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Grecia, il consenso negato

La giornata di mercoledì potrebbe iscriversi nel manuale di storia greca contemporanea, come ”la giornata nera” di un primo ministro in preda al panico.

Mentre Atene era invasa dalle migliaia di manifestanti dello sciopero generale che convergevano tutti sulla piazza del Parlamento con gravi scontri tra forze dell’ordine e dimostranti in piazza Syntagma, al Parlamento, blindato dalle barriere di ferro poste dalla polizia, veniva presentata la nuova manovra finanziaria di 28 miliardi di lacrime e sangue.

In vista della prossima votazione della legge, sempre mercoledì pomeriggio, le dimissioni di due deputati del Pasok, aprivano la via per la crisi all’interno del partito di governo, da tempo dilaniato dalla scelta tra rifiuto e sottomissione a politiche che non hanno nessuna parentela ideologica col partito socialista ellenico.

Eppure, questo era solo l’inizio, perché a mezzogiorno, ambienti prossimi alla presidenza del consiglio facevano trapelare che, d’accordo con Antonis Samaras, presidente della Nuova Democrazia, maggior partito dell’opposizione, il primo ministro si sarebbe dimesso, al fine di formare un governo di unità nazionale.

A sera, invece, un Ghiorgos Papandreou impacciato annunciava a reti televisive unificate di voler andare avanti da solo con un rimpasto di governo, senza mancare di accusare le opposizioni per il mancato consenso alla sospirata alleanza.

Stando a Papandreou, infatti, solo una sintesi politica potrebbe salvare il paese dalla crisi economica e quella di mercoledì non è stata la prima volta, nel corso degli ultimi mesi, in cui il primo ministro ha fatto appello al senso patriottico di Antonis Samaras (peraltro accentuato, generalmente), pressato all’intesa con il governo anche dall’Ue e dal Fmi.

In un bailamme di ipotesi, analisi e scommesse, è passato un pomeriggio intero nel corso del quale pareva che Papandreou e Samaras avessero raggiunto l’accordo per la formazione di un governo che comprendesse esponenti dei due maggiori partiti del paese.

Samaras, faceva sapere la presidenza, aveva accettato ponendo tre condizioni al tanto sospirato consenso: le dimissioni di Papandreou, appunto, la revisione del memorandum firmato in occasione del prestito di 110 miliardi del maggio 2010, le elezioni anticipate.

Se tali condizioni parevano accolte nel pomeriggio, a sera non lo erano più, dimostrando, ancora una volta come Papandreou scelga, spesso e male, date le continue sconfitte, la partita del ricatto di esponenti politici e corpo elettorale col dilemma ”o si procede sulla strada che il governo ha tracciato o il paese è spacciato”.

Certo, le motivazioni dei ripetuti rifiuti di Samaras non sono scevre di calcoli politici: non si tratta tanto di un’opposizione ideologica, infatti le posizioni sull’economia della Nuova Democrazia non sono tanto lontane da quelle del memorandum. Si tratta, molto semplicemente, di un appello, in parte vincente, al forte malcontento che le misure di austerità generano in un corpo elettorale che ha molto appreso e capito, nel corso dell’ ultimo anno.

Margherita Dean per PeaceReporter

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