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Occupiamo il futuro

Se i legami creati dalle mobilitazioni in corso dureranno nel difficile futuro che ci attende – le vittorie non arrivano mai in tempi brevi – il movimento Occupy potrebbe segnare un momento cruciale per la storia americana. Personalmente non ho mai visto niente di simile, negli Stati Uniti e nel mondo. Gli avamposti di Occupy stanno creando una comunità solida, una base su cui costruire le organizzazioni indispensabili per superare le sfide del futuro e le reazioni del potere.

Il movimento non ha precedenti perché viviamo in un’era senza precedenti. E non da oggi, ma fin dagli anni settanta, un decennio che è stato un punto di svolta per gli Stati Uniti. Lungo tutto il corso della sua storia, questo paese ha sempre puntato sull’industrializzazione e la ricchezza. Perfino nei momenti più bui ha creduto che il progresso non si sarebbe fermato. A metà degli anni trenta c’era uno spirito diverso, anche se la situazione era molto peggiore rispetto a oggi. Il new deal fu approvato anche grazie alla pressione popolare, e la gente aveva la sensazione che i tempi duri presto o tardi sarebbero finiti.

Oggi invece c’è un forte senso di impotenza, quasi di disperazione. È una situazione nuova. Oggi gli operai del settore manifatturiero osservano la disoccupazione crescere e si rendono conto che se le scelte politiche resteranno le stesse potrebbe non esserci nessuna ripresa dell’occupazione.

Il peggioramento delle condizioni di vita per i lavoratori è cominciato negli anni settanta, quando l’industrializzazione ha subìto una battuta d’arresto dopo secoli di crescita costante. La produzione manifatturiera ha continuato a svilupparsi, ma è stata delocalizzata. Le aziende hanno aumentato i profitti, ma la forza lavoro ne ha pagato le conseguenze. E l’economiasi è finanziarizzata. Le istituzioni finanziarie si sono ingrandite a dismisura e hanno creato un circolo vizioso con la politica.

I politici, alle prese con i costi sempre più alti delle campagne elettorali, hanno attinto dalle tasche dei banchieri, per poi ricompensarli con leggi a favore di Wall street: liberalizzazione, riforme fiscali, regole vantaggiose per le corporation. Il circolo vizioso si è intensificato. Il collasso è diventato inevitabile. Nel 2008 il governo è di nuovo venuto in soccorso delle aziende di Wall street, che pare fossero troppo grandi per lasciarle fallire. Oggi, per lo 0,1 per cento della popolazione che ha approfittato di decenni di ingordigia e disonestà, le cose continuano ad andare a gonfie vele.

Prima reazione popolare di massa

Nel 2005 Citigroup – che è stata più volte salvata dalla bancarotta – considerava la ricchezza come un’opportunità di crescita. All’epoca la banca ha pubblicato una brochure che invitava i cittadini a investire nel cosiddetto indice Plutonomy, che riuniva i titoli delle aziende legate al mercato del lusso. “Il pianeta si sta dividendo in due blocchi, da una parte le plutonomie e dall’altra il resto del mondo”, riassumeva Citigroup. “Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna sono le principali plutonomie: economie sostenute dal benessere”. I non ricchi, invece, hanno cominciato a essere chiamati “precariato”, espressione usata per definire tutte le persone che vivono una vita precaria alla periferia della società.

Ma quella periferia è cresciuta fino a diventare una parte importante della popolazione, negli Stati Uniti e altrove. E così, come sottolinea il movimento Occupy, oggi ci ritroviamo con una plutonomia che rappresenta l’1 per cento della popolazione e con un precariato che riempie il restante 99. Il movimento Occupy è la prima reazione popolare di massa in grado di cambiare le dinamiche attuali. Finora mi sono limitato a parlare di problemi interni agli Stati Uniti. Ma negli ultimi anni sulla scena internazionale ci sono stati due sviluppi così rilevanti da oscurare tutto il resto. Per la prima volta nella storia esiste una minaccia reale di estinzione del genere umano. Fin dal 1945 l’umanità convive con gli armamenti nucleari, e sembra un miracolo che siamo riusciti a sopravvivere fino a oggi. Ora però le politiche dell’amministrazione Obama e dei suoi alleati stanno provocando un’escalation. E poi naturalmente c’è la catastrofe ambientale. Quasi tutti gli stati del pianeta stanno cercando di rallentarla. Gli Stati Uniti, invece, se ne infischiano. Se il paese più ricco e potente del mondo continuerà così, la catastrofe sarà inevitabile.

Bisogna fare qualcosa e alla svelta. Non sarà facile. Ma il movimento che si sta formando negli Stati Uniti e in altre città di tutto il mondo può e deve crescere fino a diventare una forza determinante nella società e nella politica. Se non sarà così, è difficile immaginare un futuro accettabile. Dunque è necessario coinvolgere tutti e aiutare la gente a capire cos’è il movimento Occupy. Bisogna che tutti sappiano cosa possono fare per cambiare le cose e quali sono le conseguenze del non far nulla. Informare le persone non significa dirgli in cosa devono credere, ma imparare tutti insieme. Si impara partecipando. Si impara dagli altri. Si impara dalle persone che si cerca di coinvolgere. Abbiamo tutti bisogno di capire e di fare esperienza, prima di formulare nuove idee o migliorare quelle degli altri.

L’aspetto più bello del movimento Occupy è la costruzione di legami tra le persone. Se questi legami saranno rafforzati, Occupy potrà davvero riportare la società moderna su un cammino più umano.

Traduzione di Andrea Sparacino

Internazionale, numero 922, 4 novembre 2011

Questo articolo è un adattamento del suo intervento in Dewey Square, di fronte agli attivisti di Occupy Boston, il 22 ottobre.

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