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Ancora tensione in Algeria e bombe sul Mali. Una catena lineare

In Algeria continuano le ore di tensione nel campo di gas naturale della British Petroleum di In Amenas, dove due giorni fa decine di occidentali e circa 200 lavoratori algerini sono stati sequestrati da un gruppo armato, facente parte, secondo quanto riportano i media, della nebulosa di Al Qaeda nel Magrheb. Il gruppo che ha fatto irruzione nel campo di gas naturale chiede la liberazione di diversi prigionieri islamici detenuti in Algeria e il ritiro delle truppe francesi dal Mali.

Nella giornata di ieri l’esercito algerino è intervenuto nel sito di estrazione di gas. Alcuni elicotteri avrebbero bombardato una colonna di assalitori che cercava i portare degli ostaggi in un luogo più sicuro. Il bilancio di quel bombardamento è stato di 34 ostaggi e 15 rapitori morti. L’accaduto non ha fatto altro che scatenare le reazioni di Londra, Tokyo, ma anche Francia e Stati Uniti che hanno immediatamente chiesto spiegazioni all’Algeria per l’avventato bombardamento che non ha tenuto conto della vita degli ostaggi. Eppure continua ad essere confusa la situazione. In queste ore alcuni ostaggi sembra che siano stati liberati mentre l’esercito algerino, che ha bloccato a chiunque l’accesso alla zona, ha fatto sapere che sta attualmente “bonificando” l’area dagli estremisti islamici. Gli avvenimenti delle ultime ore, hanno inevitabilmente innescato un effetto domino. La forte correlazione che vi è tra gli avvenimenti che si stanno registrando in Algeria e l’attacco da parte della Francia al Mali rischia di portare ad un intervento da parte di quei Paesi che da sempre hanno avuto interessi strategici economici nel nord Africa. E mentre il Giappone si oppone all’intervento militare nella zona, il segretario di Stato Usa Hillary Clinton – che oggi incontrava il ministro degli esteri giapponese- afferma di non essere stata informata del blitz. Eppure ieri la Cnn riportava la notizia di un drone americano – partito probabilmente dalla base italiana di Sigonella – nei cieli della zona interessata. Nel frattempo il governo italiano ha già assicurato da giorni il suo appoggio alla Francia nella sua guerra nel Mali che continua ad essere bombardato via terra e via aerea. Arriva quindi l’autorizzazione all’uso di basi italiane, di droni e 25 addestratori dell’esercito maliano, nell’ambito della missione voluta dall’Unione europea dopo mesi di totale disinteresse per la rivolta nel nord del Paese.

Ancora una volta si conferma quindi la posizione strategica dell’Italia e i forti interessi da parte dei grandi gruppi petroliferi italiani a partire dall’Eni che in quei territori africani trovano i loro interessi affaristici. Ma a guidare questa crociata non sembrano esserci solo motivi economici: a unire Francia, Usa e Italia in questa ripetuta missione è un filo che tiene insieme interessi altri, legati più al complesso militare industriale: come in tutte le guerre, a tenere banco sono quindi anche gli accordi industriali militari tra Italia, Francia e Usa. E mentre l’effetto domino sembra essere già in atto, inevitabilmente il pensiero va all’ultima guerra sporca condotta sulla stessa scia di quanto sta avvenendo in Mali: la guerra libica. Le conseguenze di quella guerra, tra le altre cose, furono migliaia di libici fuggiti dal loro Paese, molti dei quali prontamente fermati sulle coste italiane nel loro vano tentativo di salvarsi da una guerra decisa sulle loro teste. Anche questa volta, l’ennesima guerra produrrà un fenomeno dello stesso tipo con migliaia di persone -già 500 mila secondo alcune fonti- che fuggiranno dalla loro terra in fiamme, e siamo sicuri che l’Italia saprà rispondere con altrettanta facilità a suon di respingimenti. Eppure alcuni si ostinano ancora a chiamarla “guerra umanitaria”.

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