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Algeria: il 12 febbraio e la paura del regime

Lo stato d’emergenza (che impedisce l’espressione delle libertà civili) è in vigore da 20 anni, le riforme che avrebbero dovuto attuare un piano di welfare complessivo sono state sempre disattese, falliscono i piani dell’edilizia popolare e tutti i progetti di sviluppo dell’occupazione vanno a finire, come il resto della spesa pubblica, nelle tasche delle clientele e delle lobby mafiose legate al regime. E pensare che l’Algeria fornisce gas a mezza Europa. Si stenterebbe a credere in questo quadro di povertà e speculazione se non fosse che ci ricordiamo che il regime algerino è una sorta di fiore all’occhiello dell’FMI e delle potenze occidentali che barattano rendite e investimenti con diritti umani, e i profitti con quei sublimi valori democratici che vengono bombardati ancora sull’Iraq e l’Afganistan.

Insomma per l’Algeria, sia la Casa Bianca che l’Europa, si è sempre chiuso un’occhio anche quando le associazioni per i diritti umani denunciavano la dura repressione, la tortura sistematica e la censura del regime. Figuriamoci se si è mai accostato l’orecchio agli slogan gridati da decenni nelle lotte sociali degli studenti, dei disoccupati e dei proletari! L’Algeria è un fedele alleato e se durante la guerra civile il regime ha dovuto usare mezzi spicci che male c’è? Tanto si trattava di schiacciare delle organizzazioni islamiste e consolidare un establishment che garantiva il pugno di ferro contro l’avanzata dell’islamismo radicale, e se in mezzo a questa guerra intanto si massacravano intere generazioni di proletari portandogli via tutto con il pretesto della lotta al terrorismo tanto meglio… altri (tanti!) quattrini assicurati!

Ma questo mondo sembra non aver messo in conto che nella crisi del sistema capitalistica avrebbero dovuto fronteggiare una variabile che manderebbe in crash anche i più sofisticati calcolatori, quella variabile proletaria che dentro, contro e oltre la crisi inizia a muovere i primi passi come generazione in rivolta, capace di prendere il coraggio a due mani e realizzare l’inimmaginabile, come scatenare un processo rivoluzionario in Tunisia e scacciare il tiranno, assediare il regime di Mubarak e tentarne il rovesciamento, portare le contestazioni anche fin sotto ai palazzi dei sultanati e dei generali presidenti la lotta per riprendersi ciò che dalla nascita gli è stato tolto: la ricchezza, la dignità e la libertà.

Ecco perchè il regime algerino trema. Ha capito con chi ha a che fare. Ed allora è bastato che le organizzazioni di gran parte della società civile algerina organizzassero una giornata di mobilitazione nazionale per reclamare la revoca dello stato d’emergenza per far sì che il regime dichiarasse che è pronto a cambiare il governo, a chiudere lo stato d’emergenza, a far accedere ai media pubblici l’opposizione, e a promuovere una politica economica a favore dei disagiati. Eppure allo stesso tempo il ministero degli interni diffondeva un comunicato in cui dichiarava illegale il corteo su Algeri del 12 febbraio (in ogni modo lo sarebbe stato lo stesso visto che in Algeria per lo stato d’emergenza sono vietate tutte le manifestazioni politiche).

Il movimento risponde rilanciando l’appuntamento e dichiarando che “anche in caso della fine dello stato d’emergenza, di rimpasti di governo” il corteo non verrà annullato. Quindi il ministro degli interni  Dahou Ould Kablia annuncia di voler fare il possibile e “di prendere tutte le misure necessarie per contrastare” la mobilitazione. Ci risiamo! Anche Bouteflika tenta di alternare propositi riformatori e ripiego militare, quello stop and go che ha già pagato caro Ben Ali e che sta logorando Mubarak in Egitto. Gli arresti preventivi e i sabotaggi contro la manifestazione organizzata dalla società civile sono già iniziati ed è probabile che il regime provochi un escalation di repressione e violenze proprio in questi giorni che precedono il grande corteo ad Algeri, ad Oran e in altre località.

Intanto a riconquistare la prima fila della mobilitazione contro il regime e la crisi è tornata a farsi sentire con forza e decisione l’avanguardia sociale già protagonista delle rivolte dei primi giorni di gennaio. Anticipando le mosse del regime e indicando la direzione politica alla società civile studenti, disoccupati e giovani proletari sono stati protagonisti di blocchi stradali a cui sono succeduti violenti scontri con la polizia a Bouira, Skikda, Annaba, Boumerdes e Bejaia. Si bruciano i primi copertoni, le grandi strade nazionali si bloccano, i plotoni di celere tornano a picchiare e mentre il regime già trema, il 12 febbraio si avvicina con la società civile determinata a sfilare nel centro della capitale e una generazione in lotta che potrebbe indicare al movimento la direzione migliore, quella già presa in Tunisia ed in Egitto.

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