Genova, “è nato un popolo e la pietra scagliò” – seconda parte
Nella notte tra il 1 e il 2 luglio il prefetto fa schierare gli agenti in snodi importanti della città, al fine di impedire il concentramento dei manifestanti, in arrivo dai quartieri industriali, nel centro della città.
Una colonna di venti trattori agricoli provenienti da Portoria, avanza verso gli schieramenti di forze dell’ordine per abbattere gli sbarramenti di filo spinato che circondano piazza De Ferrari, vengono confezionate centinaia di bombe molotov, nella cinta industriale intorno alla città si ricostituiscono le formazioni di partigiani accorsi da tutta Italia, pronte a scendere in città, in alcuni quartieri, quali del Porto, di via Madre di Dio, di via Sant’Andrea vengono costruite barricate di pietre e legname alte due metri.
Davanti ad alcuni lussuosi alberghi in cui alloggiano i dirigenti dell’Msi i manifestanti si scontrano ancora con le forze dell’ordine, e in alcuni casi riescono anche a entrare in contatto e ricacciare indietro i fascisti.
Sono circa 500.000 i lavoratori e gli antifascisti mobilitati, pronti a scendere in piazza.
È a questo punto, che il governo capisce di aver perso la partita e, revoca l’autorizzazione all’Msi per lo svolgimento del congresso nel capoluogo ligure. Lo sciopero indetto dai sindacati viene revocato. La Genova antifascista ha vinto.
Continua Silvio Micheli: “Per evitare i blocchi mi diressi a Porta Soprana mentre batteva mezzanotte a un campanile disperso. Ma dove non incontravo “celerini” o carabinieri, incontravo gruppi di giovani e di uomini, con gli occhi duri. Tutte le finestre di quel quartiere operaio erano accese, e gli usci socchiusi. L’elicottero tornava a frullare come ieri sulla città. Un sordo fracasso scoppiò lontano. “Che cosa accade?”, chiesi. “Pare che abbiano attaccato i fascisti negli alberghi”, mi risposero. “Girano e cantano Giovinezza. I ‘celerini’ li lasciano cantare, ma noi no”. Via Balbi era tutta affollata davanti alla Ccdl. Là in mezzo venni a sapere degli scontri tra fascisti e antifascisti davanti ai lussuosi alberghi. Imbaldanziti dai “celerini” che li proteggevano, i fascisti si lasciavano andare ad atti inconsulti e provocazioni. Come davanti al “Columbia” dove, vanamente difesi, erano stati picchiati e ricacciati dai giovani in maglietta a strisce. Le due non erano lontane. Gli operai arrivavano in via Balbi da ogni rione. Qualche dirigente che li persuadeva a rincasare, era stato fischiato. Nessuno poteva più resistere in casa. La tensione aumentava. […] Un grido ci fece voltare. Poi un’esplosione di gioia. Era il tocco e quaranta. In quel momento il prefetto di Genova aveva telefonato al segretario della Ccdl per comunicargli personalmente che il congresso del Msi non si sarebbe fatto”.
Pesante il bilancio repressivo che le giornate di Genova si porteranno dietro: saranno in tutto novantotto le persone arrestate, ventitre delle quali saranno ancora in carcere il 19 agosto, quando verrà celebrato il processo che terminerà con condanne dure, dai tre ai quattro anni di carcere.
Il 3 luglio si svolge a Genova un’altra grande manifestazione per celebrare la vittoria del movimento antifascista, durante la quale ilgenova 1960 6 magistrato Peretti Griva afferma: “I ragazzi arrestati hanno agito per legittima difesa e in stato di necessità contro i soprusi avversari. Guai se il popolo non fosse insorto, si sarebbero preparate al Paese nuove e più tragiche ore. Io mi auguro che la magistratura sappia interpretare esattamente la realtà”.
In un estremo atto per cercare di riaffermare la propria autorità, scalfita e messa prepotentemente in discussione dalla vittoria della piazza genovese, Tambroni ordina alle forze dell’ordine , nei giorni successivi, di sparare in situazioni di ” particolare emergenza” durante gli scioperi e i cortei antifascisti che vengono organizzati in tutta Italia, molti dei quali finiranno nel sangue.
Il 5 luglio a Licata, in Sicilia, la polizia ucciderà un manifestante e ne ferirà altri ventiquattro, il 6 i poliziotti a cavallo caricheranno un gruppo di deputati che depongono corone di fiori ai piedi di una lapide, il 7 luglio le forze dell’ordine uccideranno 5 operai in sciopero a Reggio Emilia, l’otto luglio altri tre scioperanti verranno uccisi in Sicilia.
Il 19 luglio, scaricato dal suo stesso partito, Tambroni sarà costretto a rassegnare le dimissioni: l’insurrezione genovese aveva dimostrato che qualsiasi tentativo di svolta autoritaria avrebbe dovuto fare i conti con una determinata reazione popolare.
Questa la testimonianza rilasciata a Emilio Quadrelli Da W., uno dei protagonisti dell’insurrezione genovese:
Tieni conto che a Genova il rapporto tra le formazioni partigiane e il partito è sempre stato un rapporto non facile e che il partito tollerava, ma allo stesso tempo cercava di emarginare, tutta quella memoria partigiana che non aveva voce pubblica, non era la voce del partito ma che, almeno in alcuni posti, la Val Bisagno era uno di questi, era molto presente, direi era la presenza reale del partito nel territorio. Per cui, tornando al luglio Sessanta, si può dire che noi, i giovani meno politicizzati, abbiamo dato la scossa ad una situazione che non aspettava altro. Infatti, se poi guardi bene come sono andate le cose, i giovani hanno spinto, ma l’organizzazione di piazza degli scontri, il controllo della città, l’armamento ecc. è stata opera prevalentemente dei vecchi. Poi su questi episodi ci sono state un’infinità di speculazioni. Il partito, che in realtà non ha potuto far altro che rincorrere l’iniziativa, ha presentato questi fatti come l’espressione di una salda coscienza democratica, rivendicandone in qualche modo l’egemonia, cercando di scaricare come teppisti e delinquenti quelli che avevano, di fatto, dato il primo grosso scrollone occupando la piazza e reggendo e contrattaccando le cariche della celere. Questa è stata l’operazione fatta dal partito. Dall’altra, c’è stata un’operazione, diciamo di sinistra, estremista, esattamente speculare, questi hanno visto in questi episodi una frattura interna alla composizione di classe e hanno iniziato a parlare di un nuovo soggetto politico. Per 20me che c’ero queste sono tutte e due delle cazzate…
Senti, quindi quello che alcuni giornali di centro e di destra scrissero, cioè che a Genova c’era stata una rivolta gestita da teddy boys, è una mezza verità?
Ecco, questo è quanto ti dicevo di come tra i giovani venissero presi e spesso reinventati modelli che si erano intravisti al cinema o su qualche giornale. I teddy boys erano uno di questi. Anche se può sembrare strano tra teddy boys e partigiani c’erano più cose in comune che differenze, molti hanno provato a separarli, ma per noi che c’eravamo non era così. Semmai il problema era con il funzionario di partito, quello che seguiva e applicava la linea del partito. Con questi sì che c’erano degli scazzi. Ma con lui, non con i partigiani o la gente del quartiere. Ai fatti di luglio, in piazzale Adriatico, direttamente o meno, hanno partecipato tutti, giovani, vecchi, donne e ragazzini, questa è la verità.
Guarda “Manifestazione Antifascista – Genova 30 Giugno 1960“:
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