Il conflitto del mais tra Stati Uniti e Messico: un gioco di specchi
Da quando il Messico ha annunciato che avrebbe vietato l’uso e il commercio di mais geneticamente modificato e glifosato nel 2020, è cresciuta una controversia pubblica istigata dagli Stati Uniti. Oggi divora pagine e palinsesti televisivi con la sua disputa tra funzionari, tecnocrati e classe politica di entrambi i paesi. Le misure che il governo messicano afferma di intraprendere per prevenire la contaminazione transgenica dell’immensa diversità del suo mais autoctono vanno dall’estrema ambiguità alla ricerca di impatto mediatico. Questo semina confusione.
di GRAIN, traduzione di ECOR Network
La misura più recente è stata quella di ripristinare unatariffa del 50% sulle importazioni di mais bianco, che è stata vista come un segno che il presidente messicano difende gli interessi del paese. Ma quel dazio non si applica nel caso di questa disputa tra Usa e Messico, come ha già chiarito la stessa Katherine Tai, rappresentante commerciale Usa .
Secondo vari analisti, il Messico ha intrapreso un percorso di difesa del mais dalle multinazionali. Per altre persone, comprese le comunità indigene che custodiscono il mais con la loro vita, le argomentazioni pubbliche del governo messicano non esprimono un impegno sufficiente, di fronte alla gravità della situazione. Da parte degli Stati Uniti, il discorso di deputati, lobbies e lo stesso ministro dell’Agricoltura, non manifesta altro che rimproveri e minacce di sanzioni e azioni legali se non verranno rispettati gli impegni presi nell’accordo di libero scambio, assolutamente impari, tra le parti. Il Messico è legato a quell’accordo avendolo accettato con uno status molto elevato nelle normative del paese. Non è in gioco solo la sovranità alimentare della popolazione e la sua salute, il futuro di una delle colture fondamentali dell’umanità, l’integrità della biodiversità del territorio nazionale e latinoamericano, ma anche la sovranità del popolo del Messico.
Alla fine del 2020, il governo messicano ha emesso un decreto con un presunto divieto dell’uso del glifosato e del mais OGM. È stato subito contestato dalle organizzazioni nazionali come un mero “memorandum” interno dove da nessuna parte sembra proibire qualcosa. Diversi avvocati hanno affermato che questo decreto “ha fondamenti giuridici molto deboli e che la sua proporzionalità legale è molto svantaggiosa rispetto alle normative applicabili”, poiché le leggi che prevalgono in Messico in materia sono molto propense all’accettazione degli OGM , alla coesistenza del mais OGM con il mais autoctono e alla privatizzazione delle sementi .
Questo senza contare il flusso infinito di dettagli e regolamenti contenuti nell’accordo di libero scambio tra Messico, Stati Uniti e Canada (T-ME C). In particolare, il capitolo 3 relativo all’agricoltura e ai prodotti biotecnologici, che sottolinea come il Messico non possa non accettare la biotecnologia agricola e confluire nella concessione di permessi per il suo utilizzo. O il capitolo sulle buone pratiche di regolamentazione i cui dettagli costringono praticamente il Messico a non stabilire alcuna restrizione su quanto proposto dagli Stati Uniti.
Se all’epoca organizzazioni messicane come la Red in Defence of Corn, definirono “tiepido” il decreto, le autorità statunitensi iniziarono a minacciare di citare in giudizio il Messico secondo le regole stabilite dal rinnovato NAFTA o T-MEC.
Agli Stati Uniti è bastato il decreto del 2020 per far scattare un campanello d’allarme e mettere in discussione il Messico che vieta, anche gradualmente, l’importazione di mais Ogm e l’uso del glifosato. Dopotutto, gli Stati Uniti sono la principale fonte di importazione di mais dal Messico (e il 90% della produzione di mais statunitense è GM).
All’inizio del 2023, il Messico ha emesso un secondo decreto in cui ha ridotto i suoi requisiti quasi al minimo , ma poco dopo la rappresentante commerciale degli Stati Uniti, Katherine Tai, ha annunciato che ” la Casa Bianca è impaziente riguardo alla disputa commerciale che ha con il Messico sul mais OGM” e ha annunciato consultazioni di “risoluzione” in conformità con le regole T-MEC.
In questo nuovo decreto, il Messico afferma che non si tratta di vietare il mais transgenico per uso industriale che è stato importato per anni e che è in qualche modo al centro della disputa. Ora, la data di chiusura delle importazioni è aperta a quando ci sarà la disponibilità che questo mais industriale possa essere prodotto internamente.
Dal 2021, il segretario all’Agricoltura messicano, Víctor Villalobos, ha affermato in un incontro con il suo omologo statunitense, Tom Vilsack: “continueremo a richiedere e chiedere mais agli Stati Uniti. Il Messico non limiterà le importazioni di mais OGM dagli Stati Uniti ”. Dopo la pubblicazione del secondo decreto, Villalobos ha precisato: “abbiamo sempre lottato per l’accesso al mais (giallo) per l’alimentazione animale, perché chiaramente non abbiamo la capacità di produrlo e tutta questa industria ne risentirebbe… ma fortunatamente questo non è rimasto nel Decreto, cioè che c’è un libero accesso delle 17 milioni di tonnellate che importiamo, finché non raggiungeremo l’autosufficienza”.
Ora il governo riconosce che il Messico è autosufficiente nel mais bianco per il consumo umano (cosa su cui si è insistito per molti anni e mai accettata prima).
Il decreto del 2023 afferma che “in conformità con la normativa applicabile, revocheranno e si asterranno dal concedere i permessi per l’immissione nell’ambiente in Messico di semi di mais geneticamente modificati, e revocheranno e si asterranno dal concedere le autorizzazioni per l’uso di grani di mais geneticamente modificati per il consumo umano” (mentre alcuni permessi per mais, cotone, soia e colza sono stati negati, i permessi stanno ricominciando ad essere approvati). In ogni caso, il mais OGM era fermo dal 2013 grazie a un’azione collettiva promossa da diversi gruppi della società civile e che in qualche modo è ancora in vigore, poiché la prima camera della Corte Suprema di Giustizia ha smentito all’unanimità e senza discussione quattro ingiunzioni che le multinazionali hanno presentato contro la decisione giudiziaria che impedisce loro di piantare mais transgenico nel Paese.
All’inizio del 2023, il Ministero dell’Economia in un comunicato affermava: “Il decreto vieta l’uso di mais geneticamente modificato per la ‘masa’ e la tortilla. Ciò non influisce in alcun modo sul commercio o sulle importazioni, tra l’altro, perché il Messico è più che autosufficiente nella produzione di mais bianco senza OGM”.
Ai fini pratici si fa una distinzione molto ambigua tra questo mais bianco per fare le tortillas (l’alimento base della popolazione messicana in campagna e in città) la ‘masa’ (una pasta con calce o cenere, un processo noto come “nixtamalizzazione” che apre la cuticola del grano e lo rende più nutriente e commestibile), e il mais industriale per molti usi, compresa l’alimentazione umana. Questo crea confusione. Sebbene finiscano per chiarire che i suoi usi industriali avranno destinazioni diverse dal cibo, sono molti gli alimenti processati che lo contengono.
E sorgono domande. La più ovvia è chi monitorerà e verificherà che gli oltre 110.000 negozi di tortillas nel paese utilizzino il mais tradizionale o il mais messicano commerciale non transgenico che dicono di utilizzare? La Commissione Federale per la Protezione dai Rischi Sanitari (Cofepris) a cui è stata affidata la ricerca scientifica sui possibili impatti del mais Ogm sulla salute delle persone?
Secondo i dati dell’industria, di questo universo di ‘tortillerías’, il 30% utilizza un impasto nixtamalizzato con la sua formula tradizionale, e il 20% utilizza farina di mais, che, sebbene nixtamalizzata, ha aggiunto vitamine e additivi. Il restante 50% impasta l’impasto tradizionale con la farina (disidratata e confezionata).
In teoria, non dovrebbero contenere mais transgenico se viene utilizzato solo mais commerciale messicano. Ma uno studio del 2017 condotto da un gruppo di ricerca multiuniversitario ha rilevato che “delle tortillas testate, il 90,4% conteneva sequenze transgeniche”. E, naturalmente, negli alimenti trasformati con componenti di mais industriale, almeno l’82% era contaminato. Come contrappunto, in quello stesso studio, le tortillas di comunità fatte con mais autoctono, o di mercati di nicchia di mais gourmet, sono risultate quasi incontaminate.
Ciò comporta un carico molto grosso sulle spalle di Cofepris, per l’analisi dei dati di supervisione e sorveglianza degli oltre 110.000 negozi di tortillas. Inoltre, né le ‘molineras ‘ né i ‘molineros’ sono necessariamente responsabili del fatto che il loro negozio di tortilla abbia o meno mais GM.
Il fatto che Cargill, quale principale grossista in Messico, mantenga strutture in cui viene immagazzinata qualsiasi quantità di mais, complica enormemente la separazione del mais importato (di per sé indifferenziato) dal mais commerciale nazionale, privo di OGM. Ma l’ambiguità rimane, perché il Messico ha appena ripristinato un dazio del 50% sulle importazioni di mais bianco, dazio tolto a gennaio. Ripristinandolo, il Messico sembra insistere sul fatto che assicurerà che il mais venduto come tortillas dovrà essere privo di OGM. La tariffa del 50% sembra una misura con molto peso. Ana de Ita, direttrice del Centro de Estudios para el Cambio en el Campo Mexicano (Ceccam), in una conversazione con GRAIN illustra la difficile situazione dei coltivatori di mais commerciali nazionali: “in realtà il dazio va ai produttori di Sinaloa, Sonora e Baja California perché smettano di lamentarsi perché il loro mais locale non viene acquistato perché hanno tolto i dazi agli importatori. Il presidente sembra dire loro: tranquilli, il mercato è chiuso. Ma è chiuso fino a dove si può chiudere. La tariffa sembra parte del loro gioco di specchi. Non riguarda coloro che partecipano al T-MEC, ma sembra sostenere la commercializzazione della produzione locale.
Dagli USA si insiste molto sulla presunta mancanza di prove che dimostrino che il mais transgenico sia dannoso per il consumo umano.
La Biotechnology Innovation Organization sottolinea che gli Stati Uniti devono sottoporre il Messico alle azioni previste dall’accordo trilaterale per approvare le caratteristiche della modificazione genetica nel mais per il consumo umano, poiché per loro non dovrebbero esserci barriere ai prodotti fabbricati con l’editing genetico. Invocando il Capitolo 3 del T-MEC, dove alcuni passaggi sono così ambigui che entrambe le parti lo usano come motivazione della loro posizione anti o pro transgenica, la lobby statunitense insiste sul fatto che l’approvazione dei loro prodotti dovrebbe essere automatica, come ha fatto Tom Vilsack fin dalle sue prime dichiarazioni.
Anche la sua insistenza sul fatto che il Messico non ha dimostrato che gli OGM causino effetti dannosi sulla salute è preoccupante, anche se ci sono enormi archivi di prove che il Messico ha messo a disposizione. E sebbene il Messico abbia convocato proprio lo scorso maggio un Forum per valutare gli effetti degli OGM sulla salute umana, con una presenza internazionale imponente, questo non muove la lobby scientifica statunitense e/o mondiale. La tecnoscienza imprenditoriale controlla letteralmente il mondo accademico, le riviste scientifiche e i media che non consentono un dibattito decente. In Messico ci sono grandi forze dalla loro parte, come il segretario messicano all’Agricoltura, Víctor Villalobos, ex collaboratore della Monsanto.
Quindi, la disputa si è impantanata nonostante il fatto che le consultazioni procedano inesorabili. Forse è tutto quel gioco di specchi. Ed è ovvio che il trattato esclude le comunità indigene da questa e da altre discussioni accademiche.
Se il Messico ha già ammorbidito la sua posizione al punto che il nuovo decreto non proibisce realmente le importazioni di mais transgenico per uso industriale, è molto strano che il governo degli Stati Uniti continui a minacciare il Messico con una vera e propria controversia legale ai sensi delle regole del T-MEC. Sembrerebbe che cerchi di minacciare per ottenere ancora più vantaggi nei rapporti commerciali con il Messico e il Canada. In questo scenario, il fatto che il Canada si unisca alla denuncia degli Stati Uniti, parla più di pressioni da parte degli Stati Uniti che di una vera denuncia canadese.
Da quando David Quist e Ignacio Chapela hanno rivelato la contaminazione transgenica del mais autoctono nella Sierra Norte de Oaxaca in Messico alla fine del 2001, la popolazione messicana ha avviato una difesa radicale e ragionata dei suoi semi autoctoni.
La Red en Defensa del Maíz non ha esitato a dichiarare che il mais non è una cosa o solo un prodotto. Pertanto, l’unico modo per difenderlo è riconoscere la rete di relazioni che da quasi 10.000 anni mantengono le comunità umane e il mais (e la sua comunità di colture associate: ciò che conosciamo come milpa). Così, la difesa del mais passa attraverso la difesa dell’autonomia dei paesi e delle comunità che sono ancora i nuclei custodi che mantengono la validità e la diversità di tale rapporto. Come misura concreta, la Rete ha deciso di impedire l’ingresso di mais straniero, non autoctono, in tutte le comunità che in essa si riconoscono. Non lo hanno fatto attraverso dichiarazioni di moratoria, per minimizzare le persecuzioni che si potevano scatenare (o tentativi clandestini di contaminazione), ma da quasi 22 anni il livello di contaminazione è rimasto sotto controllo rispetto a tanti Paesi dell’America Latina e del mondo.
Il fatto che la contaminazione non sia ancora così grave non può essere una scusa per non insistere nel prevenirla. Proprio con l’importazione legalizzata di mais transgenico per uso industriale, si danneggia gravemente il centro di origine di una coltura così duttile, così compagna, compagno, figlio, figlia, madre mais come la considerano le comunità originarie che gli parlano nella loro lingua per l’intimità di cure ancestrali in tutte le Americhe.
Di fronte alle controversie dei vertici politici causate dai loro accordi di libero scambio, e visto che il danno è così evidente, torniamo a quanto afferma la Rete in difesa di Maíz: «Riconfermiamo che la difesa del mais in Messico richiede necessariamente il rispetto dell’autodeterminazione e dell’autonomia delle comunità e dei popoli indigeni e contadini. Rifiutiamo ancora una volta qualsiasi piantagione sperimentale, pilota o commerciale, nonché la distribuzione, lo stoccaggio o la commercializzazione di organismi geneticamente modificati in qualsiasi parte del territorio nazionale (e nel mondo)».
* Foto di copertina: Jeronimo Palomares
** Traduzione Giorgio Tinelli per Ecor.Network
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