Gli artisti del Teatro Mediterraneo Occupato contro il Ministro della Cultura Dario Franceschini
Pubblichiamo di seguito una nota del collettivo del Teatro Mediterraneo Occupato contro il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini, in visita a Palermo questa mattina per intervenire al Festival Nuove Pratiche con il Sud all’Ecomuseo Mare Memoria Viva e parlare di “coinvolgimento di comunità partecipative, dove istituzioni ed enti pubblici, privato sociale e terzo settore collaborano alla gestione sostenibile del patrimonio”. In una città in cui dopo la piazza del 26 settembre contro il PD si respira da tutte le composizioni un chiaro rifiuto di sottostare al modello di sviluppo imposto dal partito della nazione, anche gli artisti hanno qualcosa da ridire. E lo fanno contestando l’arrivo di Dario Franceschini a Palermo che, come da copione, dall’alto dei palazzi scende in Sicilia, quella terra disastrata di cui tutti decantano il valore e l’importanza culturale e su cui tutti hanno interesse a mettere le mani come api sul miele. La verità è ben altra, e lo spiegano gli artisti del collettivo del TMO: l’incoerenza è di casa nella famiglia PD, soprattutto quando si parla di Sicilia. Come riqualificare le attività culturali e gli spazi di produzione artistica oggi è un compito che spetta a chi quegli spazi li vive con pratiche partecipative, dal basso, e sicuramente non al Ministro di turno che proprio su quegli spazi mette in campo una politica disgregante e distruttiva (vedi Teatro Valle a Roma, vedi Cavallerizza Reale a Torino). Di seguito il comunicato pubblicato dal collettivo del TMO:
“Nuove Pratiche con il Sud: Franceschini Cuor di Leone
Coraggio e perseveranza; ma soprattutto perseveranza nel perseguire politiche di tagli, privatizzazione e svendita dei beni pubblici, “razionalizzazione” dei contratti (leggi anche: licenziamenti o precarizzazione), negazione del diritto di sciopero o del diritto alla discussione sindacale e all’assemblea. È questo l’impavido ministro chiamato a prender parola su tutela collettiva dei beni pubblici, sussidiarietà e loro gestione partecipativa, insomma i beni comuni, al festival Nuove Pratiche con il Sud, che di persone attive in questo senso ne vede ben poche tra i suoi relatori. Ministro del coraggio e della partecipazione, che appena un anno fa correva in appoggio al fido Marino per lo sgombero del Teatro Valle di Roma, luogo ed esperienza da cui ha avuto inizio l’unica discussione seria e reale sul nesso “patrimonio culturale e beni comuni” ed avanguardia di un movimento che perdura in maniera diffusa e in forme molteplici da diversi anni a Napoli, Pisa, Venezia, Milano, Torino, Catania, Messina, Palermo. Roma resta invece nella mani di palazzinari, mafiosi e fascisti che sono il vero potere della città e al tempo stesso perfetta antitesi di qualsiasi idea di Bene Comune. Franceschini, avveduto osservatore dei processi sociali reali, è pronto ora a muovere lo stesso passo a sostegno della giunta Fassino a Torino per quanto riguarda la Cavallerizza Reale – altra esperienza concreta di gestione partecipata e orizzontale dal basso: riappropriata alla città come bene collettivo e sottratta al progetto di cartolarizzazione e di svendita al privato (in questo caso Intesa San Paolo) da parte del Partito della Nazione. Franceschini, d’altro canto, è solito trattare il patrimonio culturale come merce da outlet o da sbarazzo. Per il ministro è “incomprensibile” la decisione dei lavoratori di Pompei, che tra un proclama e un altro nel frattempo cade a pezzi, di riunirsi in assemblea sospendendo il regolare servizio di fruizione turistica. “Incomprensibile” la stessa ignobile pratica assembleare decisa dai precari del Colosseo o le proteste degli ex-dipendenti dell’Opera di Roma, licenziati dall’oggi al domani. Il leitmotiv (renziano) è sempre lo stesso: “proteggere il sindacato e i cittadini da sé stessi”. Trasformare lo sciopero da occasione di autodeterminazione a pacato momento di voto. Sussumere processi di auto-governo e di gestione partecipata di un bene sotto l’etichetta del “fare” impresa culturale: le famose buone pratiche o modelli innovativi di gestione, di “rigenerazione urbana” o di costruzione di comunità che nulla hanno a che fare con il diritto alla città nella sua dimensione di processo auto-regolativo, di discussione e di cooperazione sociale. Cittadini e lavoratori, dunque, protetti dalla tentazione di riappropriarsi di un bene, di identificarne il valore d’uso e di prendersene cura.
“Incomprensibile” per il ministro sarà stata anche la decisione di Stefano Benni di non ricevere dalle sue mani il Premio De Sica, in polemica con le politiche del governo e del ministero della cultura. Scrive Benni nelle motivazioni del rifiuto: “accettiamo responsabilmente i sacrifici, ma non quello dell’intelligenza”. Ed è quello che viene da pensare di fronte la solita retorica del Sud che “non” decolla e sempre in attesa di riscoprire il suo patrimonio culturale come autentico valore economico. Avvertiva De André “non regalate terre promesse, a chi non le mantiene”.”
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