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I lunghi silenzi sul caso Paciolla

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Sono passati due mesi dalla morte di Mario Paciolla, il cooperante italiano impegnato nella Missione Onu di Verifica degli Accordi di Pace a San Vicente del Caguán in Colombia. I risultati ancora parziali dell’autopsia parlano di una messa in scena orchestrata dagli esecutori che hanno cercato di far passare per un suicidio l’omicidio di Mario. La ricostruzione della polizia colombiana fa acqua da tutte le parti: mancano alcuni degli oggetti chiave dalla scena del crimine, il solco sul collo che ha provocato l’asfissia non sembra compatibile con il cappio del lenzuolo con cui è stato trovato impiccato e le tracce di sangue nella stanza non corrispondo con i tagli ritrovati sulle braccia.

Il silenzio delle istituzioni politiche colombiane continua nonostante l’inchiesta della giornalista e amica di Mario Paciolla Claudia Duque, che ha occupato le prime pagine del principale quotidiano nazionale, El Espectador, e ha collegato l’omicidio dell’osservatore Onu con lo scandalo riguardante le dimissioni dell’ex ministro della difesa del governo di Ivan Duque. L’Onu continua a mantenere la linea della discrezione e del silenzio anche al riguardo delle connessioni tra la Missione di Verifica e l’apparato militare colombiano. In Italia dopo le promesse delle prime settimane il governo non è ancora riuscito ad ottenere risposte concrete né dalle autoritá diplomatiche colombiane né da quelle delle Nazioni Unite.

Se il silenzio istituzionale non aiuta a sbloccare le indagini l’impegno della famiglia e la solidarietà dal basso provano invece con i mezzi a disposizione a mantenere alta l’attenzione sul caso e a esigere giustizia da entrambi i lati dell’oceano. L’organizzazione Pueblos en Caminos, una rete che connette diverse lotte per l’autonomia e la difesa del territorio in Colombia e in altre zone del continente, è stata una delle prime realtà a esprimere il proprio dolore e a scartare l’ipotesi del suicidio di Mario. Il 2 settembre hanno pubblicato un nuovo comunicato in cui scrivono “Viva Mario… Mario Vive! Le verità scomode germogliano” dedicandogli i versi della poeta Mapuche Elicura Chihuailaf contenuti nel  poema “La chiave che nessuno ha perso”.

A é una ricercatrice impegnata nella difesa del territorio del Caquetá, la regione dove si trova il municipio di San Vicente, e ricorda Mario con queste parole:  “Era uno dei nostri migliori referenti, era molto dedito al suo lavoro, era già al suo secondo periodo con la Missione di Verifica e possedeva dei forti valori che facevano sí che si impegnasse totalmente nel suo lavoro”. S. ha raccolto commenti positivi sulla Missione e sui report compilati dagli operatori dell’Onu, tra cui appunto Mario Paciolla, ma le indiscrezioni sul profilo professionale del responsabile della sicurezza Christian Thompson,ex militare e agente di sicurezza per il settore energetico, la hanno messa in guardia: “Ci si augura che l’Onu contratti persone e imprese che non presentano ambiguità ma questo non puó essere garantito nel momento in cui vengono assunte persone che si dedicano alla sicurezza delle imprese petrolifere e minerarie”.

Simone Ferrari, ricercatore italiano che è stato recentemente a San Vicente, racconta che la sede dell’Onu è ancora in funzione anche se quando si è presentato per chiedere di parlare con i membri della Missione il vigilante dell’ufficio lo ha informato “che erano in riunione o con la polizia o con l’esercito”, Ferrari ha dunque raggiunto la sede della polizia dove ha verificato che non si trovavano lì e ha quindi dedotto che fossero riuniti presso il “battaglione militare”.

A è un attivista di San Vicente che si occupa di difendere i diritti dei contadini, delle donne e dei bambini del territorio. Secondo J. l’Onu è stato il referente principale delle organizzazioni per i diritti umani nella regione, formando leader sociali, proteggendo le vittime di violenza e garantendo protezione agli attivisti, ma ammette che “dopo l’omicidio di Mario Paciolla sono sorti nuovi dubbi rispetto a quello che succede dentro l’Onu, perché dopo un delitto del genere è normale che sorgano delle perplessitá”. J. parla anche della presenza di basi militari dell’esercito statunitense che commettono abusi ai danni della popolazione godendo di totale impunità.

L’influenza degli Stati Uniti sulla politica colombiana e la presenza militare dentro i confini dello stato nazionale  è una realtà storica ineludibile. Nel 1999 con l’entrata in vigore del Piano Colombia viene sancita la collaborazione tra le forze militari colombiane e quelle statunitensi per garantire lo sviluppo economico del Paese e reprimere il narcotraffico e i movimenti guerriglieri. Dopo due decenni di guerra che hanno generato migliaia di morti tra i civili, hanno permesso il radicamento di nuove organizzazioni criminali e durante i quali sono state scoperchiate le connessioni esistenti tra lo Stato colombiano e i gruppi paramilitari e narcotrafficanti, il presidente Duque ha annunciato il 18 agosto il nuovo piano Colombia Cresce, con il quale gli Stati Uniti rinnovano il loro impegno nella guerra alle organizzazioni criminali sul suolo colombiano.

Oltre ai militari nordamericani a San Vicente è presente anche la  USAID, l’Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale, per cui lavorava Thompson, che insieme ad altre ong si occupa della gestione territoriale e della conservazione ambientale. San Vicente infatti si trova alle porte della foresta Amazzonica e molti territori sono stati trasformati in parchi naturali dove le comunità si trovano ora a vivere uno stato di precarietà giuridica che favorisce i soprusi e la repressione da parte dalle forze dell’ordine. Nel municipio di San Vicente è situato anche l’unico pozzo petrolifero funzionante della regione e altri 21 che non sono ancora attivi. Dietro alle definizioni di sviluppo, cooperazione, promozione della pace e dell’ecología si celano diversi attori che si stanno contendendo il controllo di una zona con forti interessi economici lasciando sempre meno spazio all’autodeterminazione delle comunità locali che rivendicano la terra.

Cristina Batista è un’attivista colombiana che ha dovuto abbandonare il suo Paese a causa delle minacce e si trova ora esiliata in Italia. Insieme ad altri esuli colombiani in Europa e persone solidali con la loro causa hanno deciso di organizzare una conferenza virtuale per mercoledí 7 ottobre con l’obiettivo di creare una piattaforma in grado di mettere pressione alle istituzioni europee affinché garantiscano un’inchiesta trasparente e indipendente. Nel loro comunicato scrivono: “Chiediamo alla Comunità Internazionale, alla società Europea, all’Alto Commissariato per iDiritti Umani dell’Onu a Ginevra, al Parlamento europeo e al Parlamento italiano che richiedano al governo colombiano di portare avanti le inchieste giudiziarie e che vengano identificati i colpevoli non solo dell’omicidio del cooperante Mario Paciolla ma anche i responsabili intellettuali e materiali delle decine di uccisioni di difensori dei diritti umani in Colombia”.

Queste parole fanno eco a quelle del medico e attivista colombiano Manuel Rozental che afferma: “Basterá scoprire chi ha ucciso Mario Paciolla? Basterá scoprire perché lo hanno ucciso e come? No. Questo sará solo l’inizio. Bisogna far luce su quello che è stato pianificato nel Caquetá con la firma degli Accordi di Pace. Bisogna conoscere gli interessi che si muovono in quel territorio e come i diversi attori competono per accaparrarsi  i profitti, i territori, le rotte commerciali, la vita e la morte delle persone.”

di Gianpaolo Contestabile e Simone Scaffidi da lamericalatina

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