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Divenire wobbly a Tunisi

Grazie al lavoro soprattutto del comitato promotore tunisino invece le quattro giornate si sono svolte in una città ormai proiettata verso il referendum della costituente, con la pace sociale imposta con il pugno di ferro e con l’interesse del governo di transizione che le urne vengano installate nel silenzio della piazza.

Il meeting in questo senso ha riempito fino infondo uno spazio politico pubblico che si era aperto per mezzo delle tante lotte che si sono succedute dallo scorso dicembre ad oggi, manifestando il consistente livello di autonomia e contro-potere che i movimenti in Tunisia continuano a riprodurre anche in una fase non certo propizia all’espressione politica dell’autorganizzazione degli studenti, dei lavoratori, dei disoccupati e precari. Certo, quello spazio politico pubblico va coltivato e ampliato perché sempre suscettibile di riflusso e ritorno, ma indubbiamente il meeting a cui hanno partecipato centinaia di attivisti e militanti venuti da mezzo mondo ha sicuramente contribuito al suo rafforzamento.

 

A Tunisi hanno preso parola le lotte e i suoi pratagonisti, così i diplomati disoccupati tunisini hanno ascoltato le ragioni del popolo notav e viceversa, gli studenti europei per due giorni si sono confrontati con gli studenti nordafricani e non solo, e poi gli artisti, i mediattivisti, le lotte migranti, il debito, la crisi, la conoscenza, la città, tutti terreni e soggetti di lotta che senza lasciarsi andare a riduzioni identitarie, sempre impoverenti e banalizzanti, hanno saputo sperimentare la costruzione collettiva di uno spazio di organizzazione e lotta transnazionale, coerentemente ai bisogni espressi dai soggetti sociali dei movimenti le cui reti vivono immediatamente come ostili le frontiere istituzionali degli stati-nazione.

La parola solidarietà ha assunto una nuova energia politica dalle giornate di Tunisi, non più gesto terzomondista che riproduce in sé le gerarchie del vecchio mondo coloniale, ma urgenza di lotta comune capace di rompere la solitudine delle singole istanze di rifiuto e di opposizione alla crisi capitalistica. Non c’è solidarietà senza rivolta, non c’è più spazio per le “carovane della beneficenza”, ma spazio di lotta e organizzazione collettiva.

 

La dichiarazione conclusiva del meeting punta in alto: un nuovo meeting da organizzare per il prossimo anno, nuovi micro-meeting tematici per i prossimi mesi, un sito in multilingue da aprire in fretta perché urgente è la necessità di comunicazione che le lotte stanno esprimendo, la data del #15O da attraversare come ulteriore tappa di rilancio. E poi nuove connessioni da costruire tra le lotte che emergono nel mondo, da un continente all’altro… C’è bisogno dei saperi e delle capacità di tutti e tutte, specialmente di interpreti e traduttori, che possano facilitare la comunicazione tra i collettivi, tra le reti e le iniziative di lotta, che da domani continueranno i propri percorsi assumendo il meeting di Tunisi e i futuri meeting da costruire come parte di un percorso che nella crisi globale della finanza e della rappresentanza sta iniziando ad inserire una macchina politica antagonista in continua sperimentazione.

E’ qui che adesso si concentra il lavoro da fare: “divenire Wobbly del nostro tempo”, imparare a correre nello spazio della crisi , tra il risveglio arabo, e le università cilene, tra le accampate spagnole e nei cortei in Grecia, tra gli Ukriots, e negli scioperi in Cina, tentando di produrre connessioni e continuare ad immaginare e praticare spazi dove il “dégage” e i primi esperimenti di istituti autonomi delle lotte possano trovare una dimensione transnazionale di espressione politica.

 

E’ una posta in gioco alta, ma è l’altezza a cui i movimenti sembrano voler puntare per tornare a guardare negli occhi la controparte. E ora a lavoro, c’è molto da fare….

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