PNRR E SANITA’: VERSO UN’ESTREMA PRIVATIZZAZIONE
In un articolo apparso sul Manifesto Edoardo Turi, medico, dirigente Asl e attivista di Medicina Democratica, fa un’attenta analisi sullo stanziamento dei fondi del Pnrr per quanto riguarda l’ambito sanitario. Si legge una tendenza molto chiara e allo stesso tempo inquietante: si va verso la privatizzazione dei servizi con priorità data alla medicina di alta specializzazione intrisa da una visione ospedalocentrica della sanità.
Tramite i dati riportati nella Nadef si nota una previsione di spesa sanitaria addirittura decrescente dal 2020 al 2024, arrivando a una spesa inferiore rispetto al pre pandemia. In questo contesto bisogna sottolineare che il privato nella sanità copre il 50 % della spesa con alcune variazioni tra nord e sud Italia. Questa percentuale si spiega con il fatto che sin dalla legge che ha istituito il Sistema Sanitario Nazionale del 1978 vi era uno spazio per inserire il privato nel pubblico, attraverso il ricorso al privato convenzionato (nelle rsa, con i pediatri, nell’assistenza domiciliare). Inoltre, l’altro elemento da considerare è il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego, dunque l’unico modo per assicurare i servizi è esternalizzare o utilizzare il privato. Nel Pnrr si evince questa stessa priorità, non ci sono fondi per l’assunzione di personale, ma il piano agisce tramite finanziamenti per l’edilizia, per la ristrutturazione di edifici di proprietà pubblica per farne Case di Comunita e Ospedali di Comunità, per l’informatica e per l’acquisto di apparecchiature diagnostiche. Non sono quindi automaticamente previsti dei finanziamenti per il privato tout court ma, tramite l’apertura di nuovi presidi sanitari o la ristrutturazione di edifici già esistenti senza parallelamente sbloccare le assunzioni, si apre un’occasione unica per le convenzioni con il privato.
La regione Lombardia parte da una situazione in cui già da anni si è proceduto con lo smantellamento della sanità territoriale privilegiando le convenzioni con il privato. Oggi la riforma della sanità proposta da Letizia Moratti e da Attilio Fontana non è che un esempio di questo scenario. Secondo Angelo Barbato, medico del Forum per il Diritto alla Salute, infatti, questa riforma “spingerà anche la medicina del territorio verso il settore privato”. Inoltre, ciò che viene sottolineato dal comitato Dico32 che si è opposto a questa riforma è “la cancellazione di oltre 22mila posti letto nelle strutture pubbliche e l’aumento di circa 2500 in quelle private”, la legge Moratti andrà verso la privatizzazione della stessa medicina di base. Anche secondo Barbato la voce che nel Pnrr indica la promozione di Case di Comunità nasconde il tranello di consegnare la loro gestione e i loro dipendenti al privato, dato che la voce di spesa riguardante l’assunzione del personale è la grande assente del Pnrr. Le case della comunità diventeranno quindi molto appetitose per i grandi investitori e colossi finanziari, come ad esempio il gruppo San Donato di Milano che possiede ben 40 ospedali e migliaia posti letto.
La tendenza alla privatizzazione delle strutture, del personale, dei servizi avrà per forza di cose un’incidenza anche nel modo stesso in cui si sceglie di affrontare il percorso di cura. Con l’investimento sui privati si andranno a privilegiare degli approcci clinici orientati a terapie a posteriori e molto meno alla prevenzione, chiaramente molto più dispendiosa e limitata fonte di profitti. Mentre utilizzare cure o metodi ad alta specializzazione implicano il ricorso a pochi specialisti, per la maggior parte privati, alle terapie, dunque all’utilizzo di farmaci per la gioia delle tasche delle case farmaceutiche e a esami che necessitano di macchinari costosi e non particolarmente diffusi.
La riforma della sanità della Regione Lombardia nonostante i numerosissimi emendamenti e interventi in opposizione è stata approvata, anche in questo caso nell’assenza di un intervento dei sindaci, dei comitati e di tutti coloro che negli anni hanno riflettuto a un’idea di sanità e salute diversa da quella utile a fare profitto. Negli anni la visione ospedalocentrica, le enormi difficoltà amministrative di cui devono farsi carico le asl e i distretti territoriali, impantanati in questa contingenza ormai strutturale, ha implicato l’abbandono dei finanziamenti alla prevenzione, agli ambiti della salute come la salute mentale, lasciando spazio a liste d’attesa chilometriche e all’impossibilità di una presa in carico adeguata da parte di medici di base oberati da pazienti. Questa riforma si pone come naturale epilogo di questa tendenza mostrando ancora di più il volto violento di un sistema economico politico che, nonostante la pandemia, continua a dare priorità ai propri interessi piuttosto che alla tutela della salute collettiva.
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