Rivolte tossiche o contraddizioni in seno al popolo?
La presunta “rivolta” di questa parodia di movimento denominatasi “forconi” avrebbe tranquillamente attraversato le nostre vite senza lasciare traccia. Troppi gli indizi e i fatti che la descrivevano come ultima propaggine di un leghismo sociale senza più rappresentanza. Piccoli imprenditori, partite iva, negozianti, camionisti; e, politicamente, organizzata da un insieme di persone equivoche, tutte fedelmente schierate nel centrodestra, molti dei quali candidati in questi anni proprio del PDL. A chiudere il cerchio, il tentativo di Forza Nuova e Casapound di allacciare rapporti con questa protesta, entrarci in incognito, appoggiarla direttamente nei propri canali. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei, e se il neofascismo legge questa protesta come terreno favorevole alle proprie aspirazioni, inevitabilmente questa non può che essere contraria alle nostre. Scopriamo però che non tutti la pensano così. Ad esempio Infoaut, che attraverso una lettura “marxista” prova a ragionare non tanto su ciò che la protesta è oggi, ma sulle proprie potenzialità. Cogliere cioè tali mobilitazioni come uno spunto acerbo, una possibile eccedenza che ha bisogno solo di un suo percorso di liberazione da sovrastrutture politiche sedimentate negli anni. Insomma, per tagliare con l’accetta: se chi ha organizzato ora questa protesta è di “destra”, la composizione sociale della stessa è invece un terreno nel quale dovremmo sporcarci le mani, senza inutili preclusioni verso una composizione di classe simile alla nostra, o quantomeno disponibile a spostarsi verso parole d’ordine progressive tali da poter allacciare possibili percorsi. In sintesi, la teoria di Infoaut è che nel corso del tempo la composizione di classe sarà sempre più spuria, sempre meno omogenea, e questo produrrà degli istinti di classe apparentemente sempre meno comprensibili e non immediatamente fecondi. Sta a noi, col nostro lavoro militante quotidiano e sporcandoci le mani, trasformare quegli istinti in vera coscienza, lavorando su quegli strati della protesta potenzialmente vicini ai nostri percorsi.
L’analisi di Infoaut ha il merito di problematizzare il problema in maniera intelligente, e nel farlo di utilizzare una dialettica di classe in questi anni sempre meno utilizzata. Oltretutto, pone un problema a tutti coloro che in questi anni hanno paventato la presenza di una possibile “eccedenza” popolare ancora distante dai nostri percorsi ma potenzialmente integrata nella nuova composizione di classe del nuovo proletariato. E l’appunto è validissimo: voi che parlate tanto di eccedenza, non crederete mica che questa si presenti nelle forme novecentesche già inquadrate, omogenee, istintivamente progressiste, un terreno già rassodato sul quale noi facilmente dovremmo solo portare avanti un’opera di organizzazione. L’eccedenza è molte cose: comprende l’immigrato precario e sottopagato, ma anche il piccolo imprenditore “proletarizzato”, la partita iva impoverita, il padroncino che lavora dieci ore al giorno per non arrivare a mille euro. Rispetto a tutta questa fascia sociale in via di impoverimento, come dovrebbe porsi il movimento di classe? Rifiutare in blocco una composizione aliena alla nostra storia o aprire dei canali di dialogo, andare a vedere cosa succede e poi semmai valutarne le potenzialità?
Se queste sono le domande esplicite e implicite dell’analisi di Infoaut, sono domande sacrosante. La nuova composizione di classe ci mette di fronte problemi nuovi e difficili, che non possono essere affrontati con canoni storici legati a una composizione sempre più marginale, almeno in Italia e negli stati dell’Europa occidentale. La domanda di fondo è quella del titolo: queste proteste rappresentano una forma tossica di manifestazione politica, sostanzialmente avversa ai nostri interessi e ai nostri obiettivi, o rappresentano una “contraddizione in seno al popolo”, una forma politica confusa, delle parole d’ordine sbagliate, per una composizione che in realtà appartiene alla classe che vorremmo organizzare?
Se tutte queste domande sono giuste e condivisibili, la curiosità verso qualcosa di sconosciuto non può però relegarci a tifosi della protesta “purchessia”. Ad un’analisi di classe va risposto con una dialettica di classe. Il terreno posto da Infoaut è quello giusto, le domande sacrosante, ma le risposte che noi intravediamo confermano più che smentire il primo, istintivo, rifiuto della protesta dei “forconi”. Anzitutto, la composizione sociale: questa non è altro che la vecchia base “di massa” su cui si era appoggiato il “forzaleghismo” in questo ventennio. Un insieme, anche eterogeneo al suo interno, di un mondo della produzione caratterizzato però da un dato di fatto costante: nessuno di questi “forconi” è un lavoratore dipendente. Certo, all’interno di una mobilitazione che ha assunto in alcuni luoghi carattere di massa, questa si sarà portata dentro un po’ di tutto, anche dei lavoratori salariati; certo, in alcuni singoli contesti quote di lavoratori salariati saranno stati presenti anche in maniera rilevante; ma il dato di fondo rimane la distanza di classe tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. L’impossibile convergenza è determinata dagli obiettivi che questa protesta porta con se. Aumentare le garanzie per i lavoratori produrrebbe un peggioramento delle condizioni di produzione dei padroncini. Il vero e unico obiettivo politico di questa protesta (attorno al quale ruotano tutti gli altri obiettivi intermedi o marginali), è la diminuzione della tassazione statale alle imprese. La retorica sulla quale poggia la protesta è l’impossibilità di continuare a produrre efficientemente e in maniera economica quando lo Stato si riprende una parte di questa produzione con una tassazione sempre più alta. Bene, un problema sicuramente rilevante, ma un problema dei padroni, piccoli o grandi che siano. Non è un caso che queste parole d’ordine convergano con quelle di tutto il mondo politico di centrodestra, proprio perché gli interessi di classe sono identici, e tutti volti a risolvere il problema del miglioramento delle condizioni di vita dal lato della produzione economica e non da quello del lavoro, e anzi dove possibile diminuendo notevolmente le conquiste di classe fino ad ora mantenute.
La visione generale da cui dovremmo liberarci è quella politicista per cui una rappresentanza politica di destra ha condotto verso di se una serie di necessità popolari che altrimenti si sarebbero espresse in altro modo; ed oggi, messa in crisi quella rappresentanza politica, potrebbero dirigersi altrove, magari anche a sinistra. E’ questa la narrazione tossica da cui dovremmo liberarci. Quel mondo lì esprime posizioni politiche di destra, al di là e a prescindere dalla rappresentanza politica che si da o nella quale confluisce, perché sono posizioni che implicitamente si pongono in contraddizione col mondo del lavoro dipendente.
Certo stiamo parlando di un mondo della piccola borghesia incapace di avere una posizione storicamente determinata. Se fosse presente in Italia una forza proletaria egemone, un pezzo anche importante di quella piccola borghesia potrebbe gravitare attorno alle nostre rivendicazioni, esserne egemonizzata, esattamente come il PCI egemonizzava un insieme sociale a volte contraddittorio (pensiamo ai tassisti romani, o a un certo mondo aristocratico in via di disfacimento). Ma questa forza oggi in Italia non è presente, e il rischio che notiamo è che una parte di movimento, nel tentativo di relazionarsi con queste proteste, invece di esercitare egemonia su queste venga all’opposto “egemonizzato” da alcune prole d’ordine delle proteste stesse. Ad esempio, sul discorso delle tasse, l’unica posizione forte che in fondo esprimono le mobilitazioni dei forconi. Senza un chiaro indirizzo politico, il rischio sarebbe quello di portare una parte di movimento a fare campagna politica sulle tasse troppo alte, non capendo che l’obiettivo ultimo di questa parola d’ordine è quello di ridurre il peso dello Stato nell’economia per aumentarne quello del settore privato, che poi è quello sceso in piazza in questi giorni.
Detto tutto questo, il problema sollevato da Infoaut è assolutamente attuale e decisivo. Sporcarsi le mani non vuol dire solo lavorare nell’ombra di una militanza quotidiana nelle contraddizioni sociali che si presentano, ma uscire dalle proprie comodità intellettuali, dai propri riferimenti storici, andare là dove questa eccedenza di trova e là dove questa eccedenza potrebbe essere organizzata. Non ci sembra questo il caso, ma ci sembra, quello proposto da Infoaut, il metodo da seguire per chi abbia ancora intenzione di ricomporre parzialmente la classe disgregata.
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