Una scuola di merito e disciplina
Oggi in tutta Italia studenti e studentesse sono scese in piazza portando discorsi lucidi in un presente e in una scuola assuefatti.
E’ passato poco meno di un anno dalle morti di Lorenzo, Giuseppe e, più recentemente, di Giuliano. Ragazzi morti sul posto di lavoro perché l’istituzione scolastica organizza, secondo i dettami ministeriali risalenti all’epoca renziana, la formazione dei giovani invece che nelle aule scolastiche all’interno dei cantieri. L’ondata che seguì a queste morti portò in piazza centinaia di migliaia di studenti e studentesse in tutta la penisola. A Torino tutti e tutte ricordano la prima manifestazione in seguito alla morte di tre coetanei in alternanza scuola-lavoro, fu la rappresentazione plastica di quello che la società risponde in questi casi: punire, costringere, silenziare. Le teste rotte in piazza Arbarello portarono a una sana voglia di riprendersi le strade e di non tirarsi indietro, la consapevolezza che Confindustria, e chi siede nei posti in cui “si decide”, fossero i responsabili fu sin da subito chiara. Indicarli con determinazione ebbe la conseguenza di numerosi giovani arrestati, tre di questi in carcere e una ragazza ai domiciliari, per il solo fatto di aver parlato al megafono durante l’iniziativa. Oggi i quattro ventenni si trovano ancora privati della loro libertà, tutti ai domiciliari. La giornata di oggi si inserisce in continuità con altri momenti in cui i giovani di questa città hanno dato il segnale di non voler rimanere in silenzio, la grande manifestazione per lo sciopero del clima di ottobre è stata un’altra tappa di questo percorso.
La cappa di imposizione e disciplinamento che si respira nelle scuole è emblematica di un’incapacità totale di sintonizzarsi sulle esigenze di chi è giovane da parte di tutta la pletora di chi avrebbe il ruolo di formare, non soltanto di educare a codici di buona cittadinanza. L’obiettivo di lungo termine dei percorsi scolastici si situa nella speranza che gli studenti e le studentesse assumano un ruolo che non infastidisca all’interno della società e che porti alla completa integrazione e assunzione del sistema di dominio in cui si vive. Anche chi potrebbe avere una sensibilità più attenta e che vorrebbe essere portatore di cambiamento sconta il limite insuperabile di lavorare all’interno di un sistema che soffoca ogni margine di manovra potenziale.
La vicenda che ha coinvolto un insegnante di una scuola superiore di Susa è uno degli esempi emblematici di una gestione aziendalistica e da caserma della scuola. L’insegnante, dopo aver assistito a una retata co-organizzata dall’istituzione scolastica e dalle forze dell’ordine, in un contesto in cui i ragazzi e le ragazze sono stati chiusi nelle loro aule per procedere a perquisizioni e intimidazioni, ha voluto esprimere la propria contrarietà a una gestione simile. Ha deciso di metterci la faccia e dichiarare di essere dalla parte dei suoi studenti, creando un effetto immediato di sanzionamento da parte dell’istituzione scolastica. Il potere delegato ai Dirigenti, il cambiamento di titolo dà la cifra di quale sia il ruolo di chi un tempo erano i presidi, e la spinta a gestire la scuola come un luogo in cui si firma un rapporto di lavoro subordinato è uno degli elementi in gioco. La discrezionalità e l’ambiguità della gestione lascia spazio poi alle spinte carrieristiche, personalistiche e di sete di potere per soggetti inclini ad atteggiamenti del genere.
La domanda da porsi è in che modo costruire spazi liberati da queste dinamiche perché possano essere riconosciuti come occasioni di formazione e arricchimento di soggettività che non vogliono sottostare a questi ricatti? Come riconoscersi e come costruire forza in un clima in cui la tendenza all’isolamento e all’individualismo vengono costantemente alimentate?
Iniziare dalle piazze di oggi, dalle spinte di emancipazione, dalla pretesa di libertà è sicuramente un passo in questa direzione.
Per sostenere l’insegnante di Susa è stata redatta una petizione dal Coordinamento Docenti Val Susa:
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