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Stralci di inchiesta (3): le “nuove fabbriche” – Intervista con un lavoratore di Philip Morris

Philip Morris è una multinazionale svizzero-americana, società leader del settore in Italia (nel suo portafoglio include marchi come Marlboro, Merit, Chesterfield, Diana e altri). A livello complessivo l’azienda gestisce direttamente una forza-lavoro di oltre 82mila dipendenti e commercia in 180 mercati del mondo. Il nuovo prodotto iQos viene elaborato unicamente in Italia, e queste sigarette made in Bo vengono per ora distribuite soprattutto in Giappone, e in forme più introduttive in Svizzera, Russia e Portogallo. In Italia per ora le si trova in poche città, lanciate in particolare grazie a prestigiosi store nelle gallerie dei centri città di Milano, Bologna e Roma – dove si può acquistare il congegno elettronico per l’“accensione” delle sigarette.

L’analisi di questo nuovo sito produttivo è interessante perché può essere presa come emblematica di quel “nuovo corso” del mercato del lavoro che emerge dalla precedente intervista (Stralci di inchiesta 2). Ossia: dopo gli anni 2008-2013, caratterizzati da chiusure, tagli, mobilità ecc… pare aprirsi un nuovo periodo in cui quella che le retoriche governative cercano di far passare come “ripresa” viene a definirsi come un ciclo produttivo che si sviluppa su un nuovo quadro legislativo, una nuova congiuntura economica, e nuove aspettative (al ribasso) modulate dagli anni di “crisi”. Dunque da un lato si aprono sempre più le porte a disoccupazione e lavori sottopagati, in nero ecc… mentre dall’altro si profila l’accesso, per una quota di forza-lavoro, all’interno di nuove imprese multinazionali che hanno deciso di stabilirsi sul suolo italiano.

 

Abbiamo intervistato Lorenzo (nome di fantasia), che da alcuni mesi lavora nel Training Center di Zola Predosa:

L: La ditta ha due stabilimenti, quello nuovo a Crespellano che devono ancora finirlo – però nello stesso tempo c’è una parte che è già stata finita dove producono già. Poi c’è un altro stabilimento che è quello a Zola Predosa, dove formano le persone per poi spostarle a Crespellano in un secondo momento.

Lorenzo è sulla trentina, nato in provincia di Bologna, e per anni ha lavorato con una buona qualifica professionale:

L: Ho visto l’apertura di Philip Morris come un’opportunità […] La retribuzione… Bhé io penso che come pagan lì sia difficile trovare da un’altra parte. Io prima dov’ero a lavorare facevo il trasfertista, quindi andavo in giro per il mondo a installare macchine automatiche per Xxxxxxxxx. Andando via per l’artigiano dove lavoravo non prendevo tanto, però comunque sia era uno stipendio buono. Quando andavo via col meccanico di turno il meccanico prendeva il doppio, ma non mi lamentavo: i soldi miei non li usavo. Qui prendo forse cento euro in meno ma sono a casa.

Le selezioni per il lavoro sono promosse sul web e si sviluppano così:

L: C’è un doppio passaggio prima di entrare. C’è un primo colloquio che si fa con l’agenzia, mentre il secondo lo fa direttamente Philip Morris. […] Si viene assunti con un contratto prova di quattro mesi, dopo i quali se piaci all’azienda si passa direttamente a tempo indeterminato. […] Non so di preciso in quanti siamo a lavorare, alcune centinaia […] Non conta quello che facevi prima, si entra tutti allo stesso livello.

Dunque per entrare con Philip Morris non sono necessari particolari titoli o competenze pregresse, ma una buona predisposizione al lavoro. L’impianto di Zola Predosa serve infatti ad addestrare i nuovi lavoratori a quella che potrà divenire la loro mansione. Non c’è dunque bisogno di particolari skill per iniziare a lavorare.

L: In sostanza io faccio l’operatore macchina ora, quindi devo stare dietro a questa macchina e farla produrre il più possibile. Tutte le volte che si ferma devo intervenire… Fino a un certo punto. Perché se il problema è di un certo livello devono intervenire i tecnici – e io non posso fare niente, devo aspettare. Sostanzialmente produciamo sigarette, facciamo le nuove sigarette che vengono inserite in un dispositivo che serve per fumare queste nuove sigarette. […] A monte della macchina dove sono io ci sono altre macchine, che fanno i pre-lavorati. Che sono quattro, che entrano in macchina dove lavoro io. Questi pre-lavorati vengono fatti da quattro macchine diverse, e ti fanno la materia prima diciamo. Una volta fatta, la materia prima viene introdotta nella macchina dove sono io, che è quella a metà del ciclo di produzione che fa la sigaretta. A valle c’è un’altra macchina automatica che invece impacchetta le sigarette dentro un pacchetto e le mette dentro lo scatolone. Quindi alla fine il prodotto finito è uno scatolone, adesso non ti so dire le dimensioni esatte, con un tot di pacchetti dentro, che si manda poi dal cliente.

Come si evince da questa descrizione, siamo di fronte a un sistema pressoché totalmente automatizzato di macchine che svolgono per intero la funzione produttiva. I lavoratori vengono dunque addestrati a controllare le macchine stesse, svolgendo una funzione che li rende appendici del sistema produttivo, una sorta di guardiani delle macchine. Il paradosso è che il lavoratore “lavora” quando la produzione si ferma. Inoltre Lorenzo afferma che la sua mansione si svolge su un livello “minimo”, ossia quando il problema alla macchina è significativo sono dei tecnici specializzati a intervenire.

Dal momento che il lavoratore è dunque una sorta di appendice del sistema automatizzato, l’organizzazione del lavoro si struttura a partire dal ciclo macchinico:

L: Allora, ci son tre turni. C’è il turno della mattina che va dalle sei della mattina fino all’1.30 – si lavora sette ore e mezza pagate otto lì. Il pomeriggio va dall’una e mezza alle nove di sera, e la notte va dalle nove di sera alle quattro e mezza i mattina. […] I turni di lavoro… fai fatica ad abituarti. Perché comunque sia lavori tre giorni e due stai a casa. Lavori tre mattine e stai a casa tre giorni, tre pomeriggi e stai a casa due giorni, lavori tre notti stai a casa due giorni. E quindi uno fa fatica ad abituarsi. Un lato positivo è che ho molto più tempo libero per me. Lavorando anche la domenica e il sabato è logico che la logica del week end il sabato e domenica non ce l’ho più, questo ha un po’ spezzato. Magari però il lunedì e il martedì sono a casa… Ho più tempo per me.

Questo rapporto tra lavoro e macchina dunque incide sui tempi di vita tendendo a individualizzare il lavoratore. Da un lato il rispetto dei giorni di riposo che garantisce Philip Morris consente più tempo libero rispetto ad altri lavori, ma dall’altro tende a sradicare la possibilità di una vita sincronizzata con i tempi (ancora) prevalenti nella società: la rinuncia al week end è emblematica in proposito. Questa condizione ambivalente è contraccambiata da condizioni di lavoro che sono mediamente di gran lunga più positive rispetto ad altri contesti:

L: L’idea che mi son fatto è comunque sostanzialmente positiva. […] Spero comunque di rimanere lì dentro, perché sarebbe un posto di lavoro fisso, sicuro, che arriverà alla pensione – se ci sarà ancora la pensione quando ci arriverò. […] Però diciamo che è sicuro perché dà delle garanzie: sei tutelato, molte spese mediche ti vengono pagate dalla ditta, c’è la mensa interna, puoi mangiare a inizio turno del pomeriggio e a fine turno della mattina… Puntano molto sulla sicurezza, il personale, puntano molto sulle persone loro.

E’ proprio questo aspetto della “fidelizzazione” del lavoratore una delle caratteristiche che probabilmente può essere considerata come emblematica di questa nuova tipologia di fabbriche che stanno aprendo negli ultimi anni. Non a caso la composizione lavorativa è per lo più di autoctoni e

L: Siamo soprattutto maschi, ci sarà un veti per cento di donne. Siamo prevalentemente molti giovani, poi è logico che c’è anche magari, c’è anche quello che è rimasto senza lavoro a cinquant’anni. L’età media secondo me sarà sui venticinque-trenta.

L’insieme di queste condizioni ha d’altro canto un immediato riflesso nel ruolo del sindacato:

L: A me sembra di ricordare che mi era stato detto che c’era, però se ti devo dire che sindacato c’è… Non lo so, non vorrei dirti una baggianata. La Fiom no… Io avevo la tessera della Fiom nel mio lavoro precedente. […] Qui non ce n’è bisogno […] Cioè almeno, per le tutele che ho avuto in precedenza… Potevo benissimo non farla, detta come va detta. A me dispiace dirlo guarda, perché se un sindacato funziona come deve funzionare io sono il primo che gli fa la tessera. Cioè quello proprio, zero problemi. E’ che purtroppo ora i sindacati sono un po’ un magna magna, siam sempre lì. Quando devono tutelare un lavoratore e poi guardano ad altro… Secondo me non c’ha più senso niente per quanto riguarda quella cosa.

 

 

Concludiamo con alcune annotazioni questa riflessione. I dati salienti che è possibile dedurre dall’intervista sono quelli relativi alla mansione lavorativa e al rapporto col sistema automatizzato di macchine; la “fiducia” nell’azienda; il piano globale all’interno del quale deve inevitabilmente inserirsi la comprensione di quanto accade. Va infatti sottolineato che una delle condizioni per la competizione internazionale del sistema-paese si sviluppa oggi a partire dal creare contesti adatti ad attrarre capitali ed investimenti. Come si è visto di recente rispetto agli “scandali” di cronaca che coinvolgono in tutta Europa le multinazionali del web come Google, questa partita si gioca sia sul garantire livelli di tassazione irrisori, ma anche sul predisporre garanzie in termini di un’organizzazione avanzata del lavoro e di un territorio in grado di garantire infrastrutture per la diffusione mondiale delle merci.

Un investimento come quello fatto da Philip Morris nel bolognese è significativo dal punto di vista economico, ed è a partire da ciò che si può ipotizzare una sua durata. Non a caso, a differenza di aziende multinazionali dedicate alla distribuzione più che alla produzione diretta (come nel caso di Stralci di inchiesta 1 su H&M), l’investimento tecnologico è notevole e l’azienda garantisce condizioni lavorative migliori perché i tempi di una eventuale delocalizzazione sarebbero nettamente più onerosi. Bisogna d’altro canto considerare che il tipo di investimento, su un prodotto sperimentale, è tuttavia legato strettamente alla ricezione che avrà sul mercato globale. Se iQos dovesse rivelarsi un flop di vendite cosa accadrà tra Crespellano e Zola Predosa?

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