Bangladesh: il riscatto di una generazione
Ripubblichiamo il contributo del Collettivo Universitario Autonomo – Torino in merito alle rivolte in Bangladesh. Un punto di vista e una riflessione sulla componente giovanile e il carattere studentesco delle mobilitazioni.
Il primo luglio in Bangladesh sono iniziate le proteste contro il governo che hanno portato la prima ministra Hasina a dimettersi e scappare dal paese il 5 agosto. Il fatto scatenante risale a giugno, quando la Corte Suprema ha bocciato una riforma del 2018 riguardante l’assegnazione di posti di lavoro statali, riportando in vigore una legge precedente che riservava il 30% dei posti ai discendenti di chi ha combattuto la guerra di liberazione del Bangladesh dal Pakistan nel 1971. Un sistema elitario, volto a rinsaldare il potere di Hasina (al governo da 15 anni) dal momento che la maggior parte dell3 beneficiari3 di questo sistema appartengono al suo partito, in un paese in cui la disoccupazione giovanile tocca oltre 18 milioni di persone.
Lo sviluppo economico raggiunto dal Bangladesh sotto la guida di Hasina è stato pagato al caro prezzo dei diritti umani, sia dal punto di vista lavorativo che politico: negli anni la presidente, infatti, ha governato con pugno di ferro, arrestando l3 dissident3 politich3 e mettendo a tacere giornalist3 scomod3.
Per decenni la popolazione ha tollerato con fatica un governo tanto classista, basato sullo sfruttamento dell3 lavorator3, cercando di integrarsi al sistema o migrando.
L3 giovani bengalesi, invece, hanno scelto di non accettare lo status quo e ribellarsi: per loro lasciare il paese e trovare un futuro in Occidente non è un’opzione, restare e cambiare radicalmente il Bangladesh lo è. Non è un caso che le proteste siano partite dall3 giovani che domani avrebbero dovuto fare i conti con il sistema di quote sul lavoro, da chi si sta formando in un mondo che inizia a fare i conti con il sistema coloniale, neocoloniale e orientalista dominante, sempre più in crisi, di cui l3 giovani riconoscono e approfondiscono le spaccature, dalle occupazioni per la Palestina alle proteste in Kenya.
Non è un caso che le proteste siano partite proprio dalle università: queste sono sempre centri di riproduzione del sistema capitalista, in cui la capacità umana anziché essere arricchita viene trasformata in merce, complici processi di privatizzazione e aziendalizzazione esponenziali. In altre parole, ciò che viene dispensato dalle istituzioni formative non viene riconosciuto come qualcosa di utile ad arricchire l’individuo e la collettività di per sé, ma sempre più parte di una macchina utile al sistema, che mette a valore tutto, anche la conoscenza; ciò che ci viene insegnato oggi deve servire a incasellarci domani in una posizione produttiva, dalla quale il capitale possa trarre profitto, in un sistema nel quale la precarietà viene introiettata come dimensione organica della società, limitando di fatto le possibilità di un riscatto sociale.
Studiare con questa prospettiva, con la prospettiva tra l’altro che tutto questo sia inutile dato l’elevatissimo tasso di disoccupazione giovanile, è ciò che ha fatto scattare la scintilla in Bangladesh. Il 21 luglio una nuova decisione della Corte Suprema ha ridotto al 5% i posti riservati ai discendenti dei combattenti per l’indipendenza, ma le agitazioni popolari sono continuate: le violenze della polizia, che hanno portato a diverse centinaia di morti, la chiusura di internet nel tentativo di silenziare le proteste e l’imposizione del coprifuoco, hanno fatto si che le contraddizioni del governo, messe in luce dall3 student3, non potessero essere ignorate e le manifestazioni, da studentesche sono diventate popolari.
Oggi, con la dichiarazione di sciopero da parte delle forze dell’ordine il 6 agosto, il paese è in mano all3 giovani, che stanno contrattando con il presidente Shahabuddin la formazione di un governo di transizione fino a nuove elezioni e che minacciano di riprendere le strade se le condizioni poste non dovessero essere rispettate.
L3 giovani in rivolta scrivono la storia!
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