Medito vendetta. Alta marginalità, il punto di vista di un’operatrice sociale
Pubblichiamo una seconda memoria dalla pandemia, un racconto “ragionato” scritto a quattro mani, di un operatrice ed un operatore sociale, tra Pisa e Cosenza. Il testo che segue scava il rapporto con la cura degli “ultimi”, l’esternalizzazione dei servizi sociali e il ruolo del terzo settore. Tra abbandono, senso di colpa, auto-sfruttamento e il fallimento delle politiche sociali di questo paese, prima, durante e dopo il Covid19.
Il virus e la riproduzione sociale
Il 10 marzo ha inizio la mia quarantena. Tutte le sere faccio meditazione…..medito!
Lavoro come operatrice di strada su due progetti rivolti a persone vulnerabili, le persone senza fissa dimora, homeless e le persone che si prostituiscono, sex worker.
Resto a casa dal 10 marzo, perchè per scrupolo decido di misurare la febbre prima di andare in turno, e il pomeriggio del 10 marzo ho 37,3, troppo rischioso andare sul furgone con le mie colleghe, dove in due metri dobbiamo stare in tre e dove incontriamo in poche ore decine di ragazze che stanno sulla strada; la mattina il turno di lavoro l’avevo svolto, ma per fortuna io e il collega avevamo fatto il turno a piedi e rispettato il metro di distanza, ho fatto mente locale e non ho mai nè starnutito nè tossito durante il turno e più volte ho lavato le mani con il gel disinfettante, non dovrebbero esserci problemi.
“Ad una crescente precarizzazione delle condizioni esistenziali delle persone è conseguito un continuo taglio di risorse da destinare a quelle strutture (pubblico privato e pubblico statale) che avrebbero dovuto rispondere in modo efficace ed efficiente (per utilizzare una terminologia cara al capitale) alle emergenze che man mano si venivano a creare sui territori.
Il sistema di privatizzazione ed esternalizzazione dei servizi sociali iniziata alla fine degli anni novanta con gli interventi legislativi dei governi di centro-destra e centro sinistra ha creato una frattura tra i bisogni sociali e la risposta a questi del sistema pubblico.”
Chiamo il medico, le disposizioni non consentono di andare a visita in ambulatorio, e il medico è sprovvisto di dispositivi di protezione per venire a visitarmi a domicilio; il medico mi dice di aver già ricevuto 80 telefonate nell’arco della giornata, è esasperato, io mi scuso per averlo chiamato, quasi mi sento in colpa, ma che ci posso fare, penso proprio di non dover andare a lavoro…..ma per sicurezza chiamo anche uno dei miei coordinatori, che mi chiede di stare a casa.
Il medico mi chiede di misurare la febbre regolarmente e io che sono molto metodica la inizio a misurare tre volte al giorno.
Con un pò di ansietta scorrono le giornate, perchè nel frattempo la mia amica/sorella è sottoposta a tampone, ho paura per lei, per le persone che abbiamo incontrato, per sua figlia, che ha solo lei…..due giorni per avere il risultato: negativo, posso tornare a respirare, continuare misurare la febbre e meditare!
Passa la prima settimana, l’andamento della febbre è costante (37,2 la mattina, 37,4 il pomeriggio di nuovo 37,2 la sera).
Non riesco a stare a casa e pensare che le colleghe e i colleghi non si siano fermati, non ci possiamo fermare, improvvisamente i nostri servizi diventano essenziali, inizio a mettermi in contatto con loro, per capire se hanno i dispositivi di protezione individuale, dal 10 al 17 marzo la cooperativa fa di tutto per fornire il materiale idoneo alla situazione, ma le direttive del governo non sono ancora chiare, i responsabili chiedono di usare le mascherine e i guanti, anche se per ora gli organi dirigenti, Società della Salute, dicono che la mascherina devono utilizzarla gli “utenti” (esatto le persone con le quali lavoriamo sono utenti, non-persone) se dovessero presentare sintomi.
Provate ad immaginare, persone che passano la vita in strada, fumando mille sigarette, o donne che lavorano tutta la notte sul bordo della strada……chi di loro non ha un banale raffreddore? E se non vengono utilizzate nel modo giusto le mascherine diventano pericolose, è impossibile che lascino a noi questa patata bollente, come facciamo noi, che non siamo sanitari a capire chi ne ha bisogno e chi no?
Dai decreti Bersani in poi l’intervento pubblico è stato affidato a quello che oggi viene definito terzo settore, ovvero ad enti di diritto privato che rispondono ad esigenze pubbliche con obblighi contabili e fiscali tipici dell’iniziativa privata tout court.
Ciò ha implicato, nel tempo, la dequalificazione di mansioni e servizi, determinatasi dalla continua necessità delle amministrazioni di tagliare fondi e stabilire equilibri di bilancio tramite la diminuzione dei servizi offerti sul territorio. L’incontro tra domanda e offerta non si è più realizzato tenendo alti gli standard degli interventi ma tramite un continuo ribasso della risposta dell’ente pubblico, che così ha reso associazioni e cooperative strumenti di auto-sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori, che, specialmente negli interventi di alta marginalità, si sono trovati ad affrontare in solitaria e con un carico umano molto pesante, le emergenze che via via si verificavano nei territori.
Intanto la cooperativa fa sapere che sta provvedendo a richiedere i Fis per tutti qui servizi che sono stati chiusi a seguito del decreto cura italia…Ma non ci sono garanzie, chiedono di utilizzare le ferie i permessi e anche la banca ore negativa, io non ci sto, credo che dobbiamo segnarci tutte le ore, che le convenzioni stipulate dalla cooperativa con gli organi committenti sono firmate, e quindi i soldi ci sono o comunque ci saranno, credo che non si possa chiedere sempre agli ultimi di fare un sacrificio, no, non è giusto! ma sono chiusa in casa, ho la febbre, ho anche un pò paura, visti i tempi! chiamo l’unica persona che conosco della mia cooperativa iscritta ad un sindacato, lei si muove e chiama la sindacalista di riferimento, i sindacati si stanno muovendo, e infatti arrivano rettifiche da parte della cooperativa… Intanto questa è risolta!
“Gli enti di diritto privato che operano nel sociale (che siano coop o associazioni) non hanno d’altra parte saputo garantire né una formazione adeguata di chi vi lavora nè una autonomia economica e politica , digerendo, senza reale opposizione, le indicazioni degli enti pubblici, rinunciando all’etica del lavoro, accettando la logica del mantenimento di servizi a diminuzione dei fondi. Il tutto sulla testa di chi vi lavora. La logica del lavoro ad ore, dei micro-finanziamenti, dei progetti a tempo ha reso sia nelle grandi strutture che nelle piccole ognuno sfruttatore di se stesso.
La mancanza di una sindacalizzazione di chi spesso si trova ad essere sia socio che lavoratore ha implicato da un lato una politica gestionale legata alla capacità di intrattenere relazioni con l’autorità politica, con tutto ciò che ne consegue, dall’altra un disperato tentativo di difendere un minimo di reddito a qualunque costo e senza contrapposizione né all’interno né all’esterno.”
Il fine settimana è di rivolta, i detenuti si ribellano… E ne muoiono 8, forse 9, forse 10, non si sa, le fonti ufficiali dicono morti per overdose di metadone, io lavoro con i tossicodipendenti, per aver un overdose di metadone ne devi assumere veramente tanto, e poi nel bel mezzo di una rivolta guarda caso in così tanti si buttano sul metadone fino ad avere un overdose collettiva… Segno in agenda, su questo abuso prima o poi si dovrà fare chiarezza. ma in carcere c’è anche Nicoletta, nonna adottiva di Bussoleno, non le ho mai scritto, ho soggezione a scrivere all’insegnante di latino e greco, io non so scrivere, le scrivono in tanti magari le scriverò più in là, ma più in là potrebbe essere troppo tardi… Merda Nicoletta, fai domanda per uscire il prima possibile da lì, devi uscire subito, non abbiamo bisogno di una martire, ma di una voce forte che racconta quello che sta succedendo dentro quelle infami mura… Medito vendetta!
Il 16 marzo, un giorno importante, nel 2003 a Milano uccisero Dax, e chi se la scorda quella notte, mi sveglio con questo pensiero e misuro la febbre 37,2, allora chiamo il medico, questa volta è più tranquillo, riusciamo a parlare bene, mi rassicura, mi spiga che la mia febbre è data da una forma virale che sta girando in questo periodo, non parla di covid19, mi dice di stare al caldo e riposare, e di chiamarlo in qualsiasi momento se dovessi avvertire dei peggioramenti… Non mi soffermo troppo, sui peggioramenti… Però questa storia del virus che sta girando in questo periodo non è che mi rassicuri molto!
inizia la settimana, i miei colleghi che lavorano con i senza fissa dimora, sono in fase di riorganizzazione del servizio, la Società della Salute mette a disposizione altri 12 posti letto, e predispone l’apertura H24 per le strutture, non si può più prevedere al turnazione, chi è dentro è dentro, fino alla fine dell’emergenza. Decido di partecipare alle riunioni dell’equipe di lavoro, per non perdermi passaggi importanti e anche per dare il mio contributo, sono l’unica donna in quel gruppo di lavoro, penso di poter dare un punto vista importante! Insieme scorriamo tutti i nomi delle persone che tutti i giorni contattiamo, chi sono i più vulnerabili? Chi ha patologie? Quanti anni hanno? A noi la patata bollente di dover scegliere chi sta dentro e chi resta fuori… Un potere che non mi appartiene, che non voglio… Io penso che ci dovrebbe essere una soluzione per tutti, ho un esplosione di emozioni fortissime, penso che per anni ho lottato per il diritto alla casa, e lo so che in questa nostra città ci sono migliaia di immobili sfitti e che tutte e tutti potrebbero avere un alloggio dignitoso, eppure neanche di fronte a questo maledetto virus l’amministrazione prende decisioni importanti, urlo dentro REQUISIRE… Lo capisco io che non sono poi così intelligente… Perchè non ci arriva chi ci amministra? è sempre lo stesso sporco gioco, non si toccano i poteri forti, si lascia che la crisi la paghino ancora un volta gli ultimi… Medito vendetta!
“La mancanza di riconoscimento della professionalità delle operatrici e degli operatori hanno reso il lavoro dequalificato e scadente. Atipicità contrattuali, disuguaglianza salariale a parità di mansioni, mancanza di diritti sul posto di lavoro, sono il frutto di scellerate scelte politiche che poi si riversano su chi lavora sul campo, e spesso si traducono in un “o questo o niente”. Senza voler togliere niente a nessuno, è venuto il momento di denunciare il fallimento delle politiche sociali di questo paese, e se non si vuole essere complici bisogna reagire.
Il riconoscimento della funzione sociale delle operatrici e degli operatori sociali pone in essere la necessità di superare il modello attuale d’intervento, con la costruzione di figure professionali formate e competenti. Il privato sociale non ha gli strumenti adeguati per rispondere alle esigenze di una società in cui la forbice tra i pochi ricchi e i molti precari va ad aumentare. Strumenti come parità di bilancio e programmazione a tempo, li hanno resi strumenti di mediazione al ribasso, luoghi di precarietà diffusa e alto rischio.”
I colleghi comunicano alle persone che sono state scelte la possibilità di avere un posto per dormire fino alla fine dell’emergenza, e qualcuno non accetta, c’è chi non riesce a stare chiuso in un luogo senza poter uscire, molte delle persone con cui lavoriamo hanno bisogno di fumare, bere, usare sostanze, hanno dipendenze o problemi psicologici tali da non riuscire a sopportare la chiusura e quindi preferiscono restare fuori, morire di freddo e di fame… E io mi chiedo: come si è riorganizzato il traffico di sostanze? e penso che si potrebbe scrivere qualcosa dal titolo “l’eroina ai tempi del coronavirus”… Ma poi mi perdo a pensare e non scrivo niente.
Intanto le colleghe che lavorano con le sex worker si sono riorganizzate, centinaia di telefonate per capire quali problemi hanno le ragazze e le trans e subito emergono due grandi problemi, sono irregolari, non hanno permesso di soggiorno, anche con l’autocerificazione (che cambia continuamente, anche questa è diventata una barzelletta, con tutti i problemi che abbiamo questi pensano a cambiare le virgole sulle autocertificazioni, e lasciano le fabbriche aperte) non possono uscire, rischiano troppo se vengono fermate; e non lavorando non hanno più soldi per pagare l’affitto ma soprattutto per comprare qualcosa da mangiare. Allora ci riorganizziamo… Ci avanzano i soldi che di solito usavamo per metter benzina al furgone, potremmo usare quelli… Sentiamo le colleghe delle altre unità di strada cosa fanno… Ci riorganizziamo a livello regionale, con azioni simili, facciamo circolare le informazioni sulla nuova pagina di facebook… Ci sono le immunodepresse che devono prenderei farmaci antivirali, ma in ospedale non possono andare, ci andiamo noi, accordo veloce per poter ritirare i farmaci e consegnarli a casa…
“Il lavoro sociale, in special modo quando si tratta di prossimità ed alta marginalità, ha una funzione nei contesti contemporanei, di alto profilo. Le azioni che vengono svolte sono azioni di alto valore sociale, di importanza strategica per le comunità. In un contesto ampio di marginalizzazione e precarietà delle esistenze, i lavoratori e le lavoratrici sono gli unici che, anche quando i riflettori mediatici si spengono, si ritrovano sul campo ad affrontare le emergenze sociali. Quando le amministrazioni tirano in barca i remi, disinteressandosi dei problemi delle persone, abbandonandole al proprio destino, a pagare un prezzo altissimo sono proprio coloro che vi lavorano, con salari da fame e precarietà.”
Secondo fine settimana, si fanno le orecchiette fatte in casa, mai fatta la pasta a casa, ci si prova, buone, si possono rifare, tra un mesetto vai! siamo fortunati io e il mio compagno, abbiamo due terrazzi a casa, dove possiamo stare in solitudine e prendere aria e sole, non abbiamo palazzoni davanti alle finestre, i vicini di casa improvvisamente parlano dai balconi, ci si sfoga, ci si confronta, ci si conosce, finalmente! Ma non è facile stare insieme 24 ore su 24, con le paturnie per questa febbre che non passa, con l’ultimo assegno di disoccupazione di I. e il pensiero che da aprile non sappiamo come fare, siamo più fortunati di altri, io ho un lavoro, part-time, ma c’è, ma non ci basta per campare dignitosamente… Si discute, con la socialità che ognuno dei due viveva annullata, tutto chiuso, niente palestra popolare niente collettivo femminista, si discute, a volte si litiga per un niente… Ma proviamo a tenerci in forma, allenamento giornaliero di box I. e meditazione per me, tutte le sere, devo far respirare il cuore e staccare il cervello… Medito vendetta!
La febbre è sempre lì, e questa seconda settimana ho anche avuto mal di testa, un giorno è stato forte…un giorno la febbre è salita a 37,6… Nel frattempo si aspetta che facciano un altro tampone ad un’altra amica M., che ha la figlia positiva, fiato sospeso…. Meditare, non per entrare in connessione con gli esseri viventi del pianeta terra, ma per ricordare al mio corpo di saper respirare…
Inizia la terza settimana, si fa una lunga lista della spesa, la più lunga della mia vita, io resto a casa, ho ancora la febbre, I. si mette la mascherina, lascia qui il cellulare per non dover toccare niente mentre è in giro e parte alla volta del supermercato, rientrerà dopo più di tre ore. Io intanto chiamo il medico, dice che ci sono moltissime persone nella mai stessa situazione, mi fa il certificato fino al 3 aprile, mi raccomanda sempre le stesse precauzioni e mi dice che mi invierà il certificato. Lo invia la sera, e insieme una mail dove dice “… Penso si tratti di un infezione da Covid molto leggera… Comunque niente tamponi per ora, anche perchè non ne abbiamo, conviene comportarsi come infetti e seguire strettamente “le regole”. Perfetto, fortuna abbiamo appena fatto la spesa, uscendo con tutti i dispositivi che fortunatamente avevamo, io non esco da 14 giorni, ma quando finisce la spesa come si fa? io potrei essere infetta, ma non è dato saperlo perchè i tamponi si fanno solo a chi ha sintomi gravi o è stato a contatto stretto con positivi. E chi vive con me deve sperare di essere un famoso asintomatico, chiudersi in casa per senso civico e aspettare insieme che tutto passi. Ancora una volta ho l’ansietta e decido di scrivere ad un’amica medico, mi rassicura, e mi dice che in questo momento è così, di stare a casa e chiedere se abbiamo bisogno per la spesa. Mi metto in pace sul divano, quando mi ricapita di poter riposare per così tanto tempo, e poi mi fanno male le ossa, sono stanca senza fare niente. Aspetto al sera, per respirare a lume di candela, in silenzio e meditare… Io medito vendetta!
Intanto i colleghi e le colleghe lavorano, io decido di dare una mano, per non farli stare troppo in ufficio mi do disponibile a fare cose da casa, tutte le mattine inserisco dati nel data base, un’ora e mezza circa in cui il cervello è impegnato; poi mi sento spesso con le colleghe, riorganizzare il lavoro è complesso, le persone con cui lavoriamo sono in forte difficoltà, le colleghe fanno sforzi enormi, mettono in campo “azioni efficaci” di sostegno, – pronti ai posti via- : iniziamo a comprare beni di prima necessità per far fronte alla carenza di cibo, ma anche qui lo stesso problema, a chi portiamo i pochi pacchi che riusciamo ad acquistare? con i soldi che abbiamo arriviamo a comprare 10 pacchi, non bastano, devono darci altre risorse… Intanto iniziamo da quelle che sappiamo essere messe malissimo, poi vediamo.
“A questo bisogna aggiungere il ruolo del volontariato. Bisogna fare una distinzione forte tra i proponenti. Vi è un volontariato obbligato dalle necessità, che si muove in un contesto difficile per sostenere quelle persone che altrimenti sarebbero abbandonate dai servizi. Un volontariato critico in grado di mettere in piedi percorsi critici, ben consapevole dei propri limiti e che non rinuncia alla denuncia politica dell’inefficienza degli enti pubblici. Come operatori e operatrici sociali non possiamo fare a meno di apprezzare coloro i quali rendono un servizio importante nel momento in cui lo Stato e le sue propaggini territoriali si girano dall’altra parte, con l’amarezza di essere consapevoli, come loro, di come solo un intervento pubblico possa realmente non solo arginare il problema ma anche provare a risolverlo.
E poi vi è un volontariato di sistema, che dispone di grandi capitali, e che si muove in sostegno acritico con le amministrazioni politiche. Si tratta di un volontariato ricco, che dispensa fondi e progetti in cambio di riconoscimenti e tutele dei privilegi sia pratici che politici. In un paese come il nostro, centro del cattolicesimo mondiale, la posizione dominante in questo campo è assunta dalle comunità religiose, che si avvalgono di strumenti e risorse che il capitale del privato sociale laico non può né sostenere e né competere.”
Arriva il terzo fine settimana tra le mura di casa, che si fa? la casa non è mai stata così pulita! Facciamo la pizza! E pizza sia, telefonata a mio fratello per avere consigli sulle dosi e per vedere un po’ la nipotina, che nel frattempo cresce e che ora ha un’altalena in giardino, fortunata lei, ha il giardino e due genitori tutto fare che le costruiscono un’altalena….la testa viaggia a tutte quelle bambine che un giardino non lo hanno, e non hanno neanche da mangiare e vivono in 7 in un bilocale… Medito vendetta!
E’ domenica, finalmente vedo le mie compagne, ci separa la distanza e ci vediamo su uno schermo, ma vedere le loro facce, sentire le loro voci, provare ad organizzarci insieme, come abbiamo sempre fatto, mi da la carica, mi sento meglio a stare con loro, a condividere “la stessa rabbia e la se stessa primavera”.
Inizia un’altra settimana, ci sentiamo con le colleghe e facciamo una lista, nel frattempo abbiamo racimolato altri soldi, riusciamo a comprare altri beni di prima necessità, possiamo fare altri pacchi, possiamo andare a prendere i farmaci antiretrovirali e consegnarli a domicilio, iniziamo a vedere la nuova forma del nostro lavoro, le colleghe sono stanche, inventarsi tutto, da capo, di fronte alla totale assenza delle istituzioni, che non danno indicazioni… Questa sarà una lunga settimana di rabbia, la sento crescere…
“La funzione pubblica del lavoro sociale deve, ad oggi, renderci promotori di una visione d’insieme che superi lo steccato creato con l’esternalizzazione dei servizi. Uno steccato che vede operatori e operatrici lavorare in campo “pubblico” con un sistema di garanzie “privato”. Il proliferare di coop e associazioni no profit in questo campo (e quindi non più a supporto di interventi pubblici, ma essenziali e unici nella fattispecie degli interventi) ha creato un sistema incapace di tutelare le persone più vulnerabili, escluse dal cosiddetto benessere, marginalizzate e spesso vittime di violenza. I primi a speculare su queste contraddizione sono i servizi sociali, che si arroccano nei loro privilegi ed essendo diretta emanazione delle amministrazioni, ne accettano passivamente le soluzioni. La mancata autonomia dei servizi sociali spesso implica conseguenze gravi sul sostegno alle persone in difficoltà. Il ricatto contrattuale (nuovo paradigma è quello delle partite IVA), li rende ancor di più emanazione diretta dell’inefficienza del pubblico.”
…. Ma c’è una bella notizia: Nicoletta è a casa, con restrizioni totali, ma a casa, fuori da quell’inferno, e il pensiero va a chi è rimasto dentro, alle condizioni disumane del carcere, che erano disumane anche prima di questa pandemia… amnistia e indulto, subito… Medito vendetta!
Ma le belle notizie arrivano sempre insieme a quelle brutte, perchè si sa, mai una gioia, M. è ricoverata in ospedale, tampone negativo ma esame del sangue, valori e sintomi fanno comunque pensare che abbia contratto il coronavirus, lei è in buone mani, è una guerriera, vincerà questa battaglia… Il pensiero va alle donne che vivono con lei, sono tre, speriamo facciano presto a fare i controlli, e che vengano seguite nel modo giusto; sono impotente di fronte a tutto quello che sta accadendo…
“Esiste un modo però per uscire dall’empasse. Bisogna internalizzare il lavoro. Uscire dalla logica del ente di diritto privato e ridare dignità a figure professionali che altrimenti rimarranno schiacciate dalla propria condizione di precarietà. Formazione, intervento sul campo, continuità delle azioni, capacità di interfacciarsi con i servizi sociali.
Se ciò non sarà messo al centro del dibattito, le operatrici e gli operatori continueranno ad essere una non-categoria, precaria e acriticamente funzionale, incapace di far sentire la propria voce nella quotidianità del lavoro e nei momenti d’emergenza, come quella che stiamo vivendo.”
scrivo oggi 31 marzo 2020 quello che stai leggendo, è scritto così, come lo sento, senza troppe riflessioni, di getto e con il fiato corto, non mi sono mai sentita sicura nello scrivere, ma eccomi qui… Continuo a meditare, medito vendetta!
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