L’ascesa della resistenza armata di Jenin
Come i combattenti della resistenza del campo sono diventati una spina nel fianco di Israele e dell’Autorità Palestinese.
Fonte: english version
Di Shatha Hammad – 4 febbraio 2022
Un cupo silenzio aleggia sul campo profughi di Jenin.
Negli ultimi mesi, le crescenti tensioni hanno reso i suoi abitanti sempre più inquieti mentre vigilano costantemente sulla comunità, temendo che in qualsiasi momento il campo possa essere rastrellato dall’esercito israeliano o dalle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese (AP).
Il disagio che attanaglia il campo deriva dalla campagna di ricerca congiunta da parte di Israele e dell’Autorità Palestinese di 25-30 giovani accusati di aver compiuto atti di resistenza contro i soldati israeliani.
Questi includono sparatorie ai posti di blocco vicino a Jenin nella Cisgiordania occupata, conflitti a fuoco con l’esercito durante le sue incursioni nel campo e il notevole emergere di una presenza armata al suo interno, soprattutto dopo la rivolta del maggio 2021.
I ricercati rimangono nascosti di giorno e si muovono solo di notte quando è necessario.
Non osano lasciare il campo, che da quando sono iniziate le perquisizioni, è servito loro da rifugio sicuro e molti di loro temono di essere uccisi o imprigionati con pesanti condanne.
Altri temono abusi nelle carceri gestite dall’Autorità Palestinese, mentre continuano ad arrivare segnalazioni di torture all’interno di queste istituzioni.
Middle East Eye ha parlato con tre dei ricercati del campo di Jenin, tutti membri delle Brigate al-Quds (Saraya al-Quds), l’ala militare del movimento della Jihad islamica.
I tre uomini hanno accettato di incontrarci di notte e si sono rifiutati di mostrare i loro volti o rivelare i loro nomi, quindi sono stati loro attribuiti degli pseudonimi.
Salman, originario di Jenin poco più che ventenne e uno degli uomini più ricercati, dice di non aver lasciato il campo da quando l’anno scorso un’unità delle forze speciali israeliane ha fatto irruzione nel suo posto di lavoro alla periferia della città in cerca di lui.
Ha ricevuto una chiamata dallo Shin Bet, la polizia segreta interna di Israele, sei mesi fa, che lo minacciava di arresto e gli ordinava di consegnarsi.
“Lo Shin Bet sa che non mi consegnerò e non mi arrenderò”, dice. “Inoltre non darò loro la possibilità di arrestarmi, motivo per cui mi sono rifugiato nel campo e da allora non l’ho più lasciato”.
Uomini armati come Salman si sono barricati all’interno del campo mentre cresce la repressione dell’Autorità Palestinese e di Israele per dar loro la caccia. Il malcontento nei confronti dell’Autorità Palestinese è all’apice, con i residenti che accusano l’AP di usare una forza eccessiva e arbitraria per sottomettere il campo al suo controllo.
Uomini armati mascherati
Il campo di Jenin, che si trova nel cuore della città, nella regione settentrionale della Cisgiordania, si estende per mezzo chilometro quadrato e ospita 13.000 profughi.
Il campo è stato istituito per ospitare le persone espulse dai loro villaggi nel 1948 dalla milizia sionista durante la Nakba, o catastrofe, la guerra che aprì la strada alla creazione di Israele e deportò con la forza più di 750.000 nativi palestinesi.
Il campo non è estraneo alla violenza, con una lunga storia di scontri con Israele che raggiunse il picco nel 2002 durante la Seconda Intifada, quando una campagna militare di 10 giorni da parte di Israele lo devastò.
Da allora gli scontri diretti sono stati ridotti al minimo, ma le violenze del maggio dello scorso anno provocate dalle incursioni israeliane alla moschea di al-Aqsa e dai tentativi di espellere le famiglie palestinesi dalla Gerusalemme Est occupata, sembrano aver dato nuova vita alla resistenza armata a Jenin.
Uomini armati appartenenti alle ali militari di Fatah, Hamas e Jihad islamica posano per una foto di gruppo in una piazza del campo di Jenin il 18 agosto 2021 (AFP)
In più di un’occasione, uomini armati mascherati vestiti di nero, appartenenti a diverse fazioni tra cui Fatah, Hamas e la Jihad islamica, sono stati visti presidiare le strade del campo ogni volta che le tensioni divampavano.
La loro presenza è stata particolarmente evidente dopo che sei prigionieri palestinesi, tutti provenienti da Jenin, sono fuggiti dalla prigione israeliana di massima sicurezza di Gilboa a settembre, tra cui il noto esponente della resistenza Zakaria Zubeidi.
Prima che fossero infine ricatturati, durante la settimana in cui i sei uomini erano in fuga, la tensione a Jenin era altissima. Molti temevano che il ritorno dei fuggitivi al campo potesse spingere Israele a un’azione militare e portare a scontri aperti.
I combattenti armati del campo si sono affrettati a mostrare la loro volontà di aiutare i prigionieri fuggiti. Alcuni hanno sparato ai vicini posti di blocco israeliani. Altri hanno tenuto raduni militari pubblici giurando vendetta se qualcosa fosse accaduto ai sei uomini.
“Noi come combattenti della resistenza eravamo pronti a morire per proteggere i sei prigionieri e per fornire loro un rifugio sicuro, ma le circostanze li hanno portati altrove”, ha detto Salman.
Da allora, le cose non sono state più le stesse a Jenin. L’incitamento israeliano contro il campo è aumentato, dice Salman, che crede sia un segno dell’intenzione di colpirlo nuovamente.
“Israele ha ricominciato a descrivere il campo come un nido di vespe, mentre l’Autorità Palestinese ha descritto la resistenza nel campo come caos e anarchia, nient’altro che fuorilegge. L’intenzione è dare la caccia ai combattenti nel campo e ucciderli”, ha detto.
Combattenti come Salman si vedono come un’estensione dei combattenti che difesero il campo durante la battaglia del 2002. Per loro, le incursioni israeliane nel campo, che sono aumentate considerevolmente nell’ultimo anno, hanno superato una linea rossa e devono ricevere una risposta.
A giugno, uno scontro a fuoco tra l’esercito e uomini armati locali ha provocato la morte di tre persone, tra cui Jamil al-Amuri, un membro delle Brigate al-Quds, e due agenti dell’AP. Un’altra violenta incursione si è verificata in agosto, con feroci scontri e quattro palestinesi uccisi dall’esercito.
Contrasto alle armi
All’ingresso del campo profughi di Jenin, le bandiere di diversi gruppi palestinesi sono poste in cima alla figura di una chiave che simboleggia il diritto al ritorno. Manifesti di martiri e prigionieri sono affissi ovunque, e proprio al centro del campo c’è un’imponente tavola adornata con le fotografie delle persone uccise nelle recenti incursioni israeliane.
Lungo la strada percorsa per incontrare i tre combattenti, i manifesti si possono vedere nelle profondità dei vicoli remoti del campo, mentre slogan della resistenza e murales decorano la maggior parte dei muri. E’ stato allora che i combattenti si sono presentati, portando i loro fucili d’assalto M16, pronti per qualsiasi confronto inaspettato.
Basel e Tamer (nomi fittizi) hanno 20 anni e sono nella lista dei ricercati di Israele da più tempo.
Sono stati per dieci mesi in una lista di 12 uomini ricercati , hanno detto. L’elenco includeva al-Amuri, ucciso dall’esercito israeliano a giugno.
Si spostano costantemente, non dormono mai due volte nella stessa casa. Ora, più che mai, i loro movimenti richiedono un grado maggiore di invisibilità, hanno detto.
“Molti nel campo ci accolgono e ci invitano a dormire nelle loro case”, dice Basel. “Ma temiamo per la loro sicurezza e non vogliamo metterli in pericolo”.
Alla fine di dicembre, il Capo di Stato Maggiore delle forze armate israeliane Aviv Kochavi ha dichiarato in un’intervista a Canale 12 che Israele era sul punto di lanciare una grande operazione a Jenin, tre mesi prima di chiedere l’intervento dell’Autorità Palestinese.
I tre uomini non hanno mostrato il loro volto e hanno usato pseudonimi
Kochavi ha affermato che Israele “ha delegato le forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese attraverso un regolare coordinamento della sicurezza, e sono state le forze dell’AP ad entrare a Jenin, confiscare armi e arrestare molti attivisti”.
Le forze di sicurezza dell’AP hanno infatti attuato una forte repressione negli ultimi tre mesi, che ha incluso l’arresto di alcuni residenti del campo e le molestie ad altri con minacce e convocazioni. Tutto ciò si è aggiunto alla rabbia già incontenibile dei residenti del campo e del governatorato di Jenin nei confronti dell’AP.
Ma combattenti come Basel sono ancora in libertà, il che fa pensare che sia in programma una grande operazione israeliana, considerando che l’Ap non è riuscita fino ad ora a ottenere il pieno controllo del campo.
Tamer, che siede accanto al Basel impugnando la sua arma, insiste che la loro lotta non è contro l’Autorità Palestinese.
“L’Autorità Palestinese pensa che reclutiamo combattenti per sparare contro di loro, ma la bussola delle nostre armi rimane sempre puntata verso l’occupazione, e verso nessun altro”, ha detto Tamer, che ha trascorso diversi anni in una prigione israeliana.
La pressione su uomini come Tamer sta crescendo affinché consegnino le loro armi, ma lui afferma che c’è poca fiducia che non sarebbero uccisi o sottoposti a tortura se collaborassero con le forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese.
Le armi che i combattenti portano, per lo più fucili d’assalto leggeri, sono autofinanziate, hanno detto i due uomini. Un altro motivo che fa sembrare loro impossibile l’idea di deporre le armi.
“Ho lavoratoduramente per un anno e mezzo per poter acquistare la mia arma”, ha detto Basel. “Queste armi sono per la difesa del campo e non saranno deposte”.
“Israele usa l’Autorità Palestinese”
L’Autorità Palestinese ha insistito sul fatto che la campagna di sicurezza a Jenin non prende di mira i combattenti della resistenza impegnati contro Israele, ma mira piuttosto a eliminare i “criminali” che operano al di fuori della legge.
Akram Rajoub, il governatore di Jenin, ha affermato a novembre che il recente sforzo di sicurezza dell’Autorità Palestinese mira a “ripristinare la legalità” ed è preoccupato per quelli che lui chiama “ricercati”.
“L’apparato di sicurezza ha già iniziato ad affrontare il recente problema delle armi e lo elimineremo”, ha detto Rajoub alla radio locale.
“Chi incita sarà arrestato prima ancora di chi ha sparato. Non permetteremo che la rispettabilità del nostro personale di sicurezza venga sminuita da questi teppisti, daremo loro la caccia e li arresteremo. Quello che sta succedendo a Jenin è illegale e un affronto al nostro personale di sicurezza”.
Le dichiarazioni di Rajoub sono state respinte dalle fazioni palestinesi nel campo, che le considerano come un tentativo di demonizzare la resistenza. I gruppi si dicono pronti a collaborare con l’Autorità Palestinese per eliminare ogni segno di illegalità nel campo, ma opporsi alla resistenza è “un azzardo”.
“Israele sta usando l’Autorità Palestinese per sopprimere la resistenza a Jenin, allo scopo di causare conflitti interni e spargimenti di sangue, e con l’ulteriore intento di delegittimare l’AP agli occhi del suo popolo, un fatto a cui la dirigenza dell’AP dovrebbe prestare attenzione”, ha detto Bassam al-Sadi, una figura di spicco della Jihad islamica a Jenin.
Anche le fazioni all’interno di Fatah, di fatto il partito al governo dell’Autorità Palestinese, si oppongono all’approccio repressivo in nome della sicurezza dell’AP.
Shami al-Shami, ex membro del Consiglio Legislativo Palestinese e figura di spicco di Fatah a Jenin, afferma che la crescente violenza di Israele è ciò che alimenta il sentimento nazionalista e incoraggia ulteriormente i giovani a intensificare le attività di resistenza.
Al-Shami prevede che le forti tensioni tra l’Autorità Palestinese e il campo rimarranno finché il pesante approccio repressivo dell’AP rimarrà lo stesso.
“Non chiediamo di combattere l’Autorità Palestinese o attaccarla, ma chiediamo all’Autorità Palestinese di frenare le sue azioni nei confronti della popolazione del campo e di rimediare ai suoi errori”, ha detto al-Shami.
Riorganizzare la sicurezza
La rabbia contro l’Autorità Palestinese è aumentata a novembre, dopo che un funerale ampiamente partecipato per il leader di Hamas Wasfi Qabaha, morto a causa delle complicazioni del coronavirus, ha suscitato le ire di Ramallah.
Una riorganizzazione nei ranghi delle forze di sicurezza sembrava portare a un giro di vite su coloro che partecipavano ai funerali, in particolare su coloro che si presentavano armati.
“I servizi di sicurezza palestinesi hanno stilato una lista di 20 residenti del campo ricercati, due dei quali minorenni”, ha detto Salman. “Tutti loro sono ricercati anche dall’esercito israeliano e questo è stato un momento cruciale nel contrasto alla resistenza e ha portato all’intensificazione delle tensioni tra il campo e l’Autorità Palestinese”.
Uno degli arrestati durante la campagna era Muhammad Azmi Husseiniyyeh.
Suo fratello Eyad Husseiniyyeh, fermo accanto alla sua bancarella di ortaggi nel mercato ortofrutticolo di Jenin dove lavorava, ha detto che Muhammad è stato arrestato con l’accusa di aver ricevuto una telefonata dal leader di Hamas Ismail Haniyeh.
Haniyeh ha telefonato a Muhammad in ottobre per porgere le sue condoglianze dopo la morte di suo nipote Amjad Husseiniyyeh durante le incursioni di agosto.
Foto: Manifesti di martiri e prigionieri palestinesi sono affissi in tutto il campo profughi di Jenin (AFP)
Muhammad, 33 anni, è stato trasferito dal quartier generale delle forze di sicurezza a Jenin alla prigione di Juneid a Nablus, e poi alla sede dei servizi di sicurezza a Ramallah, dove è stato sottoposto a intensi interrogatori per 40 giorni.
Muhammad è stato sottoposto a costrizioni fisiche e psicologiche, e tenuto in catene per 25 giorni durante i suoi interrogatori, ha detto Eyad.
“Tutte le accuse contro Muhammad si riferiscono alla resistenza all’esercito di occupazione, oltre ad aver ricevuto una chiamata da Ismail Haniyeh. Muhammad ha respinto ognuna di queste accuse”.
La famiglia Husseiniyyeh ha ricevuto diverse promesse che Muhammad sarebbe stato rilasciato e tornato a Jenin, ha detto Eyad, ma nessuna di queste promesse è stata mantenuta, ed è per questo che Muhammad ha iniziato lo sciopero della fame il 10 dicembre.
“Assalto senza precedenti”
Il 7 gennaio a Jenin le cose sono peggiorate. Tre giovani del campo, tra cui il diciottenne Muhammad Zubeidi, figlio di Zakaria Zubeidi, evaso dalla prigione di Gilboa, sono stati aggrediti da agenti di sicurezza dell’AP.
Un video che documentava l’aggressione è diventato virale e la tensione è tornata a crescere. Sono seguite pesanti sparatorie al quartier generale delle forze di sicurezza dell’AP, così come alla Jenin Muqata’a, la roccaforte dell’Autorità Palestinese nell’area.
Lo zio di Muhammad, Jibreel Zubeidi, ha detto che questa era la terza volta in due mesi che l’Autorità Palestinese aveva molestato suo nipote.
“Se dovesse commettere una violazione del codice della strada, dovrebbe essere punito come chiunque altro con una multa, non con percosse e abusi”, ha detto Jibreel.
L’AP ha accusato Muhammad di possesso di droga, un’accusa che la famiglia ha respinto come calunnia, poiché non sono state presentate prove.
Dall’arresto nel 2019 di Zakaria Zubeidi, che un tempo era comandante dell’ala militare delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa di Fatah, Muhammad si è assunto la responsabilità di occuparsi della sua famiglia.
“Muhammad si prende cura di sua madre, dei suoi fratelli e di tutto ciò che serve”, ha detto suo zio Jibreel.
“Si occupa anche di portare la famiglia alle udienze di suo padre in tribunale. Ha avuto così tante responsabilità che ha dovuto rinunciare a vivere la sua infanzia”.
Lo studente delle superiori soffre anche delle ferite da arma da fuoco subite durante gli scontri con l’esercito israeliano vicino al posto di blocco militare di Jalameh otto mesi fa. Alcune schegge dei proiettili gli sono rimaste conficcate nella testa.
“Siamo preoccupati per i figli di Zakaria, e abbiamo sempre la sensazione che siano un bersaglio. Abbiamo provato di tutto per proteggerli ma ciò che l’Autorità Palestinese ha fatto attaccando Muhammad non ha precedenti”, ha detto Jibreel.
Quando Muhammad si era rivolto agli agenti dell’AP che lo stavano aggredendo, questi risposero che lo avrebbero solo picchiato di più, ha detto la famiglia, suggerendo che l’AP lo stesse deliberatamente prendendo di mira per inviare un messaggio ai residenti del campo.
La Commissione Indipendente palestinese per i Diritti Umani (ICHR) ha invitato il Ministero dell’Interno e le forze di polizia a condurre un’indagine sull’incidente e a rivedere il modo in cui vengono effettuati gli arresti al fine di proteggere i diritti dei prigionieri e far rispettare lo Stato di diritto.
Una dichiarazione rilasciata dall’ICHR l’8 gennaio affermava che “alcuni membri del personale delle forze di sicurezza hanno ripetutamente commesso violazioni durante l’arresto, il che richiede una revisione completa delle procedure per rendere responsabili i trasgressori”.
L’incidente e la successiva sparatoria hanno segnato una svolta nel campo, che sembra essere diventato sempre più insofferente al controllo di sicurezza dell’Autorità Palestinese.
“Il video ha infiammato il campo profughi di Jenin e tutta la Palestina, e la reazione che abbiamo visto non è perché Muhammad è il figlio di Zakaria”, ha detto Jibreel, “ma perché si tratta di un attacco violento con percosse e scosse elettriche effettuate arbitrariamente contro i giovani”.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org
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