
Catalogna: Puigdemont dal Belgio prova una (impossibile) internazionalizzazione della crisi

Le parole di Puigdemont dal Belgio e la situazione politica nella penisola iberica.
Da qualche giorno il Presidente del disciolto Govern di Catalogna Puigdemont è in Belgio. Oggi a Bruxelles ha dichiarato di non voler chiedere formalmente l’asilo politico, ma di aver lasciato Barcellona per fare in modo che la questione catalana diventi pienamente europea.
L’Unione Europea deve parlare, dice Puigdemont, poichè l’offensiva spagnola è inaccettabile. La sua non sarebbe una fuga, ma solo un modo per lavorare in sicurezza con il suo governo senza subire i rischi di un arresto e di una condanna che potrebbe arrivare fino a 30 anni di carcere. Sono 14 membri del Govern e 6 i parlamentari incriminati da parte della magistratura spagnola per ribellione, sedizione e malversazione.
Una mossa del cavallo, quella di Pugidemont, che preferisce provare ad internazionalizzare la crisi piuttosto che optare per la strada più complicata dell’arresto. Questa avrebbe comportato l’innalzamento del conflitto su un piano ancora maggiore dato che i membri del Govern avrebbero potuto di fatto assumere lo status di prigionieri politici.
La mossa di Puigdemont si scontra con un contesto oggettivamente difficile: il viaggio in Belgio è stato possibile poichè nello stato nord-europeo è presente un altro forte movimento indipendentista, quello fiammingo, che è tralaltro al governo in un paese spaccato in due e che qualche anno fa aveva impiegato centinaia di giorni per affermare un governo stabile.
In caso di rifiuto del diritto d’asilo Puigdemont non potrebbe sfuggire ad un mandato internazionale di arresto spiccato da Madrid, e dentro all’esecutivo belga la questione è gia motivo di divisione tra il premier Michel e il ministro dell’Immigrazione Frankel, che sarebbe disponibile alla concessione dell’asilo.
Il parere dell’Unione Europea sembra intanto rimanere pienamente in linea con il governo di Madrid, come ribadito anche dalla portavoce della Commissione Mina Andreeva che ha parlato di “questione interna allo Stato spangolo”. L’UE non ha alcuna intenzione infatti di scoperchiare il vaso di Pandora dei regionalismi e degli indipendentismi interni ai suoi confini, che potrebbero minare la sua architettura e avviare un processo di dissoluzione. Inoltre sabato scorso anche gli Stati Uniti hanno dichiarato la loro assoluta non volontà di riconoscere l’indipendenza.
Le posizioni di UE e USA sembrano definitivamente affossare le speranze catalane, al prezzo di dover rinunciare in maniera definitiva ad ogni retorica di “superiorità” culturale e politica in merito a questioni come l’autodeterminazione dei popoli e presunti diritti umani di tipo universale. Una questione non di poco conto mentre il globo ha sempre più un assetto multipolare e dove si confrontano sempre con maggiore conoscenza e possibilità di valutazione reciproca diversi modelli di governo.
Intanto Rajoy tira dritto e stasera annuncerà ufficialmente la decisione di indire nuove elezioni in Catalogna per il 21 dicembre prossimo, nel contesto di commissariamento dovuto all’utilizzo dell’art.155. Bisognerà vedere però che maggioranza uscirà da quelle elezioni, dato che il movimento indipendendista potrebbe voler cogliere l’occasione per riaffermare ulteriormente i propri desiderata. Uno scenario da rompicapo per Podemos che non riesce a venir fuori dalle contraddizioni innescate dalla DUI.
E’ di ieri la notizia del commissariamento della sezione catalana del Partito, PODEM, che non ha seguito le indicazioni del Partito su come affrontare le votazioni in merito alle mozioni di indipendenza. Iglesias ha commissariato di fatto la sezione catalana, che lo ha accusato di replicare per linee interne quanto fatto da Rajoy con la Catalogna. Nel frattempo, la parola passa alla piazza, che seppur svuotata dalla decisione di fuga di Puigdemont, già discute nelle assemblee regionali sulle prossime mosse di sostegno alla neonata Repubblica.
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