Verdi 15 Raddoppia
Dalle otto del mattino l’ingresso è sempre aperto, ed è da lì che il 30 ottobre, alle dieci, con il pretesto che lo stabile deve essere lasciato libero per procedere a lavori di ristrutturazione, entrano le forze dell’ordine, coadiuvate da alcuni funzionari della Digos e dell’Edisu. Sfondano a calci le porte delle stanze, spargono ovunque gli effetti personali di chi ci dorme, fanno a pezzi il bar, identificano i presenti (italiani da una parte, stranieri dall’altra) e li sbattono fuori. Chi non c’era, arriva di corsa. Si forma un corteo che tenta di andare prima davanti alla sede della Regione e poi al Comune. Cariche e lacrimogeni; i giornali e le televisioni che raccontano di autonomi, centri sociali, anarchici, clandestini, protagonisti di sassaiole e scontri mirati soltanto a sovvertire l’ordine pubblico. A quelli di Via Verdi 15 non resta che eleggere alcuni spazi di Palazzo Nuovo, l’Università, come luogo dove accamparsi per dormire. Ma non è una resa. La mattina dell’otto novembre, la palazzina delle ex scuole comunali, chiusa nel 2001 e abbandonata a se stessa, viene occupata. Pur di fronte al totale degrado in cui lo stabile versa (non c’è riscaldamento, il tetto è a rischio di crollo, muri e pavimenti sono in uno stato pietoso), gli studenti si attivano subito per renderlo vivibile e in grado di ospitare le attività che si svolgevano all’interno della residenza sgomberata. Di polizia e carabinieri, fino ad oggi, neppure l’ombra, soltanto qualche sguardo minaccioso da lontano. Il quattordici novembre, durante le manifestazioni per lo sciopero dei sindacati europei contro le misure di austerità, Via Verdi 15 raddoppia, entrando al piano rialzato di corso Farini. Di nuovo l’abbandono, dal 2001, è totale, il cortile con il parcheggio per le auto di servizio e il giardino sono invasi dalla vegetazione e da gatti allo stato brado.
Sono trascorse in tutto poco più di due settimane, quando andiamo a vedere come procedono le cose. Il capolinea dell’autobus è pochi metri dall’ex commissariato, Vanchiglietta, quartiere popolare. I vetri e gli ingressi blindati affacciano sulla strada, il gracchiare del citofono rimbalza nel vuoto, la porta si apre, chiediamo di Umberto. Arriva, scuotendosi di dosso il sonno. Facciamo un giro? Certo, facciamolo. La “visita guidata” mostra grandi stanze, i bagni, le cucine, i locali a livello del cortile (in uno, la notte precedente, c’è stata una vistosa perdita d’acqua), tra cui la camera di sicurezza con una lunga panca dietro le sbarre. E il giardino. Dice Umberto: «In un giorno e mezzo lo abbiamo ripulito totalmente. Domenica scorsa abbiamo preparato una festa a base di polenta, aperta alla gente del quartiere. Sono arrivati con i bambini». Prova certa che dica la verità sono i grappoli di palloncini colorati sotto le tettoie del parcheggio. Andiamo al bar di fronte. La barista saluta con il tu e con un sorriso. Seduti a un tavolino, mentre ci scaldiamo bevendo un caffè, arriva Edgarda. Umberto ha ventidue anni, viene da Biella; Edgarda un anno in meno, romana di Testaccio, orfana dei tremila euro della borsa di studio. Sorride, quando le chiediamo come abbia reagito all’occupazione la gente del quartiere. «Vedendo arrivare il corteo, il quattordici, certo si sono un po’ spaventati. Ma poi, dopo averci studiati nei giorni successivi, hanno capito, e stanno dimostrando la loro solidarietà». Anche lei cita la festa domenicale con polenta. Tra qui e vicolo Benevello, quanti siete adesso? «Circa un centinaio. Una cinquantina, soprattutto pakistani, sono stati fatti rimpatriare dai genitori, oppure sono riusciti a trovare altre sistemazioni». Umberto traccia il quadro futuro: «Corso Farini sarà il posto dedicato principalmente all’ospitalità, con stanze dove dormire e spazi comuni per consumare i pasti. Vicolo Benevello, che è più piccolo, ospiterà, anzi sta già ospitando, tutte le attività che si svolgevano in via Verdi: la ciclofficina, la palestra, i corsi di francese/italiano per chi proviene dai Paesi francofoni, i seminari “Sapere in movimento”, le aule studio, i cineforum, la serata del giovedì con musica e cena, l’assemblea che si svolge da sempre ogni settimana». Ci vorranno tempo, soldi, molti lavori. Edgarda: «Noi facciamo di tutto. Poi c’è chi ci aiuta mettendo a disposizione il proprio mestiere di idraulico, elettricista, muratore; tanti genitori vengono a chiederci se abbiamo bisogno di mobili e di altre cose». Com’è il vostro rapporto con gli studenti che vivono a casa, letto e pasti assicurati? Umberto: «Non ci sono problemi, noi di Via Verdi 15 siamo conosciuti e riconosciuti, ascoltati durante le assemblee di ateneo. Esisteva una reale partecipazione prima, continua ad esistere adesso».
Vicolo Benevello, nascosto e corto, dista pochi metri dalla sede regionale della Rai e da Palazzo Nuovo. Sulla facciata della palazzina, al primo piano, uno striscione grida “Mai un passo indietro! Via Verdi 15 2.0”. La porta è aperta. Dentro, sono in due a scrostare i muri e a dipingere i soffitti. Ciao. Il cicerone di turno è una ragazza capelli corti e sigaretta rollata tra le dita. Ci accompagna al pianterreno e al piano superiore. «Più sopra non si va, c’è rischio di crolli e dobbiamo mettere in sicurezza». Quel che si vede, che lentamente sta rinascendo, sono stanze con le pareti affrescate da trompe l’oeil di paesaggi, di finestre e portici, decorazioni che riprendono quelle dei palazzi antichi. Qui, infatti, prima che un’impresa privata acquistasse l’edificio per trasformarlo in appartamenti di lusso (ma quando?) funzionava una scuola di restauro. Chi ha occupato, è stato denunciato dall’impresa. Si attendono notizie, sviluppi e azioni in proposito. Per ora vale quello che Edgarda, con aria risoluta, aveva detto al tavolino del bar di corso Farini: «Hanno provato a schiacciarci e noi siamo esplosi». E Umberto aveva aggiunto: «Esistono un sacco di posti abbandonati, nel pieno centro di Torino. Se sarà necessario, andremo in ognuno di questi posti a rifare Via Verdi 15». No, non sono davvero choosy questi ragazzi, caro ministro Fornero. Non sono sovversivi, questi ragazzi, caro ministro Cancellieri. Sono universitari più precari che mai, caro ministro Profumo.
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