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Ecuador: condanna contro l’inquinamento targato Chevron

 

Stella Spinelli per Peace Reporter

 

Il giudice che ha emesso la sentenza, Nicolás Zambrano, ha dichiarato che la compagnia petrolifera dovrà versare 8.646 milioni di dollari per danni ecologici, più un dieci percento per i danni provocati alle comunità colpite. Una cifra che il battagliero avvocato Pablo Fajardo, l’uomo cresciuto con i piedi nelle pozze nere di Sucumbíos, laureatosi in legge solo per farla pagare alla Texaco e grazie al supporto morale ed economico della comunità vittima della multinazionale, ha definito “irrisoria, ma significativa”, visto che la difesa aveva richiesto ben 27 miliardi di dollari. “Abbiamo combattuto giuridicamente per ottenere che l’impresa Chevron, prima Texaco, risponda del suo crimine e paghi per riparare il danno ambientale provocato. È chiaro che si tratta di una somma insignificante rispetto al reale crimine commesso, un crimine ambientale sì, ma anche culturale e umano. Resta comunque il fatto che siamo di fronte a un vero passo avanti verso il trionfo della giustizia”.

 

La giustizia ecuadoriana ha condannato lunedì la Chevron a pagare una multa milionaria per i danni ambientali provocati all’Amazzonia ecuadoriana durante tredici anni di trivellazioni a opera della Texaco, compagnia che la multinazionale Usa ha acquisito nel 2001. Una sentenza storica, che ripagherà di anni di sofferenze e malattie, lotte e speranze le tante famiglie colpite da questo disastro. Scarti di petrolio mischiati a velenosi agenti chimici lasciati in pozzi a cielo aperto sono filtrati nel terreno, impregnandolo, distruggendo coltivazioni e contaminando la vita di tanta gente. Che si è ammalata ed è morta per le conseguenze riportate.

 

Non china però il capo la Chevron, per la quale “la sentenza della corte ecuadoriana è illegittima e inapplicabile – scrive in un comunicato -. È il prodotto di una frode e totalmente contraria a quello che dimostrano le prove scientifiche e legittime. Chevron ricorrerà in appello e spera che prevalga la giustizia. Sia le corti Usa che i tribunali internazionali hanno già preso le dovute misure per prevenire l’applicazione della sentenza emessa dalla corte ecuadoriana. Chevron è convinta che in qualsiasi Stato di diritto questa sentenza sia inapplicabile”.

 

Una sentenza che arriva, infatti, tre giorni dopo che una sezione della Corte permanente di arbitraggio dell’Aja ha proibito temporaneamente l’applicazione di ogni sentenza emessa contro la compagnia Usa. Questo perché nel settembre 2009, la multinazionale dell’oro nero ha presentato domanda di arbitraggio in base al Trattato bilaterale che lega gli Usa all’Ecuador. Accordo firmato negli anni Novanta e che liberavano la Texaco da ogni obbligo futuro se solo avesse quantomeno ricoperto un terzo delle piscine costruite per contenere gli scarti dello sfruttamento petrolifero. Ma la difesa della Chevron punta anche su altro, visto che incolpa un’altra compagnia, la statale Petroecuador, delle 260 pozze sparse nella provincia di Sucumbíos causa principale de l disastro ambientale e sanitario.

 

Intanto, sempre a tutto vantaggio della multinazionale, al pronunciamento dell’Aja si somma quello di un giudice di New York che la scorsa settimana, nel terzo grado di giudizio del litigio, ha emesso un ordine temporaneo di restrizione che impedisce alla parte civile di ricevere compensi prima che sia definitiva ogni decisione giudiziaria. Ma intanto gli abitanti di Lago Agrio hanno di che brindare. Sono otto anni che va avanti il processo. E 47 che l’incubo ha avuto inizio.

 

Texaco sbarcò, infatti, nella zona di Sucumbíos, provincia amazzonica al confine con la Colombia, nel 1964. Tre anni dopo scoprì il primo giacimento: Lago Agrio 1, che è diventato la culla dell’inquinamento. Alcuni anni dopo si unì allo Stato ecuadoriano come parte di un consorzio e nel 1990 smise di operare direttamente pur restando nel consorzio controllato però ormai in maggioranza dalla Petroecuador. Nel 1993 venne per la prima volta fatto causa a Texaco, ma gli Stati Uniti passarono la palla, per competenza territoriale, al paese andino. Così nel 2003 a Nuova Loja, frazione di Lago Agrio, iniziò il procedimento. Finito, appunto, lunedì 14 febbraio 2011 con questa sentenza incompleta, ma pur sempre storica.

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