Roma 26 Novembre, basta guerre sui nostri corpi: rivolta transfemminista
Il 26 Novembre a Roma si è tenuto un corteo nazionale organizzato da Non Una Di Meno in occasione della giornata per l’eliminazione della violenza maschile contro le donne e di genere.
La marea transfemminista animata da decine di migliaia di persone da ogni parte di Italia si è riversata per le strade della capitale al grido “basta guerre sui nostri corpi: rivolta transfemminista” per denunciare l’interconnessione strutturale tra violenza patriarcale e guerra. La manifestazione si è aperta agitando le chiavi di casa, per ribadire che, in contrasto con le narrazioni paternaliste e securitarie, sono proprio la casa e le relazioni di fiducia il primo terreno della violenza. Secondo i dati dell’Osservatorio Femminicidi Lesbicidi Trans*cidi (FLT) portato avanti da Non Una Di Meno (NUDM), in Italia nel 2022 vi sono stati 107 Femminicidi Lesbicidi Trans*cidi indotti o sospetti indotti da violenza patriarcale e omolesbobitrans*fobica. Si nota come quasi sempre l’assassino era conosciuto dalla persona uccisa: in 44 casi, l’assassino è stato il partner (marito o convivente) e in 12 casi l’ex compagno da cui la persona uccisa si era separata o aveva espresso l’intenzione di separarsi. In 16 casi, il colpevole è il figlio e in altri ancora l’assassino è il genero e ex genero, il padre, un amico, un vicino di casa, un collega. Emerge l’importanza fondamentale di tali dati che sono costruiti dal basso, che non mirano ad essere assoluti o analisi inappellabili ma si fanno strumento per dare voce, per gridare forte i nomi di tuttə: quelli che nelle “liste ufficiali” non ci sono, dellə sorellə trans, sex worker , poverə, senza documenti. È fondamentale tenere a mente questi nomi e prendere nota di femminicidi lesbidci ed trans*cidi per portarli nelle strade che ogni giorno attraversiamo con presidi e cortei, per metterci in ascolto dare un volto e una voce allə sorellə che non ci sono più e per dare forza a quellə che ogni giorno vivono sul proprio corpo la violenza patriarcale, ai percorsi di fuoriuscita dalla violenza costruiti quotidianamente dalle reti di supporto dal basso e dai Centri Aniviolenza che scelgono di non limitarsi ad essere un servizio (peraltro sottofinanziato) ma uno spazio politico collettivo e che infatti erano in piazza.
Lottare contro la violenza significa dire no alla guerra sui corpi, e quindi contestare con forza la guerra combattuta dagli eserciti degli stati, che è l’espressione più dura della violenza patriarcale, che a livello globale travolge e distrugge le vite di milioni di persone, in Ucraina come in Palestina, in Siria, in Yemen ecc. Un movimento che dalla sua genesi valica i confini e si pone una prospettiva transnazionale si schiera con forza a fianco dellə compagnə che subiscono violenze, stupri, lutti e distruzione a causa della stessa guerra che da tempo crea dolore e ferite in varie parti del mondo, che radicalizza la normatività dei ruoli di genere e che rende ogni giorno più brutali gli effetti della violenza sulle frontiere di terra e di mare che le persone migranti provano ad attraversare. Con forza è risuonato nella piazza il grido Jin, Jiyan, Azadì (Donna, Vita, Libertà) che dà voce alla rivolta che infiamma le strade contro il regime Iraniano e che nasce dalla rivoluzione delle donne che è in atto in tutto il Kurdistan e nel Nord-Est della Siria. La piazza ha espresso con forza la solidarietà e il sostegno allə compagnə che in Rojava stanno subendo i bombardamenti del regime turco di Erdogan e che si preparano a resistere a una nuova invasione militare, agita nella complicità delle potenze internazionali. Gli stessi governi che finanziano, armano e combattono guerre devastanti, le utilizzano poi per attaccare le possibilità di vita di tuttə noi: continuano a tagliare sulle politiche pubbliche, su sanità e welfare ignorando la necessità di affrontare la crisi climatica ecologica e sociale.
Emblematici sono l’attacco portato avanti dal governo Meloni al reddito di cittadinanza che nonostante l’approccio familistico e le condizionalità rappresenta una fonte di sostentamento per moltissimə, ma anche i continui tagli alla sanità pubblica mentre gli investimenti per la produzione infrastrutture e progetti nocivi aumentano, nonostante la gravità della crisi ecologica globale, rendendo sempre più insalubri e mortiferi i territori per chi li abita. Guerra sui corpi significa anche denunciare la scelleratezza di uno stato che vuole destinare i soldi pubblici all’aumento della natalità italiana, mossa che determina la volontà di preservare e conservare la cosiddetta “famiglia naturale” guarda caso bianca italiana eteronormata e nucleare. Un’ideologia che nega la violenza omolesbobiatransfobica e attacca l’autodeterminzazione delle donne attraverso la volontà di limitare e restringere il diritto all’aborto, anche tramite lo spazio e i finanziamenti pubblici ai gruppi ultracattolici che quotidianamente i movimenti trasfemministi contrastano sui territori perché cercano di limitare le possibilità di autodeterminazione, a partire dall’accesso all’aborto che a causa del loro agire viene già limitato di fatto anche se non per legge.
Emerge la determinazione di una rete che afferma come vite, corpi, e idee non scompaiano trucidate dal vouyerismo machista della stampa e delle televisioni e dalle narrazioni di governi xenofobi razzisti e ultraconservatori. Il 26 novembre si è sces* in piazza contro la guerra il carovita, la crisi climatica e sociale, contro la speculazione sulle bollette per rivendica forte e chiaro un reddito di autodeterminazione, incondizionato e universale, slegato dalla famiglia, dalla prestazione lavorativa, dalla cittadinanza e dalle condizioni di soggiorno che permetta di rifiutare realmente i ricatti dello sfruttamento, del lavoro, della precarietà, del razzismo, delle molestie e della violenza domestica. La lotta per un welfare pubblico, gratuito e non familistico, per rinegoziare i ruoli tra i generi e la condivisione del lavoro di cura, per il diritto a un aborto libero e sicuro, per la contraccezione gratuita ed educazione sessuale e affettiva di genere nei luoghi della formazione e non solo, per una transizione ecologica che non mantenga la divisione dei ruoli di genere e non devasti i territori si fa marea.
Riprendiamo parte delle parole dellə compagnə dell’Osservatorio: “Gridiamo forte i loro nomi che suonano così simili ai nostri, di ognunə di noi , perché siamo noi. Gridiamo forte che non dimenticheremo nessunə, che conosciamo la diretta correlazione fra la piramide della violenza e le mani di chi ci uccide, la correlazione fra la violenza machista quotidiana e le guerre. Che riconosciamo la connessione intriseca fra l’abuso patriarcale e lo sfruttamento delle risorse del pianeta e l’abominio su tutte le forme di vita che lo abitano. Gridiamo forte che una ogni tre fra noi , secondo le statistiche , ma probabilmente molt* di più ha subito molestie e violenze nella propria vita. Ma soprattutto gridiamo forte che in ogni angolo del pianeta, se siamo insieme, se non ci dimentichiamo di nessunə di noi, se ci guardiamo unə con l’altrə possiamo rispondere. Possiamo forse non soccombere. Possiamo non scomparire. Un osservatorio femminista e transfemminista, osserva ma soprattutto compartecipa, elabora collettivamente, costruisce strumenti diffusi di analisi e reazione. Grida forte, ascolta con attenzione. Questa rete si chiama non una di meno, Se cado io ci sei tu. Facciamo insieme che sia vero. Riprendiamoci tutto.”
Il processo per lo sciopero è in corso, la marea transfemminista si rincontrerà il 4 e 5 febbraio a Torino per la prossima assemblea nazionale verso uno sciopero che vuole e deve essere di tuttə e per tuttə.
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