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Ancora proteste in Egitto, un graduale ritorno alla rivolta popolare

Se sia questo l’inizio di una ripresa che potremo chiamare rivoluzionaria è ancora troppo presto per dirlo, ma i segnali che provengono dalle piazze egiziane sembrano indicare una ritrovata strada di rivalsa.

Da giorni ormai il Cairo è in sussulto. Ieri scontri e arresti hanno caratterizzato la capitale egiziana, quando in centinaia sono scesi nelle strade, in aperta sfida contro la nuova legge che disciplina le manifestazioni nel paese. Da piazza Talat Harb in centinaia si sono ritrovati per dirigersi verso Piazza Tahrir, al grido di “il popolo vuole la caduta del regime” e “Ministro dell’Interno ladro!”.

Durante la giornata diversi sono stati i momenti di mobilitazione, dal mattino fino a tarda sera. La polizia ha più volte cercato di disperdere la manifestazione, assaltando i vari sit-in dapprima con idranti e poi con gas lacrimogeni, e arrestando oltre 70 manifestanti.

Ieri in centinaia si erano dati appuntamento per manifestare contro una legge che, come del resto gran parte delle disposizioni militari, puzza di era-Mubarak. In particolare, secondo le nuove disposizioni, le manifestazioni devono essere autorizzate dalle forze di polizia, senza tale autorizzazione non è consentito alcun raggruppamento pubblico che superi le 10 persone. Per chi violi tali disposizioni si prevede, oltre a salatissime multe, una condanna fino a sette anni di carcere. E’ stato inoltre mantenuto, accanto alla libertà di esercito e polizia di poter intervenire senza particolari limitazioni, l’utilizzo degli odiati tribunali militari nei processi a carico dei civili.

La legge appena promulgata non è molto diversa da quella che intendeva approvare Mohamed Morsi alcuni mesi fa e che poi, di fronte alle proteste, decise di accantonare. Approvata adesso dal potere militare, lo stesso che dalla caduta di Hosni Mubarak afferma di seguire le legittime aspirazioni rivoluzionarie, ma che si attesta ancora una volta come il nemico di sempre delle mobilitazioni.

Dopo l’approvazione della discussa legge forti sono state le ripercussioni anche all’interno dei palazzi del potere: avvocati che promuovono scioperi, membri del comitato costituzionale che abbandonano i lavori di stesura della nuova carta egiziana. Ripercussioni anche oltreoceano: accanto a Human Right Watch che vi intravede un attacco diretto alla libertà di espressione, una condanna arriva anche dagli Stati Uniti, anche se solo strumentalmente e volta alla ricerca di un ormai perduto status-quo. Secondo la diplomazia statunitense, la normativa non rispetterebbe gli standard internazionali e sarebbe di ostacolo al compimento della strada intrapresa dall’Egitto “verso la democrazia”.

Il vero obiettivo della legge, che secondo gli ideatori avrebbe lo scopo ultimo di impedire l’uso della violenza da parte della piazza, sembra invece essere quello di impedire la diffusione di nuove proteste, non solo da parte dei nostalgici di Morsi, ma anche di coloro che, sempre più numerosi, ripropongono, e pretendono, la realizzazione degli obiettivi della Piazza Tahrir del 2011: “pane, libertà, giustizia sociale”. La nuova legge si iscrive nel clima intimidatorio messo in atto dalle forze militari per impedire che si creino quelle condizioni che già hanno portato all’allontanamento prima di Mubarak, poi di Morsi. Si vuole impedire una terza sollevazione popolare all’insegna di un processo rivoluzionario che, seppur nelle sue mille contraddizioni, è ancora vivo.

Nonostante probabilmente questa nuova mobilitazione sarà utilizzata e strumentalizzata dall’ancora forte apparato politico dei Fratelli Musulmani, nonostante ancora larga parte dell’Egitto continui a sostenere il potere militare, le proteste contro le nuove normative sembrano dare una nuova speranza per chi ancora sogna un Egitto giusto e libero.

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