Egitto: il Venerdì dei Martiri lancia lo sciopero generale
Ad alzare ancora di più i toni politici della giornata arriva la notizia che tutti attendevano: 11 febbraio sarà sciopero generale. Come il 25 gennaio anche il primo anniversario della caduta di Mubarak non sarà una festa o una ricorrenza istituzionale ma una decisiva giornata di lotta rivoluzionaria. A rendere chiaro il carattere apertamente conflittuale dello sciopero generale convocato dai sindacati arrivano anche ben 6 università egiziane che hanno proclamato per lo stesso giorno una giornata di disobbedienza civile a cui stanno aderendo molti altri atenei del paese.
In questi tre giorni di dura battaglia sembra che la tendenza sia quella della convergenza e della ancora più salda composizione politica dei soggetti sociali proletari protagonisti delle insurrezioni dello scorso anno. Operai, studenti e proletariato giovanile che dalle fabbriche, dalle università, dalle curve e dai quartieri stanno riuscendo a fare di una provocazione omicida come quella di Port Said da parte dello Scaf l’occasione per approfondire lo scontro e dare continuità alle lotte di liberazione dal regime che persiste.
E su questo terreno è probabile che ormai si stia giocando una partita decisiva. Va ricordato che lo Scaf (giunta militare) e quindi l’esercito, in Egitto è un soggetto politico, è una formazione politica storica e determinata che da mezzo secolo domina sul grande paese africano. La possibilità del suo isolamento e la capacità di stanarlo della piazza rivoluzionaria facendolo ergere contro di sé nella maniera più violenta e solitaria possibile potrebbe essere la ragione che spiega la tenacia dei manifestanti in queste ore sulle barricate. Come ha dichiarato un giovanissimo manifestante con la felpa ultras su Via Mohamed Mahmoud: “è lo Scaf il responsabile di Port Said, sono loro i contro-rivoluzionari e l’Egitto lo deve sapere!”. Da questa prospettiva nella piazza egiziana in queste ore si sta tentando di costruire una verità, la verità della rivoluzione che vuole andare avanti contro la transizione democratica che fino ad oggi è stata la traduzione esplicita della continuità del regime e della reazione.
Dalla sua parte anche lo Scaf sembra intenzionato a giocare tutte le carte e forse quella più pericolosa per il movimento inizia a farsi sentire nella scena pubblica egiziana quando alcuni esponenti delle istituzioni fanno riferimento al pericolo di una guerra civile o addirittura ad un non meglio precisato intervento straniero nella vita politica del paese. Tutti discorsi che nell’immediato servono al premier Ganzoury per legittimare le misure di sicurezza e non mollare lo stato di emergenza ma che in futuro potrebbe essere le basi per lanciare un attacco a 360gradi contro la piazza. I Fratelli Musulmani stanno tentando di mediare tra le autorità e la piazza facendo appello per una tregua degli scontri, ma entrambe le parti non sembrano disposte a legittimare la mediazione del movimento islamista moderato.
A questo livello dello scontro sociale e politico la data dello sciopero generale per l’11 febbraio acquista un forte valore per il processo rivoluzionario. Ma con quale forza politica, con quale agenda di lotta e con quali altri soggetti sociali si arriverà a quella data?
Mancano solo 7 giorni per rispondere a queste domande e la furia ultras scatenatasi per vendicare il sacrificio dei ragazzi di Port Said, nuovi martiri della rivoluzione egiziana, ormai è divenuta la collera di una piazza intera… Solo un anno fa Mubarak era caduto sotto i suoi colpi ed oggi un nemico ugualmente temibile potrebbe iniziare ad avere i primi brividi quando in decine di migliaia gridano come un tuono “il popolo vuole giustiziare il federmaresciallo!”.
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