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Golpe in Sudan. Scenari di guerra e le sporche alleanze dell’Italia

Furibonda battaglia in Sudan tra i paramilitari di Rapid Support Forces (RSF), cioè gli ex janjaweed, e i soldati dell’esercito regolare. E’ un braccio di ferro per la conquista del potere.

Le tensioni tra Abdel Fattah al-Burhan, presidente del Consiglio sovrano e il suo vice, Mohamed Hamdan Dagalo – Hemetti -, nonché leader di RSF, erano palpabili da tempo per divergenze sul calendario dell’integrazione nell’esercito regolare dei miliziani delle RSF, che probabilmente non vogliono per nulla essere integrati.
I combattimenti scoppiati sabato tra le unità dell’esercito fedeli al presidente e l’RSF di Hemetti, sono i primi di questo tipo da quando i due si erano alleati per spodestare Omar Hassan al-Bashir nel 2019.
Vale la pena ricordare che entrambi avevano fatto parte dell’entourage di al Bashir, che hanno deposto per evitare di essere travolti dalla protesta popolare assieme a lui.
Dagalo, un tagliagole di provincia, distintosi per la ferocia delle sue truppe contro le popolazioni africane del Darfur, che uccidevano gli uomini, stupravano le donne e rapivano i bambini nei villaggi in cui entravano, ha acquisito enormi poteri e ricchezze.
Secondo i media di casa nostra si tratterebbe di un golpe filorusso, vista la presenza nel paese di truppe mercenarie della Wagner legate al vicepresidente.
In realtà il quadro è molto più complesso, in un sistema di alleanze variabili su scala planetaria, dove ciascuno gioca in proprio e cambia spesso di fronte.
Il governo del generale Al Burhan è sostenuto da gruppi e potenze che normalmente hanno altri schieramenti: dagli islamisti locali, dall’Egitto (che a casa propria combatte e perseguita gli islamisti), dagli Stati Uniti (che hanno combattuto gli islamisti in Afganistan ma si schierano con Burhan in Sudan), dalla Cina (che perseguita gli islamisti uiguri a casa propria) e dagli iraniani. Dagalo è sostenuto da alcune grosse grosse compagnie minerarie anche straniere, dai russi della Wagner, dall’Arabia saudita e dagli Emirati arabi uniti. Burhan e Dagalo sono entrambi alleati dell’Arabia saudita nella guerra in Yemen.
Il quadro non è affatto lineare, perché in ballo ci sono interessi economici e di potenza non sempre facili da decifrare.

I sette milioni di abitanti di Khartoum sono allo stremo, barricati in casa per il timore di essere bersaglio di pallottole vaganti. Molti sono sfollati o profughi, scappati da guerre o contrasti interni. Avevano sperato di aver finalmente trovato pace e sicurezza, di non dover rivivere tali momenti di angoscia.
La metropoli è sull’orlo di una catastrofe umanitaria: il suo già fragile sistema sanitario è vicino al collasso,  mancano acqua e corrente ed è sempre più difficile reperire cibo e beni di prima necessità.
Anche in altre parti del paese si combatte. A Niyala, nel Sud-Darfur, sono morti almeno 22 civili dall’inizio del conflitto. Tra domenica e lunedì sono stati saccheggiati gli uffici dei ministeri delle Finanze, degli Affari locali, dell’Istruzione e delle Dogane. Razziati anche gli uffici di UNICEF e di altre organizzazioni internazionali.
Entrambe le fazioni hanno affermato oggi di aver guadagnato terreno, entrambi sostengono di avere il controllo del palazzo presidenziale, di radio e TV.
Truppe in appoggio a Dagalo sono arrivate dal Ciad e dalla Libia.

In Sudan ci sono, anche se la loro presenza è sempre stata minimizzata, anche truppe straniere. Avieri egiziani al confine con l’Egitto ma non solo.
Va ricordato che ai miliziani janjaweed di Dagalo è stato affidato anche il compito del controllo delle frontiere, dell’immigrazione “illegale” e del traffico di esseri umani. L’Unione Europea si è impegnata a sostenere finanziariamente questo incarico e l’Italia invece ha varato un programma nascosto di addestramento dei tagliagole, inviando nel 2022 una missione segreta a Khartoum.
Il 12 gennaio di quell’anno uno dei dirigenti del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS), agenzia che dipende dalla presidenza del consiglio, il colonnello Antonio Colella, con quattro uomini fidatissimi e una donna apparentemente rappresentante di una NGO, ha incontrato il capo dei filibustieri, il generale Mohamed Hamdan Dagalo.
Il loro compito è quello di impedire il passaggio dei migranti, usando i metodi già sperimentati in Darfur, con più soldi, materiale logistico e sostegno politico. La vicenda è divenuta di pubblico dominio quando è stata raccontata da Africa ExPress, che l’ha appresa grazie ai propri contatti nell’area di El Obeid, 400 chilometri a sud della capitale. All’interrogazione parlamentare del pentastellato Airola il governo non ha mai dato alcuna risposta.
I militari di Dagalo venivano addestrati ad El Obeid e a Khartum, ma anche in Italia. É possibile che alcuni di loro siano ancora nel nostro paese.

Ne abbiamo parlato con Massimo Alberizzi di Africa ExPress

Ascolta la diretta:

da Radio Blackout

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