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Libano, terreno di scontro tra potenze medio-orientali

Questa mattina un’autobomba è esplosa nel centro di Beirut, uccidendo l’ex ministro delle finanze Mohammad Shatah, e altre 7 persone, e ferendone una cinquantina.

Sembra che l’obiettivo dell’attentato, non ancora rivendicato, fosse proprio l’ex ministro delle finanze.

Mohammad Shatah era una consigliere e stretto collaboratore dell’ex primo ministro Saad Hariri, capo del movimento politico libanese “Movimento 14 marzo”: al momento dell’attentato si stava recando proprio a casa dell’ex pm per una riunione consultiva del movimento politico sopra-citato.

La coalizione denominata “14 marzo” riunisce tutti quei partiti che osteggiano l’influenza siriana sul Libano di ispirazione cristiano maronita e/o sunnita: Shatah faceva parte del “Movimento Futuro”, il partito più grossa di questa coalizione anti-siriana.

Il leader della coalizione “14 marzo” Sa’ad Hariri ha accusato il movimento sciita libanese Hezbollah di essere dietro l’uccisione dell’ex ministro: Hezbollah ha risposto condannando l’attentato.

 

L’odierna congiuntura all’interno del Libano e del Medio Oriente dovrebbe aiutare a comprendere meglio la situazione.

Il Libano sta attraversando un periodo di crisi politica e istituzionale: le elezioni previste per il giugno 2013 sono state rinviate per un periodo di 17 mesi per le tensioni generate dal conflitto siriano e per un mancato accordo sulla legge elettorale, e dovrebbero tenersi a novembre del 2014. Ciò accade per la prima volta dalla firma degli accordi di Ta’if nel 1989, che misero fine alla guerra civile tra le milizie delle varie comunità libanesi: il Libano infatti presenta una particolare forma di democrazia, denominata “confessionale” o “consociativa”, per il quale il voto viene ripartito in base alla comunità di appartenenza.

La guerra in Siria si sta riflettendo in maniera molto forte sul paese dei cedri: non soltanto il continuo afflusso di profughi siriani a Beirut e dintorni (se ne contano quasi un milione ormai) ma anche la presenza di gruppi salafiti-jihadisti che trovano rifugio nelle valli confinanti il Libano.

Il movimento politico Hezbollah, nato nel 1982 per combattere l’occupazione israeliana del sud del paese, è oggi attivamente impegnato a combattere a fianco dell’esercito regolare siriano. Questa scelta, a detta di molti analisti del Medio Oriente, sembra essere stata più dettata dalle forti pressioni dell’Iran, protettore e finanziatore di Hezbollah, che da una scelta autodeterminatasi all’interno del movimento libanese: la possibilità di veder cadere un alleato strategico fondamentale come la Siria di Asad ha così “costretto” Teheran a chiedere l’aiuto di Hezbollah, non potendo Teheran intervenire direttamente in territorio siriano. Così Nasrallah, il segretario generale di Hezbollah, ha deciso di intervenire pubblicamente a fianco di Asad nella sua lotta contro i “ribelli” per sostenere l’Asse della Resistenza (Iran, Siria, Hezbollah stesso). Questa decisione ha contribuito da un lato ad intensificare uno spill-over del conflitto siriano in Libano, dall’altra ha generato malumori sia all’interno dello stesso movimento ma soprattutto all’interno del governo libanese. Le dichiarazioni al vetriolo di Sa’ad Hariri, capo politico del movimento “14 marzo”, accusano Hezbollah di aver sacrificato la sicurezza libanese con la decisione di andare a combattere in Siria e di essersi così suicidata politicamente, perdendo di credibilità.

All’interno del contesto libanese si sono venute così a sedimentare sentimenti filo-siriani e anti-siriani. E qui entrano in gioco le potenze regionali e internazionali. Così come negli anni della guerra civile la terra libanese è servita da terreno di scontro nei quali si sono affrontati gli attori dei conflitti medio-orientali (sovietici e americani, palestinesi e israeliani, siriani e israeliani, iraniani e iracheni) anche oggi il territorio libanese sembra rivestirsi di una funzione geopolitica centrale nel Medio Oriente: qui, come in Siria, si sta giocando la partita a scacchi tra Iran e Arabia Saudita (e aggiungerei Israele, molto interessata alla destabilizzazione libanese in chiave anti-iraniana) per l’egemonia regionale, e ognuno di essi usa i suoi proxies per fare le proprie mosse. L’attentato di oggi è dunque interpretabile in questa maniera: se le potenze in questione evitano un conflitto più vasto su scala regionale, poiché potrebbe portare a conseguenze disastrose, ecco che il Libano rispunta come camera di compensazione per i grandi interessi regionali e internazionali.

Il mese scorso due autobombe colpivano davanti all’ambasciata iraniana a Beirut, nel mese di agosto un autobomba esplodeva in un quartiere nella periferia sud, tradizionale roccaforte di Hezbollah: entrambi questi attentati sono stati rivendicati da gruppi jihadisti salafiti che combattono in Siria contro il regime di Asad. L’Arabia Saudita è notoriamente una finanziatrice di questi particolari gruppi salafiti, noti per le loro posizioni rigoriste sunnite e fortemente avversi allo sciismo. Già dalla guerra in Afghanistan nel 1979 i sauditi, con le loro immense fortune derivate dal petrolio, hanno iniziato a sovvenzionare questi gruppuscoli in chiave anti-sovietica: oggi l’avversario di queste holding islamiste non è più il comunismo ateo di Mosca ma l’Islam sciita di Teheran e Hezbollah.

Nel regno saudita la possibilità che Teheran si doti della capacità nucleare spaventa: spaventa perchè farebbe pendere la parità strategica verso il regno degli Ayatollah che potrebbero così assurgere a potenza regionale, influenzando così le popolazioni sciite del regno e degli Stati del Golfo a reclamare diritti e libertà fino ad ora non concesse (vedi rivolta in Bahrein e nelle province orientali del regno saudita), alterando lo status quo tanto caro a Riyahd.

In una delle ultime interviste rilasciate ad una tv libanese Nasrallah citava più volte il regno saudita come responsabile della de-stabilizzazione libanese: egli accusava il ruolo di leading from behind di Riyahd nel fomentare i gruppuscoli sunniti a intraprendere attentati contro la comunità sciita libanese per aumentare le violenze settarie.

E qui entra in gioco anche Israele: lo stato ebraico, scontento e irritato dai passi avanti negli accordi sul nucleare tra USA e Iran, ha paura. Ha paura di perdere il suo monopolio strategico di deterrenza nucleare, paura che la sua “unicità” venga disconosciuta dal reapprochment obamiano all’Iran. Ecco dunque che, se da una parte la lobby filo-israeliana è già al lavoro per far saltare gli accordi proponendo nuove sanzioni al Congresso americano, dall’altra il Mossad si muove nella confusione libanese totalmente a suo agio: non sarebbe la prima volta che ciò accade, vedi attentato (riuscito) a Elie Hobeika, comandante delle Falangi Libanesi autrici del massacro di Sabra&Chatila, assassinato proprio a Beirut nel 2002, e di una serie di scienziati iraniani che lavoravano al programma nucleare di Teheran.

 

Oggi molti puntano il dito contro Hezbollah come responsabile dell’attentato. Certo Shatah non era un amico di Hezbollah: egli era un fervente critico di Hezbollah e sosteneva la necessità di dis-armare l’organizzazione sciita per ristabilire la sovranità statale. Ma quale potrebbe essere l’interesse di Hezbollah di uccidere un avversario politico di un certo rilievo in questo particolare momento? L’organizzazione sciita sta avendo vita difficile in Libano, per via delle continue critiche alla sua presenza in Siria, ma la sua popolarità resta molto alta, anche in settori della popolazione non sciiti (vedi alleanza strategica col Movimento patriottico libanese, di ispirazione cristiano-maronita guidato da Michel Aoun). Il suo ruolo attivo nel combattere l’occupazione israeliana e la vittoria strategica del 2006 contro l’esercito dello stato ebraico hanno rinforzato la sua posizione interna allo stato libanese.

Inoltre l’andamento delle battaglie in Siria, se da una parte attirano l’odio settario di molti jihadisti verso di Hezbollah, dall’altra stanno contribuendo ad accrescere il prestigio dell’organizzazione, e non soltanto tra gli sciiti iracheni e iraniani.

Forse però la concomitanza di un incontro tra Shatah e Hariri per discutere del ruolo di Hezbollah nell’assassinio di Hariri padre, Rafiq, potrebbe far pensare al movimento sciita: infatti il 16 gennaio si aprirà all’Aja, in Olanda, l’atteso processo che vede alla sbarra, in contumacia, 5 membri del Partito di Dio. Hezbollah ha sempre dichiarato la sua estraneità ai fatti, affermando come la creazione di questo strumento sia in realtà un’ingerenza occidentale e sionista negli affari interni libanesi.

Gli attacchi nelle sue roccaforti, con le autobombe di agosto nel quartiere di Dahiyeh e quelle contro l’ambasciata iraniana di novembre, rivendicate da gruppi qaedisti sunniti come risposta al ruolo di Hezbollah in Siria, oltre all’uccisione di un capo militare qualche settimana fa davanti alla propria casa, avevano fatto pensare ad un Partito di Dio vulnerabile e indebolito. Ma stamattina forse Hezbollah ha voluto lanciare un “messaggio” per riaffermare, da una parte, la sua capacità di colpire i suoi nemici non solo in Siria ma anche e soprattutto nel suo territorio, e dall’altra di saperlo fare in maniera autodeterminata, senza l’avallo iraniano.

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