Rosarno. Davvero nulla è cambiato?
Mentre i migranti e le associazioni e i movimenti antirazzisti mettevano in luce che le condizioni di vita a Rosarno sono e continuano ad essere figlie di un sistema di sfruttamento, le risposte da parte delle istituzioni sono state solo due: repressioni e deportazioni da una parte, filantropia dell’emergenza dall’altra, il tutto condito con qualche dichiarazione antimafia.
Dei circa 150 lavoratori ospitati dal centro sociale ex Snia Viscosa, nel Prenestino di Roma, la maggior parte ha avuto il permesso per motivi umanitari, che ha durata, però, solo di un anno. Altri migranti hanno cercato lavoro altrove, a Castelvolturno, Villa Liperno, Brindisi, Foggia e nell’Agro Pontino magari nei campi di pomodori pugliesi raccontati da Fabrizio Gatti già nel 2006.
Secondo Antonello Mangano qualcosa a Rosarno è cambiato, nelle strade non ci sono più i ragazzini armati pronti a seviziare i migranti, la ‘ndrangheta della zona è stata indebolita delle retate che il ministero degli interni, messo alle strette dalle luci dei riflettori richiamati dalla rivolta, è stato costretto a fare. Rosarno forse è davvero cambiata e la presa di coscienza dei migranti ha creato le condizioni per la messa a nudo dei poteri forti della zona: è partita un’ inchiesta su caporalato e sfruttamento, Ie famiglie dei Bellocco e dei Pesce non sono più intoccabili, è partito un nuovo protagonismo femminile che ha portato all’elezione a sindaco di una donna dopo due mandati sciolti per mafia.
E le condizioni dei migranti? Le condizioni di lavoro nei campi? Quelle non sono mutate, perché quelle non sono un problema rosarnese, sono un problema italiano, europeo. Le arance vanno raccolte a 7 centesimi al chilo, 20 euro a testa al giorno, altrimenti non conviene raccoglierle e rimangono nei campi. Un ricatto che ricorda molto la Fiat di Marchionne: si addita la globalizzazione come evento naturale e si impone che a pagare il prezzo sia la manodopera, i lavoratori, neri o bianchi che siano. L’alternativa è la delocalizzazione: la Panda in Romania e le arance in Brasile. La criminalità organizzata nei campi calabresi è congeniale a tutta la filiera e funziona da meccanismo di controllo.
Al ricatto economico si somma quello del permesso di soggiorno. Si è parlato dei migranti neri di Rosarno come di clandestini, la verità è, come per molti quasi tutti i migranti in Italia, che una distinzione tra regolere e irregolare è spesso difficile, e quasi sempre superflua. Chi non ha il permesso si sente braccato dalla possibilità della deportazione in qualsiasi momento, chi il permesso ce l’ha è costantemente ricattato dal collegamento tra il permesso e il lavoro della legge Bossi-Fini, per cui perdere il lavoro significa perdere il permesso.
Proprio in questi giorni parte la raccolta delle domande per il nuovo decreto flussi con tutte le contraddizioni contenuti in quelli passati: dovrebbe permettere a migranti residenti all’estero di venire a lavorare in Italia, ma come sempre sarà l’opportunità per molti che lavorano già in Italia per ottenere un permesso. Per molti, ma non per tutti, creando di nuovo il dispositivo della “sanatoria truffa” denunciata dai migranti in questi mesi: se faccio la domanda, esco alla luce del sole e se non mi arriva il permesso di soggiorno arriva il foglio di via. E il foglio di via in mano significa essere escluso da qualsiasi altra sanatoria.
Senegalesi o bulgari, africani o abitanti dell’Europa dell’Est continuano a raccogliere frutta e verdura nei campi italiani, ma la rivolta di Rosarno, così come le proteste sulla gru di Brescia sono comunque momenti importanti di una presa di coscienza.
Le proteste di Rosarno non sono state solo la giusta e umana reazione ad una condizione di vita che va ben oltre il limite di sopportazione, ma hanno dimostrato la capacità dei migranti di muoversi come soggetto politico che quest’anno si è mostrato in diverse occasioni: lo sciopero delle rotonde dell`ottobre 2010 a CastelVolturno, la gru di Brescia e le torri di Milano, l’11 marzo che in alcuni casi è stato davvero sciopero dei migranti.
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