Brasile: si va al ballottaggio, ma la destra suprematista sfonda
Come previsto dai sondaggi realizzati nei giorni precedenti al voto, il candidato di ultradestra Jair Bolsonaro ha fatto incetta di preferenze in Brasile, distaccando di 17 punti percentuali il candidato del PT nel primo turno delle elezioni presidenziali.
Bolsonaro non è riuscito a vincere al primo turno ma ha superato da solo la somma di voti dei tre candidati arrivati dietro di lui. Debacle clamorosa per Dilma, che saluta il Parlamento dal primo turno e chiude una fase politica del paese iniziata con la prima elezione di Lula nel 2003.
Se per inquadrare con precisione il futuro Governo bisogna attendere due settimane e il ballottaggio in cui Bolsonaro è favoritissimo, questa domenica elettorale delinea una tendenza che pare estendersi a macchia di leopardo a livello globale, con marcata accentuazione nell’America Latina. La crisi economica e la depredazione finanziaria lasciano il passo a una pulsione autoritaria e reazionaria con cui le classe medie bianche rispondono alla paura di ulteriore impoverimento e perdita di status quo.
La soluzione politica nello scacchiere della rappresentanza, sul modello trumpiano, viene data dal rigurgito nazionalista delle destre e anche dell’estrema destra, come per il caso appunto del Brasile, dove Bolsonaro è noto per le sue posizioni pro dittatura e contro i diritti di donne, comunità indigene e poveri. La riprova è data dalla percentuale veramente alta ottenuta dal favorito di Bolsonaro a Rio, mesi fa salito alla ribalta delle cronache per avere sfregiato la targa commemorativa di Marielle Franco, a cui era stata dedicata una piazza.
Il voto rispecchia la voglia di un uomo forte al comando in un contesto di forte polarizzazione crescente: una tendenza già vista nel passato recente del Brasile, sfociare in feroci dittature ma anche in grandi mobilitazioni.
Al contempo, il PT riesce a non crollare ma si trova nella totale incapacità di azione, in una fase in cui crolla la fiducia nella democrazia neoliberale, anche a causa delle contraddizioni che hanno segnato gli ultimi anni del governo di Dilma. E crolla sia per volontà dell’ elettorato medio, sia per il distacco totale delle popolazioni degli slum, che si organizzano aldilà delle rappresentanze per sopravvivere e contrastare la guerra ai poveri in atto da anni.
L’eventuale escalation autoritaria post-elettorale non potrà da questo punto di vista che innescare un conflitto ancora più aspro tra gli ultimi e lo stato dell’uomo forte. Anche qui, una variabile fondamentale è portata dalla causa femminista e delle rivendicazioni di genere, che sono state e potrebbero essere in futuro una spina del fianco veramente ostile a un futuribile governo di Bolsonaro, soprattutto se riusciranno ad allargarsi ai tanti “nemici pubblici”del probabile nuovo presidente brasiliano.
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