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Brasile: Festa o no nella favela?

Qual è il futuro della relazione dello stato con le periferie urbane?

Di Timo Bartholl

27 e 28 ottobre 2022. Una festa di fine settimana nella favela! Ma non una festa uguale per tutti. Coloro che hanno potuto festeggiare di più lo scorso fine settimana sono stati quelli che combinano il tifo per il Flamengo con il sostegno al PT, o che almeno volevano che vincesse Luis Inácio Lula da Silva affinché non si prolungasse il governo fascista di Jair Bolsonaro. Vittoria nella Libertadores per il Flamengo sabato, vittoria nelle urne per Lula domenica. Tanta birra per tanta allegria!

Un fine settimana con pochi motivi di festa, ma per quelli che hanno combinato il sostegno al Vasco che era riuscito a perdere con Sampaio Corrêa all’ultimo minuto della partita, già giovedì, e continua ad essere incerto se potranno tornare nella prima divisione, e il sostegno all’ancora presidente Bolsonaro, che domenica ha perso nelle urne. E in mezzo stanno quelli che appoggiano il Flamengo ma desideravano la rielezione di Bolsonaro o quelli che incitano il Vasco e si sono consolati come votanti di Lula per la sua vittoria di domenica. Tutte le combinazioni non sono solo possibili nelle favelas di Río, ma coesistono, in proporzioni che differiscono da una favela all’altra.

Dopo l’allegria o la semi-allegria e la festa per alcuni, felici postumi della festa il lunedì. E dopo la non allegria per altri, postumi postelettorali che sembra anche che tarderanno a essere superati. Orchestrata in modo più o meno centralizzato, difficile da sapere, ma certamente sostenuta in modo decentralizzato e capillare, un’ampia mobilitazione di occupazioni di strade, blocchi di strade. Ci si veste una volta di più come se fosse la finale di un Mondiale di calcio maschile, ma le gradinate non sarebbero un “Generale” che da anni non esiste in un elitario Maracaná, ma sarebbero i bordi delle strade di tutto il paese per esprimere la disperazione: dopo tutto, un mito non può perdere delle elezioni!

Mentre le immagini della televisione riportavano il fermento di cui erano protagonisti coloro che sono militanti fascisti a favore di Bolsonaro o seguaci della sopravvivenza e dell’accoltellamento che si sentono profondamente offesi, la vita nelle favelas di Maré ha fatto quello che di solito fa: continuare il suo proprio cammino. Non ci rallegra in assoluto sapere che persone vicine, familiari, amici sostengano Bolsonaro, ma per quello che ho potuto osservare, nessuno si è scontrato violentemente. Discutiamo, dibattiamo fervidamente, sì, allo stesso tempo ho sentito che non senza un consenso di base il gioco continua, continuiamo nelle lotte della vita quotidiana. Il governo cambierà e la nostra strada qui nella favela continuerà appena passeranno i postumi – quelli della birra pro-Flamengo e Lula o quelli della tristezza post sconfitta nelle notti del mito.

In un momento così delicato, mi domando quali siano alcune delle principali (in)certezze in, per e dalle periferie urbane nell’attuale momento e per il prossimo futuro. Scelgo solo un esempio, forse il più sensibile e critico: la politica di insicurezza pubblica per le favelas.

Non si sa fino a che punto il governo del PT/PSB (chi avrebbe pensato che il “socialdemocratico” che non fu mai, il vicepresidente eletto Geraldo Alckmin, avrebbe fatto parte un giorno di un partito “socialista” che non lo é? La questione principale sarebbe la continua militarizzazione della relazione dello stato con i nostri territori. Ricordiamo bene, bene o male, che le occupazioni militari, quelle dell’UPP (Unità di Polizia di Pacificazione) e  gli sgomberi precedenti ai mega eventi, avvennero con un’alleanza città-stato Río-Brasilia, dove il governo del PT/PMDB Planalto appoggiò il governo statale di Sérgio Cabral e il governo municipale di Eduardo Paes nelle loro avanzate e attacchi contro i territori popolari periferici. A Sérgio Cabral costò solo un viaggio a Brasilia e una conversazione con l’allora presidente Dilma, per ottenere 2.000 soldati, jeep, blindati e tutta l’infrastruttura necessaria per occupare per un anno le favelas di Maré.

Quale sarà la relazione del governo del PT/PSB con i nostri territori e la sua relazione con un governatore, Castro, che è stato eletto non solo in base ai massacri nelle favelas che facevano parte della sua “campagna elettorale”? Da questa incertezza discende la certezza che una visita per la campagna elettorale di Lula ad Alemão non garantirà che la relazione dello stato con le favelas cambierà nella sua essenza. Lula ha dimostrato in passato di avere una visione molto distorta della dinamica nelle periferie urbane. Nel 2008, intervistato da Alves & Evanson (2012, p. 277) nel libro “No fogo cruzado” (Nel fuoco incrociato), nella fase finale del suo secondo mandato come Presidente della Repubblica, i ricercatori gli domandano perché lo stato utilizzasse un armamento così pesante come il caveirão (“teschio”, come è chiamato il mezzo blindato usato dalla polizia, ndt) per portare a termine operazioni estremamente violente nelle favelas di Río de Janeiro.

L’allora presidente rispose:

“Ma vedi che nel momento in cui presentano le armi dei banditi, sono più moderne di quelle della polizia. E loro [i poliziotti con i teschi] entrano in un territorio che non conoscono. È così che gli Stati Uniti furono sconfitti in Vietnam, andarono in un territorio che non conoscevano. Lì c’erano quei vietnamiti di due metri d’altezza, magri, in un buco in cui entrava appena un armadillo. E sconfissero gli americani. È importante lavorare anche nell’aspetto psicologico. Hai un poliziotto che è un essere umano, mal pagato, mal preparato e che ha tanta paura di morire come il bandito…” (ALVES & EVANSON 2012, p. 277).

La ricercatrice Juliana Farias commenta questa linea di Lula nella sua tesi “Governo delle Morti: un’etnografia della gestione delle popolazioni delle favelas a Río de Janeiro” (IFCS/UFRJ, 2014): “E fu così, associando i banditi ai vietnamiti e viceversa, che Lula, una volta di più, ha legittimato la politica di scontro nelle favelas” (p. 61).

Lula continua l’intervista cercando di relativizzare, riconoscendo la violenza delle forze dello stato e vede le cause nel fatto che il crimine organizzato a Río de Janeiro si sarebbe trasformato in un’industria: “Un’industria che dà lavoro a molti dei poveri, e i potenti stanno fuori della favela. E lì avviene una vera barbarie. La polizia uccide bambini, l’esercito uccide questi giovani nel Morro da Providência, uccide molta gente. La questione della polizia di prossimità, la questione di coinvolgere le madri, di avere programmi sociali comunitari. Tutto questo è a lungo termine. Non c’è soluzione a breve termine” (ibid.).

Due questioni emergono in queste dichiarazioni di Lula, una che l’allora e futuro presidente della Repubblica del Brasile compara la relazione tra lo stato e le favelas con la relazione tra Stati Uniti e Vietnam durante la Guerra del Vietnam: il BOPE (Battaglione delle Forze Speciali della Polizia) e il Choque sono le forze armate degli Stati Uniti e le favelas sono il Vietnam… Un’altra questione che emerge è che per le relazioni e le cause della violenza urbana, per Lula a breve termine non ci sono soluzioni. In altre parole: non vede la possibilità di trattare con urgenza la morte degli abitanti delle favelas, solo a “lungo termine”.

Non si tratta di voler infastidire solo per richiamare l’attenzione nel momento in cui ci sentiamo alleviati dal fatto che Bolsonaro ha perso le elezioni. Come vede Lula oggi, 14 anni dopo l’intervista citata, e come si relazionerà il governo eletto del PT/PSB sulla questione della dinamica territoriale e delle lotte di potere nelle favelas?

È anche importante ricordare che ogni volta che un rappresentante del governo in Brasile si mette il berretto di un movimento sociale, sembra che ci allontaniamo un po’ più dalle rivendicazioni e dalle bandiere più profonde e ampie o radicali delle sue lotte. Nel caso del MST, per esempio, un berretto che Lula porta con una certa frequenza, chi parla oggi di un’ampia riforma agraria? Chi la difende? Cosicché la preoccupazione che sorge è quale sarà il legame tra il “CPX” (in riferimento al “Complexo do Alemão”), berretto da campagna elettorale sulla testa del rieletto Lula e la relazione del governo federale con le periferie nei prossimi anni? Una preoccupazione che per i movimenti delle favelas si presenta allo stesso tempo come una certezza più che evidente e come un segnale d’allarme: dovrà continuare a lottare molto affinché le vite nelle favelas importino non solo a coloro che le abitano, ma anche a coloro che le governano.

4 novembre 2022

Desinformémonos

Traduzione a cura di Comitato Carlos Fonseca

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