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Algeria: opposizione e contrapposizione sociale all’attacco

“Ma quale olio? Ooh! ma che pagnotta? Noi combattiamo contro la vitaccia!”. E’ la “mal vie” l’obiettivo contro cui anche Zied, al terzo anno di scienze politiche ad Algeri, si è scagliato mentre insieme ad un centinaio di suoi coetanei metteva a ferro e fuoco una concessionaria della Renault ad Algeri, partecipando alle rivolte che hanno abbracciato tutta l’Algeria nei primi giorni di gennaio. I giovani e giovanissimi rivoltosi algerini hanno rispedito al mittente la definizione  di “rivolta del pane” o peggio, nella sua variante orientalista cara alla stampa europea, di “rivolta del cous-cous”. I moti algerini di Gennaio sono stati infatti la diffusione repentina dell’energia politica accumulata da anni di lotte sociali e che nel 2010 avevano aumentato d’intensità tramite importanti e diffuse battaglie per il diritto alla casa, al welfare e ai servizi pubblici.

Con 5 morti, centinaia di feriti e 1100 arresti il regime di Bouteflika pensava di chiudere per il momento i conti con la piazza che però non ha esitato a tornare sulla scena politica e sociale del paese continuando ad organizzare la lotta nei territori e diffondendosi negli istituti superiori ed università.

I sindacati, i collettivi territoriali e studenteschi, la società civile e gran parte dei partiti d’opposizione hanno iniziato a denunciare la repressione del regime che mantiene da 19 anni lo stato d’emergenza e che subito dopo le rivolte di gennaio ha aumentato a dismisura la presenza di celere e polizia in ogni angolo delle città, realizzando nei fatti uno stato d’assedio non dichiarato. All’attenzione del movimento algerino ci sono anche le sorti dei ragazzi arrestati durante le manifestazioni e i militanti e i sindacalisti fatti oggetto di incarcerazioni preventive all’indomani della manifestazioni che iniziano ad arricchire l’agenda politica dell’opposizione e della contrapposizione sociale.

In questo momento sono in corso scontri e tentativi di sfondamento da parte dei manifestanti contro la polizia e la celere che in forze impediscono ai cortei organizzati dal partito d’opposizione parlamentare RCD (da non confondersi con l’omonima sigla del partito tunisino di Ben Ali) di marciare nel centro della città per richiedere la fine dello stato d’emergenza. Mentre  la sede del partito è stata accerchiata da centinaia di celerini che impediscono ai militanti di supere i cordoni. Diversi manifestanti sono stati arrestati e pestati compreso il capo del gruppo parlamentare Athmane Mazouz che è stato condotto in ospedale.

Sebbene l’Algeria non sembri disporre di un sistema di filtraggio preventivo della rete come l’Ammar404 tunisino (nonostante la segnalazione nei giorni scorsi di numerosi problemi nell’accesso a Facebook da parte dell’utenza algerina – che i netizen hanno controbattuto con una serie di videoguide su Youtube sull’utilizzo dei proxy), tutti gli internet provider del paese fanno capo all’entità statale e le connessioni pubbliche come quelle degli internet café sono costantemente monitorate.

Per questo e in previsione della manifestazione di oggi, Anonymous – dopo aver nuovamente defacciato il sito della presidenza del consiglio tunisina – ha preso di mira e reso inagibili con un attacco notturno i siti del Ministero dell’Interno (tuttora pesantemente rallentato e il cui blocco è proseguito fino al pomeriggio inoltrato), della Borsa e della Presidenza della Repubblica.

 

E ancora, per il 9 febbraio è atteso un corteo organizzato da collettivi, associazioni della società civile e sindacati autonomi che intenderà sfidare il regime attraversando le strade della capitale per reclamare l’immediata fine dello stato d’emergenza. Si tratta di un’iniziativa che prende corpo da una serie di coordinamenti di lotta che si stanno costituendo ovunque in Algeria, i quali sono tutti d’accordo nel non reclamare un ricambio nel regime ma d’intraprendere una lotta comune per rovesciarlo seguendo la lezione tunisina.

“Studiare con lentezza!”. L’80% degli istituti superiori algerini entrano in sciopero, ormai da una settimana, contro il regime della formazione imposto dal governo che, in mancanza di strutture scolastiche adeguate e garanzie sociali sufficienti per gli studenti, ha aumentato il ritmo di svolgimento dei programmi. Ad Algeri la polizia ha provocato ripetutamente il presidio organizzato dagli studenti e poi ha tentato di impedire un corteo, ricevendo in risposta il proseguo dello sciopero in tutti gli istituti superiori, che poi tramite social network, si è diffuso nel resto del paese.

Intanto sull’esempio di Ben Ali, il presidente Bouteflika intensifica la repressione e continua a criminalizzare le rivolte e i movimenti paventando l’infiltrazione di terroristi islamisti nelle contestazioni e nelle mobilitazioni. L’obiettivo è ricevere la legittimazione internazionale per schiacciare con il pugno di ferro il movimento antagonista al regime e le iniziative di classe contro la crisi con la scusa dell’islamismo radicale. In realtà recentemente Bouteflika ha moltiplicato le concessioni agli integralisti del FIS con l’intento di farseli alleati. All’amnistia regalata ai detenuti islamici della guerra civile, ha fatto seguito l’imposizione ai comitati delle vittime della guerra di terminare ogni attività, e recentemente il regime non ha esitato di trascinare in tribunale tutti quegli algerini che non seguivano il rituale digiuno durante il ramadan. Ma d’altronde sembra che anche ad Algeri, come in Tunisia, il discorso islamista non raccolga attenzione da parte dei rivoltosi e delle organizzazioni di lotta per il cambiamento. Ce ne eravamo accorti i primi di Gennaio quando un leader autorevole del FIS tentò di arringare i giovani rivoltosi di Bab Al Oued che accolsero tiepidamente il sermone… preferendo la gioia della riapproprazione e la lotta contro quella vitaccia di cui il FIS e il regime sono gli architetti.

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