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Colombia: Il cammino

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I dibattiti e le valutazioni sullo sciopero nazionale che nei recenti giorni ha scosso il paese non cessano; nemmeno le sue proiezioni e, con quelle, i possibili cammini da percorrere affinché il medesimo 1) si prolunghi e 2) produca i benefici perseguiti.

In questo esercizio, collettivo ma non centralizzato che risponde alla medesima dinamica sociale e territoriale che ha caratterizzato questa giornata di lotta, spicca il giro dato dal Comitato Nazionale dello Sciopero (CNP) a favore del potenziamento della lotta per le principali richieste che hanno animato le settimane di sollevazione sociale/popolare e giovanile, o che sono diventate molto più nitide e sensibili alla società colombiana in mezzo al movimento.

Il rilievo a quanto definito dal CNP si basa tanto sul metodo come sulle rivendicazioni scelte per proseguire nella lotta per concretizzare il documento d’emergenza, in questo caso basato su dieci rivendicazioni*, e sul Congresso della Repubblica come scenario per inoltrarle, convalidandolo così come lo scenario “per eccellenza della democrazia” come tanto piace affermare a proprietari terrieri, banchieri, industriali, militari…-, nonostante le prove di illegittimità che ha, precisamente, dentro un importante segmento sociale degli antagonisti.

Il metodo

Come cosa certa si può definire l’appello al dibattito nazionale che comporta dare un contenuto specifico a varie delle principali richieste della società scontenta. Ugualmente, sviluppare il suo contenuto o l’argomentazione delle proposte, fatto che permette a) di portare più in là, di come iniziati, i temi che sono di tutti e che molte volte rimangono nello stretto ambito dei politici e degli attivisti, in molti casi politici professionisti o politicanti che finiscono per prendersi la voce dell’insieme; b) di riconoscere i territori come epicentro dei dibattiti e della costruzione sociale e alternativa, tornando ai medesimi per dare maggiore legittimità e potenza allo sciopero nella sua desiderabile continuità, in questo caso mediante l’esercizio comunitario di disegnare la società desiderata -con aspetti puntuali come quelli proposti- e di blindarsi con forme democratiche di convivenza e autogoverno.

Questo sarebbe il cammino ideale da percorrere, approfondendo in questo modo la propria organizzazione nei loro territori, promuovendo scuole vive di quello che è ed implica essere governo, promuovendo la relazione tra vari settori di una medesima società e, nel caso dei sindacalisti, aprendo un’opportunità per giungere dove un’importante percentuale della società oggi lavora, si ricrea e riproduce nelle proprie condizioni di vita; come dire, giungere dove stanno coloro che dovrebbero riunire diversità di organizzazioni sindacali, costituite attraverso nuovi attori, con formati e modalità di funzionamento differenti da quelle conosciute fino ad oggi poiché non sono lavoratori classici, e poiché molti/e nemmeno timbrano il cartellino o rispondono ad un padrone.

Il grigio della svolta data traspare nello spazio scelto per portare avanti quanto proposto. Di volta in volta nelle inchieste portate a termine sul Congresso risalta la sua impopolarità, di volta in volta, perché non rappresenta il sentire maggioritario della società colombiana, ed è così, precisamente, poiché difende gli interessi della minoranza e ignora le necessità e le aspirazioni delle maggioranze.

Quello spazio, come si sa, è controllato dalle forze dell’establishment, come dire, da coloro che rappresentano banchieri, gruppi economici, mafiosi e altri che saccheggiano la ricchezza collettiva, loro e altri che ancora alimentano la guerra che li sostiene al potere, spazio dove le minoranze progressiste giungono solo a lasciare delle testimonianze.

Se questo è così, perché concedere a tale istituzione dominante il potere di decidere su un insieme di rivendicazioni che non sono di suo gusto o che, anche essendo una portata avanti in modo affermativo, sicuramente lo sarà con il timbro del governo associandole uno o un altro articolo o qualche profilo che la leghi alla sua gestione?

La decisione, in ogni caso, smentisce le lezioni dello sciopero, dato che quanto indicato da questo è che la democrazia diretta, radicale e referendaria è il cammino per rendere reali le aspirazioni popolari e soddisfare le necessità delle maggioranze. Come lo ha evidenziato quanto ottenuto durante le giornate di protesta, come la rinuncia ufficiale al testo originale della riforma tributaria, come le dimissioni del ministro delle Finanze e della Cancelliera, così come il riconoscimento -anche parziale- del diritto ad una immatricolazione zero, ma anche un’altra varietà di risultati conquistati in varie municipalità nelle quali parte dei bilanci locali sono stati riorientati a soddisfare alcune delle richieste che li implicavano, come aprire posti di lavoro o per lo studio, così come finanziare imprese familiari e microimprese, tra i vari casi. Si tratta di un grigio con tonalità scure, ogni volta in cui nelle rivendicazioni fino ad ora conosciute selezionate per essere tradotte in progetti di legge non figurano importanti bandiere alzate da coloro che non fanno parte dei settori organizzati in modo classico.

Come si può verificare rivedendo alcune delle costanti che hanno spiccato nelle proteste quotidiane dal 28 aprile, la società mobilitata ha di volta in volta attaccato i CAI, rendendo chiaro il proprio antagonismo rispetto al modello poliziesco esistente; lo stesso modo di procedere lo ha mantenuto con il servizio pubblico di trasporto, per esempio, fatto che indica lo scontento per il servizio prestato e le tariffe vigenti, ma anche per il fatto che non sia di proprietà pubblica, riflettendo così le evidenti aspirazioni nazionali che tale trasporto sia veramente pubblico e, inoltre, efficiente e con tariffe accessibili alle maggioranze impoverite.

Se è così, perché non aprire il dibattito nazionale tanto su sicurezza pubblica e polizia, come sulla proprietà e le caratteristiche che dovrebbe avere il traporto collettivo? E per sua mano arrivano altri dibattiti, uno dei quali sul tipo di città fino ad ora costruite e la riorganizzazione territoriale che implicherebbe l’efficiente funzionamento di un sistema di mobilità urbana di nuovo tipo.

Se, inoltre, coloro che si sono sollevati sono informali e molti altri che chiamano Né-Né, perché non riprendere la discussione e dibattere a livello nazionale su temi importanti come retribuzioni, qualità della vita -degna-, lavoro e studio?

Alcuni potranno dire che precisamente il Reddito Base risponde a questo, e questo è certo ma solo in modo parziale, giacché il reddito proposto ha un limite temporale e la problematica delle entrate e di una vita degna è da dibattere e da concretizzare attraverso un modello sociale che non è attuale, garantendolo al di là di un governo o un altro.

E con questo giungiamo al fondo del dibattito: quanto messo in discussione dalla società antagonista fa parte di un’ondata globale che risponde ad una crisi di civilizzazione nella quale il sistema capitalista, come un tutto, è in discussione, crisi potenziata e portata fino ad un picco non occultabile dal covid-19.

Come dire, anche se quello che risalta durante la protesta sono necessità precise, le medesime stanno mettendo in discussione il limite a cui è giunto questo sistema su temi come lavoro, ambiente, produzione, organizzazione territoriale, amministrazione di quanto è pubblico, esercizio -reale- della democrazia, potere, sicurezza. Forse non siamo coscienti di questo, ma è così. E il dibattito nazionale sulle rivendicazioni deve permettere di arrivare al nucleo del problema, senza fermarsi alle sue manifestazioni.

Questi contenuti sono complessi, non c’è dubbio, e impossibili da concretizzare in un progetto di legge, ma precisamente facendosene carico schiviamo l’inganno in cui il CNP si sta mettendo e al quale sta portando a livello nazionale: credere che riformando aspetti precisi della nostra organizzazione sociale sia possibile superare la crisi che viviamo. Una riforma, vale la pena evidenziarlo, impossibile da canalizzare da parte dell’attuale Congresso e dell’attuale stato, in parte e del tutto.

Allora, la rotta per approfondire lo sciopero, riprendendo i suoi insegnamenti, è nei territori, addentrandoci negli stessi, aprendo decine di spazi di formazione e organizzazione collettivi, concretizzando assemblee nelle quali, tra tutti, sia definito quello che e il come rendere realtà il proprio sogno di vita degna. Le assemblee, in circolo concentrico, dovrebbero relazionarsi poco a poco le une con le altre, fino a rendere cosciente alla totalità della società quello che implicano le richieste per l’emergenza ma, ugualmente, quello che comporta e richiede per passare a costruire un altro tipo di governo, uno che sia all’altezza delle bandiere dispiegate il 21 novembre (2019) e il 28 aprile (2021), ma anche in sintonia con il nuovo tipo di organizzazione sociale che obbliga -per superarla- la crisi sistemica che attraversa il Sistema Mondo Capitalista.

* Dei 10 progetti di legge da stabilire il 20 luglio, fino al giorno 15, erano conosciuti solo i seguenti cinque: 1. Reddito base; 2. Immatricolazione zero; 3. Abrogazione del Decreto 1174; 4. Regolamento della protesta sociale; 5. Salario per i lavoratori di piccole e medie imprese.

29 luglio 2021 

desde abajo

Da Comitato Carlos Fonseca

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