Grillo, i giornalisti e la condanna #notav
Storie di legalitaria coerenza
Ogni giorno, da due anni, le aule del palazzo di giustizia di Torino sono intasate da centinaia di procedimenti che hanno per oggetto l’opposizione alla costruzione della Linea ad Alta Velocità Torino-Lione: redattori di siti web accusati di diffamazione o “stalking” per aver criticato chi lavora al progetto, valligiani sotto processo per aver difeso i terreni di loro proprietà, militanti incarcerati con accuse che vanno dalla resistenza al terrorismo per aver risposto a lanci di lacrimogeni o, eventualmente, incendiato un compressore. Un fenomeno così abnorme di azione repressiva contro un movimento sociale e le sue ragioni politiche è sconosciuto, nei suoi caratteri e nelle sue dimensioni, a chiunque non abbia cliccato almeno una volta su notav.info o sugli altri siti di movimento: l’informazione mainstream, infatti, ha sempre taciuto su questo monstrum politico-repressivo (perfezionato da Caselli e proseguito, oggi, da Padalino e Rinaudo) e, se ha nominato il nesso NoTav/repressione, lo ha fatto unicamente per denunciare la presunta “gravità” degli atti compiuti dal movimento, incensando al contrario l’operato della procura e delle forze dell’ordine.
Da 48 ore, però, qualcosa è cambiato: un’attenzione enorme si è concentrata su uno dei tanti processi ai No Tav, nel momento della formulazione delle richieste di pena, attenzione che i media hanno focalizzato, in particolare, su una di queste richieste. Perché? Si tratta forse di un processo diverso dagli altri, dove la consueta forzatura delle garanzie processuali e l’annullamento di quelle difensive hanno assunto proporzioni diverse dal solito? Tutt’altro. Si tratta del processo contro chi avrebbe costruito, difeso e liberato la baita Clarea, bellissimo simbolo della resistenza edificato proprio dove era previsto l’imbocco del tunnel all’amianto oggi in lenta realizzazione a Chiomonte. Mentre la nostra baita ci è sottratta da quasi due anni a causa del suo inglobamento nel cantiere della vergogna, i pm torinesi hanno sostenuto in aula che chi l’ha costruita o difesa, senza l’autorizzazione del sindaco Pinard (l’organizzatore del locale club “Forza Silvio”) merita di passare in carcere dai sei mesi a un anno e mezzo.
Richieste folli, ovviamente, ma del tutto consuete nel palazzo di giustizia torinese (salvo quando si tratta di Annamaria Cancellieri, Lapo Eilkann o di appaltatori di lotti Tav con fin troppi, e troppo noti, santi in paradiso): però, in questo caso, uno degli imputati è Beppe Grillo, al centro dell’agone politico e mediatico nazionale. Non stupisce, quindi, che l’attenzione di un sistema costruito apposta per illuminare o oscurare in modo selettivo la realtà, renda ancora più palese, con questa eccezione, l’ordinaria rimozione di una fetta maggioritaria (quella scomoda) del reale. Il vero elemento di interesse è il genere di commento politico che l’evento ha suscitato. Il Tg5, seguito a ruota da Vittorio Feltri (altra fonte normalmente ostile verso i No Tav), si è mostrato perplesso verso la richiesta della procura, giacché l’impostazione berlusconiana sulla “questione giustizia” è che le galere devono restare piene di “black block”, immigrati e tossicodipendenti (che sono colpevoli, beninteso, ontologicamente, e a prescindere del processo), ma non certo di membri della classe dominante e dirigente, anche qualora avessero infranto codici che, al di là delle necessarie apparenze e finzioni, sono e devono restare strumenti di classe. Non scherziamo, quindi: Grillo sarà anche uno stronzo, ma un po’ di soldi, avranno pensato a Mediaset e dintorni, ce li ha.
Anche La Repubblica, con un editoriale in prima pagina, intitolato “No Tav, perché sono sbagliati quei nove mesi a Grillo”, si scaglia contro la magistratura con toni del tutto inusuali per un quotidiano che ha fatto delle battaglie giudiziarie contro Berlusconi il suo fiore all’occhiello. Quella della procura sarebbe una richiesta “strampalata”, “un’esagerazione”, “patafisica applicata alla giurisprudenza” (parola di insigne giurisperito quale Francesco Merlo, competente in diritto quanto, probabilmente, in sedute spiritiche) ma soprattutto, attenzione, la richiesta dei magistrati è stata… una “invasione di campo”! Ma come, allora aveva ragione Berlusconi: gli affari “politici” non riguardano il dettato delle regole scritte, non devono essere toccati dalla magistratura. Sì e no: il magistrato svolge il proprio dovere quando persegue il capitalista avversario di De Benedetti, Berlusconi appunto, ma, fatta salva questa eccezione, spunta lo stesso gergo di Ferrara e Belpietro, perché il perbenismo legalitario di Repubblica ha avuto sempre e soltanto questo significato. In galera sovversivi, quindi, e ancora immigrati, tossicodipendenti e anche Berlusconi, la cui colpa è di avere un conflitto di interessi con il proprietario del giornale; ma fuori tutti gli altri privilegiati, “populista” Grillo compreso, perché se ci si allarga troppo anche l’editore e i suoi lacchè potrebbero rischiare qualcosa.
Si dirà: per fortuna che c’è il Fatto Quotidiano, da sempre irreprensibile riguardo alla difesa a tutto campo della magistratura che, secondo il pensiero del direttore Padellaro e dell’editorialista Travaglio, per definizione non può sbagliare; infatti se applica la legge non può che fare del bene, visto che il dettato giuridico è sempre e comunque giusto (la storia lo insegna, da Nabucodonosor ai lager fino ai giorni nostri) e da rispettare (questo lo insegna la polizia, ma in modo non meno convincente). Eppure, adesso che il loro beniamino Grillo rischia la galera, ecco i nostri eroi in palese imbarazzo: tanto nella cronaca quanto nella versione on line il giornale si limita a riportare il fatto, senza indulgere, stranamente, nell’usuale prolissità didascalica dei commenti; ma in prima pagina, proprio sopra l’intestazione, casca l’asino: “Grillo, il pm di Torino chiede 9 mesi di carcere: qualcuno sta esagerando”. Quindi, anche in questo caso, ricapitoliamo: per noi sovversivi (quelli a cui, persino dopo la legge del taglione e quelle razziali, la bontà immanente del diritto positivo non è entrata in testa) le pene devono essere severe e calibrate con rigore, bontà loro (e se si imprigionano i No Tav per terrorismo quando brucia un compressore da 2.000 euro, tutto quadra, perché lo ha deciso il pater magister di tali fini ideologi, San Carlo Caselli); per Grillo, invece, no; e perché? Perché lo hanno deciso loro.
Ora, che la coerenza non abbondi a questo mondo, è cosa nota; forse meno note sono, però – viene da credere – le cause. Resta non di poco conto, infatti, che qualunque concezione politica intenda sovrapporre, davvero (M5S e Fatto Quotidiano) o per finta (De Benedetti e Berlusconi), legalità e legittimità (vale a dire la corrispondenza tra il corpus delle leggi, storicamente definito, e l’insieme dei comportamenti giudicati giusti) esprime un tale primitivismo intellettuale che l’incoerenza conclamata può soltanto essere rimandata alla sua palese espressione, e arriverà il momento in cui le circostanze concrete (principale sorgente di contraddizione di ogni ideologia legalitaria) porteranno gli insospettabili ad infrangere la legge, o a difendere chi la infrange, per i propri ideali o interessi. E per fortuna: un mondo fatto di automi che lavorano, fanno la spesa e rientrano a casa, fintamente felici perché hanno rispettato il cavillo dei dettami delle istituzioni cui sono sottomessi, sarebbe peggio dell’inferno; e i teorici di un mondo simile dovrebbero vergognarsi, perché soltanto un sadico o un imbecille non vede bene dove tutto questo, in termini di genere umano, andrebbe a parare.
Beppe Grillo ha fatto bene, quindi, a non tirarsi indietro quando ha avuto l’occasione di schierarsi concretamente con il movimento No Tav, e fa bene ora a scrivere sul suo blog che la battaglia della Val Susa è una battaglia nell’interesse di tutto il paese, e a solidarizzare con gli altri 600 inquisiti; e pazienza se, secondo i pubblici ministeri di Torino, nell’alzare i polsi alle telecamere a mo’ di deliquente ammanettato, uscendo dalla baita, mostrò quel 5 dicembre la sua “protervia contro lo stato”: la rottura dei sigilli fu un’altra bellissima giornata di libertà, in cui le astruse limitazioni imposte dagli esecutori giudiziari delle mire devastatrici del Gruppo Gavio e della Cmc furono ignorate con un sorriso e un bel po’ di polenta. Semmai, i visitatori del blog a 5stelle, che spesso sembrano non considerare erroneo il giudizio sulle persone (anche comuni) sulla base dei loro trascorsi giudiziari, potranno ora ulteriormente riflettere su dove sia la reale “protervia” e su cosa sia realmente “lo stato”.
Velvet Secret
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