteo iper-violento in cui i poliziotti hanno veramente fatto di tutto… Non è che sono lì per mantenere l’ordine, hanno proprio i manifestanti come bersagli. Spaccar loro la faccia.
V: La loro strategia ormai è di far paura ai liceali che sai non è che sono come degli adulti, sono comunque sotto la responsabilità dei propri genitori che sono meno liberi dei propri gesti. Far loro paura perché non manifestino più. Già il 31 si sono detti “mandiamo 15 minorenni al pronto soccorso, spacchiamo teste, rompiamo le dita, spostiamo vertebre non ce ne frega nulla basta che non rivengano più”.
Tutta questa repressione ha un effetto sulla disponibilità alla lotta degli studenti?
Y: Questa cosa in effetti ci preoccupava e anche i sindacati hanno provato a mettere in primo piano questa questione dire “a causa dei black-bloc non funziona più, la gente non viene”. E invece ci siamo resi conto che no…
V: C’è forse una piccola parte che effettivamente si lascia scoraggiare ma per la maggior parte assistiamo a un odio che si alimenta ogni giorno di più. Penso che i liceali se la siano vissuta più che altro come una necessità il fatto di coprirsi il volto. Non è che la questione era di fare un corteo “violento” ma più che altro si partiva dal dato che tanto i poliziotti sono dei violenti e che quindi bisogna attrezzarsi.
L: Io mi rendo conto che la prima manifestazione non ero a viso coperto né niente era diciamo “calma”. E ogni manifestazione dopo, coi miei amici, eravamo sempre più preparati. All’inizio solo con un fazzoletto, dopo gli occhialetti, etc. Ci siamo resi conto che i poliziotti erano talmente violenti che bisognava proteggerci da soli.
L: I media fanno uscire continuamente questa cosa che quelli che sono a volto coperto o violenti non sono dei liceali è tipo il mito del “black-bloc” che arriva da non si sa dove e vuole spaccare tutto. Intanto non è che la gente spacca tutto ma ci sono degli obiettivi chiari e in più si tratta di liceali, gente che ha sedici o diciassette anni che semplicemente si è rotta le palle.
Y: L’altra cosa è dire che non si tratta di gesti politici perché sarebbe gente che spacca roba giusto per spaccarla. E invece manco per niente! Non è non c’è un motivo dietro l’agire di gente che prende dei rischi per fare queste cose.
E questa volontà di assumere un certo uso della forza è emersa solo in queste settimane di mobilitazione o è antecedente secondo voi?
Y: A me sembra veramente una cosa di questo movimento, una cosa che non abbiamo mai visto. Anche chi fa i paragoni col CPE4 non hanno visto cose del genere tra gli studenti, questo livello di organizzazione, degli spezzoni così.
V: È la prima volta che vediamo liceali del centro, militanti, gente di quartiere che siamo tutti dalla stessa parte.
Che influenza pensate che ha avuto lo Stato di emergenza sulla mobilitazione?
V: Cercano di parlarci degli attentati come qualcosa che ha pesato sulle nostre vite, che ci ha traumatizzato, che ci ha fatto paura
L: Ci dicono che dovremmo fare dei sacrifici…
V: Quello che vedo per quanto riguarda me e i miei amici – dico solo quello che vedo – è che il peso degli attentati è stato minimo rispetto allo Stato di emergenza. Lo stato di emergenza cambia tutto. Ti dici “il poliziotto se vuole mi può menare e se mi ammazza troverà magari il pretesto per dire che ero un terrorista”.
La questione della violenza è dibattuta tra i liceali?
L: Nel mio liceo – io sono a un liceo del centro piuttosto di ricchi – se ne parla parecchio nelle assemblee. La gente è più animata da questa idea di essere benpensanti, essere “puliti”, essere dentro il sistema. Protestare ma restando completamente integrati nel sistema, fare manifestazioni legali. C’è questo discorso che ci sono i black-bloc cattivi e poi ci sono gli altri, che bisogna manifestare pacificamente. Spesso semplicemente non capiscono cosa sta succedendo. Sono contro la violenza ma non ne capiscono l’impatto, non capiscono che senza la violenza allo Stato non fregherebbe nulla delle nostre manifestazioni. Invece ora sì che ne parlano, male ma almeno gli interessa…
V: Poi ci sono i licei come il mio a cui queste cose non interessano, in cui non c’è assemblea: usciamo da lezione il pomeriggio “domani blocchiamo? Si!”. Il giorno dopo veniamo in cinquanta e blocchiamo il liceo. Le AG a quel punto non hanno nessun peso anche perché non c’è neanche bisogno di spiegare agli studenti cose del tipo “i sindacati vogliono recuperare il movimento, fare della pacificazione” la gente ti dice : “chi sono i sindacati? Io non li ho mai visti. Non sono mai venuti a fare i blocchi con me quindi non me ne frega nulla”. La cosa va da sé.
Leggevamo una vostra intervista in cui dicevate che per voi era importante agire nelle scuole perché è uno degli ultimi spazi di mescolanza sociale… Che intendete?
V: Ciò che è bene e non bene di Parigi è che i licei sono divisi in funzione dei risultati scolastici, dei voti che hai avuto alle medie. Quindi magari tu vivi in un quartiere borghese, misto o popolare e alla fine ci possiamo ritrovare tutti nello stesso liceo. Soprattutto i licei di Parigi Est sono veramente l’ultimo spazio di mescolanza sociale l’ultimo spazio dove sei quasi libero di parlare, dire quello che pensi, di vivere.
L: Di incontrare tanti tipi di persone diverse…
V: Di discutere, di vivere con gente che non avresti mai visto, che anche con tutta la volontà del mondo non avresti mai potuto conoscere. All’università è già diverso perché è più selettiva, per non parlare di quando lavori che sei sempre con la gente del tuo gruppo sociale, la gente con cui sei destinato a essere. Una cosa bella di quando sei al liceo è che sei portato a incontrare gente da ovunque.
Io penso anche che sia l’ultimo luogo in cui non si ha ancora la pretesa che tu sia entrato nella vita lavorativa, non hai ancora tutte le sue… penso sia più facile non entrarvi proprio piuttosto che uscirne. È per questo che gli studenti medi sono più facilmente motivabili, più toccati dalla lotta: perché non sono ancora imbrigliati nella vita adulta.
L: Non sono ancora condizionati dal discorso “è così, non hai scelta”. E anche a coloro che dicono di non essere toccati dalle mobilitazioni, puoi comunque dir loro “in ogni caso la tua vita è una merda, è decisa da chi sta in alto, dai padroni, dai ricchi.. da poche persone che – loro – hanno il potere e i mezzi… voi invece dovrete lavorare e guadagnare poco” e nessun liceale può essere d’accordo con una cosa così… Non è come con gli adulti che hanno già la testa piena di queste cose.
Y: Gli studenti non sono rassegnati. A parte la pressione dei genitori, non hai troppi impedimenti, puoi fare quello che vuoi. Fare un blocco al liceo non è come fare lo sciopero a lavoro, non ci perdi il salario, non hai gente da sfamare. Vivi ancora dai genitori, hai meno pressioni, più tempo libero.
L: Certo, ci sono dei licei dove fanno grosse pressioni, come quello in cui vado io, non lavori ma ti trovi i genitori dei tuoi compagni di classe che li accompagnano mentre facciamo i blocchi e ti dicono “non potete mica impedire ai nostri figli di entrare in classe, non è democratico, non è questo il modo di fare, etc.”
Che cosa rappresenta per voi questo movimento contro la riforma del codice del lavoro?
Y: Si tratta un movimento particolare. Intanto i sindacati sono veramente superati dalla mobilitazione non ci sono mai, non c’è più la questione de politicizzare la protesta. La maggior parte dei liceali sa cos’è grosso modo la Loi travail ma non interessa loro più di tanto. La protesta non è solo contro la Loi travail. Ovviamente si tratta di un elemento che ha mobilizzato tanto ma la protesta va ben oltre. Non è neanche una questione di governo, non siamo delusi da questo governo perché non ci aspettiamo nulla da lui come dal prossimo.
In generale, nessuno crede alla politica abbiamo capito che c’è solo la gestione del disastro. C’è disoccupazione e precarietà e si dicono “Ok cerchiamo di gestirle al meglio”. Non cercano di trovare delle soluzioni ma soltanto di gestire i giovani che arrivano.
Ma anche se la gente non crede più alla politica ha voglia di muoversi di fare cose.
V: C’era uno striscione il 5 aprile e c’era scritto “BURN-OUT GENERALE” in sostanza è così. Chi viene da quartieri popolari, ma ormai anche gli altri, sanno che tutta la loro vita sarà cosi: dovranno sgobbare, lavorare. Da quando hanno dieci anni gli dicono “dovrete farvi il culo, risparmiare, fare sacrifici è così e basta qualsiasi cosa succeda”. E i liceali sono demoralizzati e si dicono “No non è questa la nostra maniera di vivere”. E il solo fatto di andare in manifestazione e dimostrare che non ne possiamo più… tirare un sasso su un poliziotto, spaccare una banca, non c’è niente di più politico vuol dire “tutto il sistema lo rifiutiamo”. La politica per noi non è mediazione, è rifiuto. La banca non la vogliamo quindi la spacchiamo, la polizia non la vogliamo quindi la facciamo indietreggiare. Rifiutiamo in blocco quello che provano ad imporci. Credo che non ci sia niente di più politico di tutto questo.
Dicevate questa cosa interessante: la gente “non crede più alla politica”… Cos’è per voi la politica? Vi definite “militanti”?
Y: Ci sono alcuni di noi che si definiscono militanti. A me non piace tanto questo termine, perché dà l’idea che tu fai politica in certi momenti della giornata mentre per me è una cosa quotidiana. Noi pensiamo che la gioventù oggi non faccia politica ma faccia del politico. La politica è basata su dei canoni tradizionali, organizzativi, mentre noi viviamo la cosa nel quotidiano, magari facciamo cose che non sono immediatamente percepite come politiche: fare festa, vivere, discutere, momenti di vita fuori dalle istituzioni. Se vuoi organizzare un banchetto, una festa e devi usare un’amplificazione, devi fare richiesta alla prefettura che ti dirà a che ora devi smettere. Ci scontriamo con queste cose, che non sono immediatamente politiche ma hanno dietro tutta una storia.
V: Sotto lo stato d’emergenza è diventato politico trovarsi con la gente per strada e fare una festa. Ciò di cui non ci si rende conto è che spesso le istituzioni, i dirigenti fanno in modo di mostrare la politica come una cosa che fa cagare affinché la gente non vi si interessi, perché resti una cosa loro. Quello che invece bisogna dire e spiegare è che tutto, ogni atto, la vita stessa è politica. Anche scegliere di non andare a scuola o al lavoro, fare festa per strada, anche quello è politica. Andare a trovare i miei amici, non c’è niente di più politico di questo. Sta a noi avere il potere sulle nostre vite e fare ciò che vogliamo.
La cosa più importante è che il MILI non è fatto per fare politica dalle 6 alle 18 e poi torni a casa e sei contento. C’interessano le cose che si fanno in uno squat come questo: vivere insieme, differentemente, in comunità, condividendo il massimo di una vita che non si vuole adattata al lavoro e a queste cose qua.
Y: Alle volte ci piacerebbe avere un luogo come questo, occupato, dove poter fare attività e intervenire nel quartiere, farci girare la gente…
V: …però c’è anche il fatto che per gestire un posto così bisogna essere super-organizzati, prende un sacco di energie. Magari tra due o tre anni. Penso che abbiamo bisogno di acquisire ancora un po’ di maturità.
Una cosa che ci ha colpito è il vostro motto su una bandiera “giovani e rivoltosE – il mondo è nostro”, al femminile. Perché questa scelta? Vi sentite toccati dal discorso femminista?
V: Penso che la lotta femminista sia una lotta contro una parte importante del capitalismo, perché tutto il machismo, tutti i momenti in cui gli uomini cercano di posizionarsi sopra le donne sono una cosa dettataci dai media, dalla pubblicità. Non credo che ti puoi dire contro questo sistema, se non sei un minimo femminista.
L: Il sistema di dominazione non può smettere di funzionare altrimenti. Le donne sono la metà dell’umanità. Per esempio alla Nuit debout c’è stata la proposta di alcune ragazze di ritagliare momenti di discussione solo tra donne e ci sono stati uomini che le hanno insultate, che hanno detto “siamo fieri delle nostre minchie” e altre cazzate simili. Non si rendono conto di tutte le discriminazioni. Se ci fossero dei neri che vogliono discutere tra loro, andresti mica lì a dirgli “sono fiero di essere bianco”!?! Se le donne hanno bisogno di discutere tra loro a partire dal loro vissuto, state zitti e ascoltate!
Gli uomini sono maggioritari in tutti gli spazi che contano. Anche nella testa delle donne, sono gli uomini a dettare il pensiero, con tutti i criteri di bellezza imposti dalla pubblicità. Tutta quella misoginia che le donne stesse arrivano a ripetere “se quella va a letto con tanti uomini, è una puttana”. Gli uomini sono presenti dappertutto, in tutti gli ambiti della vita delle donne e questo è un problema.
A proposito di Nuit Debout5 cosa ne pensate di questa esperienza? La sentite come una cosa vostra, che vi riguarda?
V: penso che l’idea, di per sé, sia buona: riappropriarsi dello spazio pubblico. Il problema è che Place de la République è proprio diventata un posto dove esci dal metro, passi, dai un’occhiata, te ne vai, torni a casa. C’è chi dice “è una buona cosa, c’è uno spazio enorme, andiamo a discutere, ci si riappropria della politica” e questo è bello effettivamente, però ci sono anche cose che non mi piacciono perché si resta, checché se ne dica, in un quadro sostanzialmente para-istituzionale, sempre con assemblee e questi pre-requisiti democratici: si vota, ci sono dei rappresentanti del Front de Gauche6 che intervengono, tutte cose che bloccano le iniziative personali. Si resta, insomma, in un quadro molto repubblicano, come in uno degli ultimi poster della Nuit debout “Liberté, Egalité, Fraternite: riprendiamoci la Repubblica”. Penso che non si può contestare un qualcosa utilizzandone gli stessi valori. Liberté, Egalité, Fraternité in sé possono anche andare, sono parole che fanno sognare, anche se, mi chiedo, “libertà di cosa?”.
Credo insomma che nella Nuit debout ci sia una deriva iper-democratica, da politica classica che non a noi non piace un granché. Quello che osserviamo, tra gli organizzatori della Nuit debout, è che ogni volta che parte in corteo spontaneo, ogni volta che ci sono piccole eccedenze, cercano di trattenerle, mentre sono questi straripamenti che rendono la cosa viva, interessante, che fanno paura allo stato. Se resti chiuso in una piazza a discutere, non serve a niente.
Y: per noi quello che rende questa piazza interessante è la possibilità di un suo trasbordare, restare in piazza, restare a parlare tra di noi, non serve a niente. Quello che serve è uscire fuori, fare manifestazioni… occupare tutta Parigi!
V: Soprattutto i cortei spontanei: fare barricate, bloccare i flussi, rallentare il funzionamento di una città, non c’è niente di meglio. Mentre invece gli organizzatori della Nuit debout fanno i servizi d’ordine, come i sindacati. Io credo invece che l’unico modo per destabilizzare una vita normale sia il disordine.
Y: Voti, proposte, assemblee… si vota su qualunque cosa. Si ha l’impressione di fare chissà cosa ma in fondo si ripetono i cliché sindacali: sempre a dire “ci vuole una massificazione, c’è bisogno di più gente…” peccato che la gente sia già là, adesso, quindi è ora che bisogna agire!
Anche se sarà un fallimento, se ci bloccano dopo pochi metri, sarà comunque un tentativo che lascia qualcosa. Bisogna saper rischiare, altrimenti noi, cosa avremmo dovuto fare: non muoverci nelle scuole per aspettare che la gente arrivi?
V: Parlando con le persone, ti rendi subito conto della differenza tra coloro che intendono realmente riprendersi la propria vita in mano rispetto a quelli più interessati a forme classiche della politica. La gente come noi pensa che il movimento è già cominciato, mentre gli altri stanno sempre lì ad aspettare che inizi. Dicono “aspettate prima dobbiamo avere una buona immagine sui media, dobbiamo guadagnare in credibilità, essere più numerosi…”. Noi, invece, preferiamo costruire momenti in cui il capitalismo, la polizia, non hanno posto. Se inizi ad agire ora, la gente verrà.
Y: Non crediamo alla rivoluzione come qualcosa che deve arrivare, la rivoluzione la fai ogni giorno, nel quotidiano. Non bisogna mica aspettare che la gente esca per strada, così, spontaneamente.
V: In ogni caso il “gran giorno” non esiste! Si tratta di aprire spazi, creare relazioni in cui il denaro e i valori della società capitalista non hanno banco, come alla Zad7.
L: Poi ovviamente è impossibile aprire spazi in cui il capitalismo non abbia spazio in assoluto: come ti vesti, quello che mangi, siamo noi stessi impregnati di tutto questo, le scarpe che compriamo basta che ci guardiamo i piedi… Sarà difficile cambiare.
Come vi state organizzando, ora, pensando anche a questo movimento, al fatto che ci sono le vacanze scolastiche che chiuderanno le scuole per due settimane?
V: Riguardo alle scuole superiori, stiamo osservando che rispetto alla Loi Travail la situazione inizia un po’ a essere di smobilitazione. Allo stesso tempo però vediamo che sempre più studenti sono toccati dal politico, si sta diffondendo un certo spirito di rivolta, una voglia di andare a fondo delle questioni: “ne abbiamo abbastanza, non è normale”. È un sentimento iper-diffuso. Credo quindi che la cosa principale che lascerà dietro di sé questo movimento è soprattutto una motivazione generale tra gli studenti, uno slancio contro questa società in generale. Non credo che, finita la mobilitazione contro la “Loi Travail” la gente se ne tronerà a casa come se niente fosse. Dopo il ‘68 e in parte (molto meno) anche dopo il movimento contro il Cpe, quello che è rimasto è stata una generazione politicizzata. Crediamo che sarà il caso anche questa volta, magari meno, però anche qui vediamo che tutto questo partecipare alle manifestazioni, il fatto di volersi scontrare con la polizia, tutto questo è tornato al centro della vita degli studenti. Se riusciremo a continuare tutto questo, ne saremo felici.
L: Rispetto al Maggio 68, il problema è che tutti i leader sono finiti nel Partito Socialista o sono comunque tutti integrati nel sistema come politici. Noi non abbiamo leader, e questo è un bene, avessimo dei leader avrei paura che fossero reintegrati nel sistema.
Y: Cerchiamo, in ogni caso, di non avere dei leader. Quello che cercheremo di fare durante le vacanze è mantenere comunque un livello di mobilitazione, chiamando qualche data e organizzando momenti di incontro per tenere i contatti con tutti gli studenti venuti alle manifestazioni. Perché le manifestazioni sono belle, si condividono cose ma poi la gente non la si conosce, ci si incrocia ma poi ci si perde, senza discutere, senza parlare. Abbiamo bisogno di organizzarci meglio.
V: Dobbiamo mettere in piedi momenti di vita condivisa, fare una cena popolare, un barbecue, dei tornei di calcetto, delle cose in cui gli studenti possano incontrarsi. Se il movimento Nuit debout continuerà chissà potremmo occupare una parte della piazza e organizzare cose nostre, come studenti delle scuole superiori. Anche se la critichiamo per alcuni suoi aspetti, resta comunque uno spazio aperto, al centro di Parigi, dove si incontrano tante persone.
Y: Ho visto ragazzi di un liceo vicino a me che cominciano a vedersi per organizzare un gruppo, un po’ tipo il MILI, per organizzarsi e andare alle manifestazioni insieme. Sono cose che nascono così: gente che si conosce, che si vede tutti i giorni a scuola, ci si becca alla mattina per andare in manifestazione, poi si continua il pomeriggio, poi Place de la République… è così che ci siamo formati anche noi a partire dal caso Leonarda. Una cosa cui cerchiamo di fare attenzione è che ci sia un “dopo la manifestazione”, “dopo il movimento”, dopo che la Loi Travail sarà ritirata o passerà come legge.
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Note
1 Nell’autunno del 2013 migliaia di liceali si sono mobilitati contro l’espulsione dei due studenti, arrestati all’uscita da scuola e cacciati dalla Francia per mancanza di permesso di soggiorno
2 Agenti in borghese particolarmente violenti che operano anche spesso nei quartieri
3 Principale quotidiano di sinistra
4 2006, vittorioso movimento contro contratto primo impiego.
5 Le occupazione notturne di Place de la république cominciate all’indomani dello sciopero generale del 31 marzo
6 Principale partito alla sinistra del Partito socialista
7 Zone a defendre, acronimo utilizzato dagli oppositori all’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes che hanno occupato da diversi anni le terre destinate al mega-progetto dando vita a ricche esperienze di vita in comune.
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