Casablanca in 40000 per farsi sentire e fare paura.
Una giornata che difficilmente i militanti delle associazioni per i diritti umani e dei collettivi per “il cambiamento” riusciranno a dimenticare perchè segna in maniera chiara e netta che anche in Marocco è il movimento, i giovani e giovanissimi della piazza del 20 febbraio che possono cambiare realmente lo scenario politico, economico e sociale del paese. Dal basso e con la lotta.
Dopo lo “storico” discorso alla nazione del re in cui si annunciavano riforme radicali per lʼassetto istituzionale marocchino la delusione di alcuni e la conferma per molti: senza la piazza quelle riforme non saranno mai attuate, così come le ingiustizie, la corruzione e la repressione non troveranno argine o un nemico capace di battere i clan mafiosi e gli apparati dellʼoppressione.
E così il 24 aprile il Marocco grida forte “guarda, senti, il popolo spaventa!”, e sta volto può far tremare davvero. Uno degli obiettivi politici della giornata era la contestazione ad Abdeltif Mennouni incaricato di presiedere alla “Commissione per la revisione della costituzione” coerentemente alle indicazioni fornite da governo e re. I lavori della commissione non vanno nella direzione reclamata dal movimento che dichiara illegittima la commissione stessa, rilanciando dal nord al sud del Marocco lo slogan “Mennouni dégage!”. E insieme a lui la piazza marocchina vorrebbe scacciar via molti e molto altro dello scenario politico e culturale del grande paese maghrebino.
Oggi in piazza cʼerano moltissimi leureati e diplomati disoccupati, che forse più di tutti, stanno subendo lʼacuirsi della crisi in Marocco. Chiusa ogni prospettiva di impiego, ogni possibilità di accedere a quel salario dignitoso per cui la famiglia aveva fatto tante rinunce mandando i proprio figli al liceo e allʼuniversità, che ora a causa della disoccupazione si trovano senza un presente, e senza un futuro. Condannati alla routine del disoccupato tra giornate interminabili dentro casa o a consumare per ore lʼunico caffe che ci si può permettere nel bar del quartiere insieme a tante altre vittime della crisi.
Ma da qualche mese anche in Marocco, la vittima, sta iniziando ad alzare la testa e a divenire, tramite la lotta e lʼorganizzazione un soggetto attivo di un movimento che ormai ha già sconvolto la storia del proprio paese. Succede infatti che nei cortei di oggi, insieme ai cartelli e agli striscioni, molti manifestanti tenessero in alto e ben in mostra delle bottiglie di vetro. In Marocco lo sanno tutti, quelle bottiglie sono lʼarnese preferito dagli aguzzini della polizia per torturare, tramite violenza sessuale, gli oppositori al regime o chiunque osi alzare troppo la voce davanti alla corruzione e allʼoppressione.
Da oggi quelle bottiglie da oggetto di sevizia, sono diventati oggetti pubblici di denuncia ed indignazione. Ci vuole un gran coraggio per mostrare in pubblico quegli oggetti e la piazza marocchina lo ha trovato senza lasciarsi intimidire dalle provocazioni poliziesche che anche oggi non si sono fatte attendere. Se le aspettavano tutti, visto che dopo lʼannuncio del re di voler liberare i detenuti politici (che sono centinaia e centinaia, e alcuni di loro vivono in situazione disumane da decenni), ai presidi che festeggiavano i primi rilasci non sono mancate le violenze della polizia, che in più casi, proprio come la scorse settimana, ha pestato compagni e familiari che fuori dal carcere attendevano il rilascio del proprio caro.
Difronte a questi episodi, a differenza che in passato, invece della paura ad aumentare è stata la collera, ed oggi con questa grande giornata di lotta il regime marocchino sa che se non passerà dalle parole ai fatti avrà a che fare con un movimento forte, con le idee chiare, e capace di accumulare forze e trovare il movimento giusto per riempire le piazze per farsi vedere, farsi sentire e come dice lo slogan “fare paura!”.
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