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SPECIALE BANLIEUE | Toute la symphonie ardente

Apriamo questa nuova pagina di approfondimento rispetto alla vicina Francia, per comprendere quanto sta accadendo e per trarne alcuni spunti interessanti da convogliare nella nostra riflessione in questa fase e nel nostro agire.

In un panorama scompaginato da cicli di mobilitazione di massa e apici di proposte organizzative all’avanguardia, in questo anno francese oggi vediamo anche la discesa in campo della composizione giovanile, razzializzata, il soggetto “delle banlieues” che, tra gli altri, agli occhi nostrani costituisce un immaginario affascinante ma poco compreso e comprensibile, foriero di scorciatoie interpretative e paragoni fuorvianti. In queste ultime settimane le rivolte scatenatesi a seguito dell’omicidio di Nahel da parte di un poliziotto durante un controllo, mostrano un ulteriore aspetto del panorama politico francese con il quale confrontarsi.

Abbiamo raccolto dunque alcune interviste grazie a una serie di contatti, tra i quali Atanasio Bugliari Goggia autore di “Rosso Banlieue”, tramite il quale abbiamo potuto ottenere informazioni di prima mano, ad esempio con una importante intervista ad Abdelaziz Chaambi, ex presidente dell’associazione Coordination contre le Racisme et l’Islamophobie (CRI) resa illegale e sciolta nel 2021 da parte del ministro degli Interni.

Intanto, la prima domanda che abbiamo voluto porre ai nostri interlocutori è stata: cos’è cambiato dal 2005 ad oggi.

Se, da un lato, abbiamo visto un peggioramento delle condizioni materiali di vita nelle banlieue, come sottolinea Atanasio: “il contesto sociale è peggiorato pesantemente in Francia quindi quella tendenza verso una crisi del lavoro e una conseguente crisi di sopravvivenza per ampie fasce della popolazione si è acuita. Sempre più gente vive di espedienti, di lavori precari, una classe medio-bassa che all’epoca riusciva a vivere e adesso non ci riesce più e si è concentrata principalmente in banlieue”, dall’altro lato, possiamo parlare di una cesura vera e propria. Il dato dal quale partire è che la mediazione è saltata.

Se nel 2005 le rivolte permettono alla politica di inaugurare una nuova fase di propaganda, in un continuum che andava dalla proposta di “soluzioni” alla ricerca di un’integrazione possibile, nella forma della divisione tra buoni e cattivi, all’emergenza di nuove forme di repressione, facendo di quella fase un test di tenuta e di riorganizzazione dello Stato nelle sue articolazioni, oggi non vi è possibilità di mediazione. Perché Macron e il suo establishement, e ciò che rappresentano in termini generali come élites europee, sono disposti a far scendere in strada oltre 45 mila forze di polizia, tra i quali l’antiterrorismo e l’esercito, come risultato per certi versi dell’assenza di soluzioni palliative ma, soprattutto, come risultato dell’attacco su più fronti dato dai differenti movimenti degli ultimi anni, che ha visto il suo apice recentemente.

Nel 2005 la Repubblica francese agiva in modo schizofrenico poiché, a partire dalle parole del ministro dell’interno (all’epoca Sarkozy) fino ad arrivare al disinteresse dei media mainstream, gettava benzina sul fuoco già divampato nelle banlieues e, soprattutto, non voleva rendersi conto di essere il primo responsabile della crisi delle periferie, che ad un certo punto è scoppiata. La mercificazione dei beni e dei servizi pubblici, la scuola, la sanità, l’alloggio, la sicurezza stessa come puro incremento della presenza della polizia, l’oppressione giudiziaria, sono tutti motivi per i quali le banlieues bruciano. Oggi lo Stato non si pone nemmeno più il problema di mettersi il vestito buono da Stato democratico, oggi manda l’esercito e uccide, ancora. Oggi un poliziotto che uccide un giovane (musulmano) “vince all’Enalotto”.

Questo avviene in un contesto in cui sono avvenuti numerosi cambiamenti a livello sociale e politico, negli ultimi anni le associazioni, le organizzazioni, i collettivi, quel che rimaneva delle agenzie formative in un tessuto sociale disgregato vengono resi illegali, molti punti di riferimento per la “comunità” musulmana vengono cacciati dalla Francia, oggi come dice Abdelaziz “questa politica la vedo in controluce, l’idea è di distruggere tutto ciò che può essere simbolico (ndr. Che possa costruire un immaginario collettivo) e tutto ciò che può essere organizzazione collettiva”. Questo oggi vale per le banlieues ma inizia a valere anche per altri soggetti, lo si vede nella criminalizzazione delle lotte, nella fondazione di nuovi termini come «eco-terrorismo», nuovi nemici interni, nati in un processo di fascistizzazione del contesto sociale francese. Questo si evince dal fatto che lo Stato stesso si trovi schiacciato nella sua stessa trappola, un ricatto che delega sempre maggior potere alle forze repressive, di polizia e sicurezza, nell’impunità più totale.

Oggi lo Stato si trova davanti al suo fallimento, il modello di integrazione capitalista si sgretola sotto i suoi occhi. Se negli anni che precedono questa fase il paradosso dello Stato francese era evidente nella tensione a voler inserire i giovani immigrati nella società, attraverso associazioni solidali radicate nei quartieri sensibili, che promuovessero l’integrazione e la pacificazione, oggi questo non esiste più. E non esiste più perché quel modello portava in sé i germi del fallimento, in quanto si è sempre trattato di un’integrazione in una società che ha esaurito le sue risorse e che, come dice Yann Mouliere Boutang in un saggio del 2005 dal titolo “Le rivolte delle banlieues o gli abiti nudi della Repubblica”, «c’est le modèle d’intégration français qui brûlait avec les émeutes. Beaucoup plus que quelques carrosseries (era il modello di integrazione francese che bruciava nelle rivolte. Molto di più che qualche carrozzeria)”. Allora furono un “avvertimento politico”, inascoltato ovviamente, ma sintomo e espressione di quella fase che oggi ha raggiunto nuovi codici e cambiato i riferimenti.

Oggi quindi occorre leggere questi eventi alla luce di un’analisi di fase aggiornata. Per farlo riportiamo qui alcuni passaggi di un intervento di un compagno parigino durante un incontro all’Università di Torino.

“Bisogna sempre riguardarsi dal dire che stiamo vivendo in un momento eccezionale, ma questo è un momento cerniera sia nella fase politica negli ultimi 10 anni in Francia sia per il movimento: c’è al centro una questione abbastanza semplice ovvero lo smantellamento di uno degli ultimi stati sociali in Europa. In Francia c’è una crisi della Quinta Repubblica, della sua egemonia caratterizzata da una crisi di un elemento importante ovvero il naufragare del sistema bipartisan con il partito socialista che sempre di più ha intrapreso una strada neoliberale in tutto e per tutto. Per cui questo processo è tradotto da 3 elementi importanti:

  • l’evoluzione del macronismo che è una continuazione delle politiche liberali e da un lato coltiva aspetti del modernismo iscritte in una tradizione socialista applicate con una modalità di destra, le caratteristiche del governo Macron son quelle di darsi un’aria autoritaria forte di controllo della società, ma la sua maggioranza non è assodata, il suo partito e le persone a suo favore non smettono di diminuire.
  • L’altro elemento è l’emergenza di una sinistra, sinistra di rottura di Melanchon, France Insoumise, che è una rottura di tipo politico istituzionale perché mette in primo piano le conquiste sociali e i temi ecologisti e che cerca un legame tra la politica istituzionale e i movimenti di piazza.
  • Il rilancio dell’estrema destra, la sola alternativa anche perché non è mai salita al potere per ora.

Questa configurazione politica è data dalla successione di diversi governi degli ultimi anni da Hollande in poi caratterizzati da un’offensiva continua delle garanzie sociali in Francia, da una politica neoliberale e autoritaria iniziata con la Loi Travail e altre che attaccano i diritti dei disoccupati, leggi antisociali in generale e dall’altro lato leggi che aumentano il potere delle forze di polizia. Questa aggressività neoliberale si accompagna con differenti lotte che dalla seconda metà degli anni ’10 diventano estremamente straordinarie, da un lato le lotte che portano avanti istanze ecologiste, femministe, antirazziste e che vanno in una direzione di ricomposizione ad esempio nel caso di Notre Dame De Landes, o più recentemente Soulèvement de la terre. Oppure le lotte contro le violenze poliziesche nei quartieri popolari con le lotte per la giustizia per le vittime della polizia accompagnate da movimenti sociali più classici come il movimento contro la legge sul lavoro del 2016 e l’introduzione di nuove pratiche all’interno di questi stessi movimenti come per esempio il corteo di testa del 2016 e un insieme di soggetti diversi, da una componente più autonoma, dai sindacati di base ai quartieri popolari. Un altro movimento che bisogna citare ovviamente è quello dei gilets jeunes straordinario per diversi motivi per la sua intensità, per la sua spontaneità al fatto che sia stato inatteso e che al suo interno ci fossero due elementi importanti. Da un lato è emersa la costituzione di comunità temporanee, ovvero le assemblee e l’occupazione delle rotonde, presidi costruiti in quel movimento e dall’altro lato l’aspetto conflittuale che si è mosso dalla periferia verso il centro, ad esempio attaccando i quartieri più ricchi della città. Un paesaggio politico appassionante: di fronte vediamo una crisi dello stato e della controparte dall’altro una vitalità straordinaria, un inventario pazzesco delle pratiche, che vanno tutte nella direzione di ricomposizione dei vari soggetti.”

Dunque, per dare spazio ai contributi raccolti, giungiamo a un ultimo aspetto di questo ragionamento che può aprire a riflessioni in prospettiva. Secondo Atanasio “Il fatto che possa esserci una connessione tra i “razzializzati” della banlieue e i movimenti politici bianchi di città è il vero terrore per le istituzioni. Ed è un terrore anche fondato per certi versi, perché a mio parere un riavvicinamento tra i movimenti di città e i movimenti di banlieue è ancora molto complesso sul piano politico, perché vi è una storia di incomprensioni che va avanti da molti decenni su cui non mi soffermo e su cui occorrerebbe un incontro politico, ma le nuove generazioni di militanti sembrano iniziare a lasciarsi alle spalle queste vicende.”

Sul piatto c’è dunque una possibile vittoria o una possibile disfatta che potrebbe creare frustrazione e un ulteriore scivolamento a destra, che si dà su una questione principalmente: esiste una ricomposizione possibile? È una domanda che rimane aperta, per quanto ora anche i movimenti classici (bianchi, sindacalizzati, ecologisti più radicali) vedano riprodotte su di loro le forme della repressione utilizzata nei confronti dei soggetti che abitano le banlieues, è in corso un riavvicinamento politico seppur ancora problematico e non scontato, reso ancor meno banale in un orizzonte di crisi delle militanze.

E, per concludere questa introduzione, riportiamo una chiosa dell’intervista ad Atanasio “Queste forme di repressione sempre più eclatanti sono destinate ad aumentare nel tempo. Quello che possono insegnare a noi in Italia queste le banlieue francesi è che è necessario insistere con un lavoro politico sulle periferie perché se è vero che secondo me noi non abbiamo un proletariato di periferia cosciente come quello francese, è altrettanto vero che quel poco che rimane delle strutture politiche di movimento avevano avuto a che fare con i potenziali giovani rivoltosi delle periferie italiane e questa era una ricchezza. Una connessione che si è un po’ persa per questioni oggettive e soggettive.” Che possa essere di buon auspicio.

Contestualmente a questa introduzione pubblichiamo l’intervista ad Atanasio Bugliari Goggia che ci guida in alcune prime ipotesi di lettura. Il resto dei materiali verrà pubblicato a puntate nei prossimi giorni.

Articoli dello SPECIALE:

“Una nuova classe operaia in formazione”. Intervista con Atanasio Bugliari Goggia

“Sono rivolte, non sommosse”. Intervista ad Abdelaziz Chaambi

“I quartieri sono i grandi dimenticati”

Uno sguardo intersezionale sulle rivolte

“La logica della ferocia”. Intervista a Mathieu Rigouste

“Vogliamo che questi prigionieri vengano rilasciati”. Intervista al rapper Médine

Altri materiali utili:

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