Il popolo egiziano unito contro il regime militare
La scena che si vede adesso nelle strade del Cairo sembra familiare al popolo egiziano: vetri, macerie, pietre, ancora fumo e tanto sangue per terra. Medici che tentano, dopo aver soccorso migliaia di feriti, di ripristinare gli ospedali da campo, quegli stessi ospedali in cui hanno trovato salvezza prima i tanti attaccati dalla polizia di Mubarak, poi le migliaia di manifestanti attaccate, direttamente o indirettamente, dall’apparato militare al servizio del “governo rivoluzionario di transizione”.
La strage che si è consumata nella giornata di ieri al Cairo non è affatto nuova per il popolo egiziano, così come affatto nuove sono le dinamiche: ancora una volta è il regime militare ad essere accusato di coinvolgimento nei fatti di sangue che ieri, davanti al ministero della difesa, hanno provocato la morte di almeno 11 persone (alcune testimonianze parlano anche di 20-25 vittime) ed il ferimento di altre centinaia.
Ad essere attaccati sono stati i partecipanti ad un sit-in pacifico indetto da gruppi appartenenti all’ala salafita, che dallo scorso venerdì manifestavano contro l’esclusione, decisa dalla giunta militare, di Hazem Salah Abu Ismail dalla corsa presidenziale. Nella giornata di ieri il presidio, fino a quel momento sorvegliato da decine di carri armati e centinaia di soldati, è stato attaccato da uomini in abiti civili armati di spranghe e bastoni.
Pesanti sono state le conseguenze nel paese, dove tuttora sono aperte le ferite della strage di Port Said, in cui 74 persone rimasero uccise lo scorso febbraio. Stessa la rabbia e stesso il contesto: i soldati non intervengono ed in decine di “baltageyya”, civili al servizio del regime, attaccano ed uccidono indisturbati e, si crede, pagati dalle alte sfere.
Abbiamo raggiunto telefonicamente un testimone diretto dei fatti di ieri che ci ha narrato una situazione inverosimile: durante lo svolgimento del presidio, con un’altissima sorveglianza militare, improvvisamente e nell’arco di pochi minuti tutti i soldati ed i mezzi militari presenti sul posto sono scomparsi ed al contempo sono comparsi decine e decine di “civili” fino a quel momento non presenti in piazza che, armati fino ai denti, hanno iniziato ad attaccare, facendo strage ed uccidendo. Una volta compiuta la carneficina, gli assassini si sono ritirati e, come se niente fosse successo, sono ricomparsi i militari. L’esercito nega, e continuerà a negare anche tra le sfere più alte, l’esistenza dell’attacco.
Dopo questi fatti molti contendenti alla carica presidenziale hanno interrotto la campagna elettorale, sia la comunità internazionale che tanti politici egiziani hanno condannato duramente l’operato della giunta militare, ma la risposta più forte è giunta dalla piazza. Oggi, infatti, centinaia di attivisti laici hanno raggiunto i propri connazionali salafiti al Cairo per portargli solidarietà. Il nuovo presidio in corso in queste ore, inizialmente indetto dal movimento salafita, sta divenendo punto di riferimento per le molte migliaia di egiziani che non accettando una “rivoluzione a metà”, pretendendo a gran voce che la giunta militare lasci immediatamente il potere.
L’immagine che ci restituisce oggi la capitale egiziana – il movimento laico che forma dei cordoni per proteggere i fratelli salafiti dalle aggressioni esterne – fa tornare alla mente il periodo pre-rivoluzionario e rivoluzionario, quando i musulmani accorrevano in aiuto ai cristiani attaccati da civili pagati, con tutta probabilità, dal regime di Mubarak.
Oggi in Egitto si respira di nuovo quell’aria di unità popolare che la corsa elettorale sembrava aver soffocato. Il popolo egiziano è, al di là delle appartenenze politiche e religiose, unito in un solo obiettivo: la caduta della giunta militare e la vera realizzazione delle aspirazioni rivoluzionarie.
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