In Cina i lavoratori continuano a lottare
Il Ministero del Lavoro cinese dice che 1,56 milioni di casi di cause sul lavoro sono state accettate per mediazione nel 2014, rispetto agli 1,5 milioni nel 2013.
Nel silenzio generale, dunque, i lavoratori cinesi continuano quelle lotte che hanno caratterizzato gli anni scorsi, portando anche ad importanti risultati, sotto il punto di vista degli aumenti salariali e dei diritti sindacali.
La Cina rallenta, l’industria manifatturiera paga la crisi occidentale e la «nuova normalità» – una crescita più controllata – provoca scossoni sociali non da poco. Nessuno vuole perdere le posizioni acquisite, soprattutto le grandi aziende di stato, nessuno vuole retrocedere nello status sociale. I lavoratori, in compenso, hanno ancora molto da guadagnare, essendo stati il motore del miracolo cinese.
Il Wall Street Journal ha dedicato un ampio reportage alle ultime lotte dei lavoratori cinesi, sottolineando che «la Cina non rilascia statistiche sulle chiusure delle fabbriche. Il numero di fabbriche possedute da società dislocate ad Hong Kong, nella provincia meridionale del Guangdong, dove si trova Shenzhen, è sceso di un terzo a 32.000 nel 2013 da un picco del 2006, secondo un’analisi di Justina Yung del Politecnico di Hong Kong per la Federation of Hong Kong Industries, un gruppo commerciale».
Per i lavoratori come Li, dei quali il quotidiano raccontano la storia, «tali chiusure rappresentano una promessa fallita, lo sgretolamento di un patto sociale cinese, in base al quale i migranti hanno accettato il lavoro a turni estenuanti e condizioni di vita spartane lontano da casa, in cambio di prospettive di un futuro migliore».
Disillusione e necessità di riprendere in mano il filo delle proteste per aumentare la propria qualità della vita, per non rimanere indietro, per non perdersi la possibilità di fare parte del nuovo «sogno cinese» tanto caro a Xi Jinping.
Il livello di occupazione nelle fabbriche in Cina sta scendendo da 25 mesi, in base ad un indice rilasciato dalla rivista cinese Caixin.
Il Ministero del Lavoro della Cina ha sostenuto che ci si aspetta che i livelli di occupazione rimangano stabili a breve termine, ma che l’impatto del rallentamento della Cina e la ristrutturazione non possono essere ignorati.
I ricercatori cinesi e i dirigenti aziendali sostengono che è sempre più probabile che il governo comunista debba affrontare i disordini sociali a lungo temuti. Si tratta di un vero incubo per la dirigenza cinese.
Le autorità hanno recentemente arrestato e interrogato più di una dozzina di attivisti per il lavoro, soprattutto nel Guangdong.
Perché alle lotte degli operai, in questa fase, il governo risponde con la repressione.
«Sicuramente vedono le proteste come una minaccia per la sicurezza sociale, e sono preoccupati», ha spiegato al quotidiano finanziario Anita Chan, membro esterno presso il Political and Social Change Department della Australian National University.
In un altro caso recente, viene raccontato, durante uno sciopero ad ottobre di circa 270 lavoratori della Accurate Electronic Co. ci sono stati scontri con la polizia, e con 40 agenti antiterrorismo, secondo quanto riportato dai lavoratori e dagli attivisti sindacali.
L’operaio Yang Changsheng ha raccontato che stava filmando la protesta quando la polizia ha cominciato a colpire i suoi colleghi e lui li ha esortati a smettere.
Gli ufficiali lo hanno afferrato e preso a pugni, racconta, trattenendo lui ed altri colleghi per 15 ore.
I dirigenti della Accurate Electronic si sono rifiutati di commentare, come la polizia e i funzionari di Dongguan, dove ha sede la società. «Un funzionario della filiale del Dongguan, facente parte della All China Federation of Trade Unions, dice che il caso è stato in gran parte risolto».
Altrove – prosegue il Wall Street Journal – alcuni dirigenti sono stati sequestrati dopo gli annunci di licenziamento in numero nettamente maggiore rispetto a prima, dice M. Sean Molloy, amministratore delegato della Control Risks, basata a Shanghai, società di consulenza di gestione delle crisi di Londra.
«Un dirigente europeo afferma che alcuni lavoratori lo hanno sequestrato dopo che la sua compagnia ha annunciato una ristrutturazione nel mese di febbraio a Tianjin. I lavoratori hanno bloccato il cancello della fabbrica con un carrello elevatore e videoregistrato tutto quello che ha detto, sperando di esaurirlo. La polizia lo ha liberato alle 3 del mattino dopo 15 ore, ha spiegato».
«Dobbiamo aiutare i lavoratori a trovare lavoro, altrimenti saranno costretti ad agire illegalmente», ha affermato Zou Suojun, ex direttore di un’unità operativa della Plainvim International Ltd. Zou dice che i lavoratori della sede nel Dongguan lo hanno sequestrato per sette giorni nel 2013, picchiandolo e battendo un tamburo per non farlo dormire.
«Se l’economia continua ad andare in questo modo, dice, avremo seri disordini sociali in un paio d’anni». I funzionari della Plainvim si sono rifiutati di commentare. Un dipendente della Plainvim avrebbe confermato i dettagli della detenzione di Zou.
I migranti come Li – viene spiegato dal Wsj – hanno contribuito con il sudore al miracolo cinese, lasciando le aziende agricole in centinaia di milioni per costruire autostrade e abitazioni e assemblare di tutto, dalle scarpe agli i-Phones. Per molti è valsa anche la pena di lasciare le famiglie, in cambio della promessa economica. Sono loro il sangue del miracolo cinese. E ora vogliono qualcosa, in cambio dei propri sacrifici.
Ma le opportunità nelle città industriali potrebbero peggiorare. «Zeng Xiangquan, direttore del China Institute for Employment Research presso la Renmin University ed ex consigliere del Partito Comunista, ha detto in un forum di novembre che la Cina deve affrontare una nuova ondata di licenziamenti a causa della ristrutturazione delle imprese» secondo quanto scritto dall’agenzia ufficiale, la Xinhua.
da China Files
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