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Egitto: piazza o golpe?

 Nuovi scontri, caos, dichiarazioni contraddittorie e colpi di scena caratterizzano l’Egitto di queste ore.  Piazza divisa, accuse di golpe militare, massiccia presenza dell’esercito in ogni angolo della città. Allo scadere dell’ultimatum dell’esercito, attesa, frustrazione e speranze caratterizzano queste ore.

 

Aggiornamento ore 22:00 Conferenza stampa dell’esercito: sospesa la costituzione, annunciate nuove elezioni. Adesso Morsi è ufficialmente destituito. I Fratelli Musulmani minacciano reazioni. Intanto piazza Tahrir festeggia e accoglie l’esercito. Le due piazze però rimangono fortemente contrapposte: l’una, piazza Tahrir, strapiena di egiziani anti Morsi, l’altra, a Nasser City, ancora occupata dai manifestanti pro Morsi e circondata dai militari.
Nuovi interrogativi, vecchie speranze e un punto interrogativo sul futuro dell’Egitto.

Aggiornamento ore 21:30. Il ministro degli esteri, il generale Abdel Fattah al-Sisi, ha dichiarato Adly Mansour, presidente della suprema corte costituzionale, primo ministro ad interim dell’Egitto, come parte della road map. Nei fatti Morsi è sollevato dal suo ufficio e eliminato dalla vita politica egiziana.

Aggiornamento ore 20:00. Terminato il dispiegamento delle forze armate nel paese: carri armati hanno adesso completamente circondato tutte le strade intorno a Nasser City, dove sono in presidio i pro-Morsi; assediato anche il palazzo delle guardie repubblicane, dove in questo momento si trova ancora Morsi. Arrestato il primo ministro – e uomo di fiducia di Morsi – Qandil, e condannato ad un anno a prigione.

Aggiornamento ore 18:45: Le piazze restano contrapposte. Elicotteri sorvolano piazza Tahrir piena di manifestanti anti Morsi, mentre i carri armati dell’esercito si dirigono verso la piazza pro Morsi decisa a restare per strada. Confermato il divieto per Morsi di abbandonare il paese.

Aggiornamento ore 18: A pochi minuti dalla scadenza dell’ultimatum opposte le dichiarazioni: Morsi continua a portare avanti la sua “costituzionalità”, i vertici delle forze armate dichiarano invece di “essere pronti a morire, pur di sostenere le aspirazioni popolari”.

Sempre più vicini al “colpo di stato”. Indiscrezioni parlano dell’arresto ai domiciliari di Morsi. Intanto gruppi “jehadisti” minacciano attacchi contro i militari se Morsi verrà deposto. A Morsi e ai leader della fratellanza musulmana è stato vietato di lasciare il paese.

 

 

Con l’esercito in ogni angolo della città e a presidiare la TV di stato, la piazza divisa e impaziente ad aspettare, l’Egitto in queste ore vive un clima da “colpo di stato”. Un elemento sembra però discordante in questo quadro: il supporto massiccio e contradditorio delle migliaia e migliaia di egiziani nelle strade.

Infatti le masse hanno continuato ad affollare le piazze anche dopo l’ultimatum di 48 ore lanciato due giorni fa dall’esercito al presidente Morsi, ultimatum che, nei fatti, ha scavalcato quello lanciato dal popolo, la cui scadenza era invece fissata per la giornata di ieri. L’intervento dell’esercito in questo quadro politico delicato e complesso ha cambiato le geometrie dello scontro. I Fratelli Musulmani gridano al golpe accusando esercito e le forze armate assumono, propagandiscamente, il ruolo di catalizzatore delle istanze degli egiziani, schierandosi come alternativa unica all’islamismo dei Fratelli Musulmani. In questo clima di propaganda l’ultimatum a Morsi da parte dei militari è stato accompagnato dall’intervento degli elicotteri da guerra che hanno sorvolato piazza Tahrir con le bandiere egiziane lanciando confetti sulla piazza anti-Morsi, ricostruendo così, tra le masse egiziane, un nuovo consenso alla più che probabile presa di potere da parte dei militari.

 

Ciò su cui dovremo interrogarci in questo momento di caos politico è proprio il ruolo del regime e delle sue evoluzioni. I due anni e mezzo trascorsi dalla caduta di Hosni Mubarak – con la transizione militare, seguita poi da quella “civica” di Morsi – hanno mostrato che i poteri forti del paese – forze armate e Fratelli Musulmani – sono due facce della stessa medaglia. Entrambi hanno messo in campo lo stesso modus operandi proprio del vecchio regime, entrambi hanno ostacolato con la forza quel cambiamento del sistema a lungo invocato in Piazza Tahrir, nelle università e nelle fabbriche in lotta. Entrambe sono state – nei rispettivi periodi di governo – amate, poi contestate e odiate dal popolo egiziano. Per questo adesso, nel momento di massima contestazione del governo Morsi, l’intervento “provvidenziale” dell’esercito riserva non poche contraddizioni.
In primo luogo in quest’intervento, ciò che più salta all’occhio sono gli effetti di normalizzazione che ha prodotto sulla determinazione della piazza. L’ultimatum dato dalla stessa piazza, le minacce di attuare una disobbedienza civile in tutte le città: tutto ciò è scomparso dagli schermi per far posto alla presenza delle forze armate.

L’isterica euforia di Piazza Tahrir sembra mostrare che il paese si sia dimenticato della transizione al veleno di cui gli stessi militari sono stati protagonisti, che si siano dimenticate le contestazioni all’apparato militare. Sembra essere di nuovo in campo il vecchio slogan “Il popolo e i militari una mano sola”, lo stesso che aveva accolto la presa di posizione dell’apparato militare con la Piazza Tahrir del 2011, con la piazza contro Hosni Mubarak. Gli egiziani si rassicurano ricordandosi quel sentimento di rispetto e familiarità con l’esercito. Un esercito di leva a cui ogni famiglia delle masse popolari e sottoproletarie delle metropoli e delle campagne affida per tre anni i propri figli. Ma questo è lo stesso potere che – sotto il maresciallo Tantawi, durante la transizione – ha mostrato di non saper governare il paese.

Intanto, mentre in tantissimi aspettano con speranza le prossime ore, alcuni sono ancora in piazza a sostenere l’ormai indifendibile Morsi che, ignorando l’evolversi repentino della situazione, punta tutto sulla legittimità costituzionale della sua presidenza. La parte più politicizzata del paese ha però ancora la forza di dire una cosa semplicissima: l’esercito stia a fare il suo lavoro, i Fratelli Musulmani si occupino della religione, il potere deve tornare nelle mani del popolo.
Mentre l’incertezza regna per le prossime ore l’interrogativo comune resta il seguente: la più che probabile presa del potere dell’esercito riuscirà a raggiungere le aspirazioni popolari, a portare a quel cambiamento del sistema senza cui l’Egitto in rivolta non si darà pace?

 

 

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